sabato 29 gennaio 2011

Cancello o bordello? Suzuki GS500E


Una delle mie attività preferite mentre cammino per il centro di Roma e, in generale, ovunque mi trovi, è ammirare affascinanti vecchie moto vintage parcheggiate sui marciapiedi e spesso snobbate dai più. Quando ne avvisto una, oltre ad ammirare le soluzioni tecniche ed estetiche adottate all'epoca, immagino sempre quale senso emotivo possa esserci dietro la scelta così coraggiosa e appassionata di chi la possiede e cerco di comporre un profilo del personaggio: chissà cosa gli ricorda, a chi è appartenuta prima di lui o se in passato la "invidiava" a qualcuno, fin dove è arrivato a guidarla, quali avventure hanno condiviso insieme e chi ha avuto il privilegio di montare in sella insieme a lui...

La passione per le moto vintage negli ultimi anni è cresciuta in me sempre più: credo che, oggi, possedere e saper curare e gestire un modello degli anni '70 o '80 sia molto più avanti che guidarne uno moderno, per cui è sufficiente fare comodamente il tagliando annuale in concessionaria.

Fino a qualche mese fa, sulla tv Nuvolari, in seconda serata, davano un favoloso documentario in cui raccontavano le storie di modelli mitici di quel periodo. I possessori, per lo più uomini attempati e benestanti o ex meccanici mai andati veramente in pensione per amore del grasso tra le mani, ne narravano le gesta e i sacrifici, economici e non, affrontati per riportarli ai vecchi fasti: Norton, Honda, Benelli, Laverda, etc. Era molto appassionante.

Nella cricca di Catania, usiamo molto spesso l'aggettivo bordello come sinonimo di "spettacolare", "bellissimo", "esaltante". Non a caso, se domandi a Cipiti come va la sua nuova Harley V-Road Muscle, ti risponderà senz'altro "Minchia, un bordello...". Il termine cancello è ormai abbondantemente comune tra i biker e non ha bisogno di ulteriori analisi semantiche... Ecco perchè definire una moto un bordello o un cancello ha un senso totalmente diverso.

Stamattina, così, ho avuto il piacere di avvistare un ottimo esemplare di Suzuki GS500E di colore rosso. Veramente cool! Dalle poche informazioni recuperate qua e la, sembra che fu prodotta dal marchio giapponese tra il 1979 e il 1981 (probabilmente quella in foto sarà una delle ultime uscite dalla catena di montaggio). Quattro cilindri in linea, 8 valvole, 465 cc, raffreddata ad aria: se chiudi gli occhi, inizi subito ad immaginarne il rombo acuto, probabilmente interrotto da frequenti scoppiettii. Da notare il doppio disco anteriore, gli eleganti scarichi 2 in uno, i cerchi in lega a stella, la bella sella e il codino filante.

Naturalmente, se ne sapete di più, non esitate ad incrementare queste poche notizie sul suo conto. Se lo merita.

mercoledì 26 gennaio 2011

Lazio: Tour del Lago del Salto (RI)


Fare un giro in moto durante un giorno feriale è ciò che ogni rider desidera ardentemente. È vero che alla fine anche la domenica va bene per consumare il proprio intimo rapporto con le due ruote, ma il senso di libertà della guida infrasettimanale su strade scorrevoli, senza ore di punta, senza incubo rientri, mentre la maggior parte degli altri sono costretti a produrre, è obiettivamente un privilegio impagabile.
Imbacuccato in vista delle alture reatine, in partenza soffro un po’ di caldo ai semafori, ma uscire dal centro di Roma è agevole e anche alcuni obbrobri urbani sembrano meno squallidi: il Tevere ancora avvolto dalla foschia, la tangenziale Est con i lavori in corso mai conclusi, piazza Bologna ristretta a un buco dalle auto parcheggiate in doppia fila, la via Tiburtina con i suoi incroci a rischio morte, con le mega concessionarie piene di auto e deserte di clienti.
Cerco un distributore dove fare il pieno. Un litro di senza pb ormai costa come una bottiglia di Frascati doc, così scelgo un fai da te a buon mercato (uno degli sport preferiti dai centauri, ammettiamolo): ad oggi 1.454 €/litro mi sembra accettabile.


Per vedermi circondato da qualcosa di naturale, al solito devo superare il centro di Tivoli (più caotico del parcheggio di Ikea). Incrocio prima un bmwista con il suo boxer in bella mostra, ma sembra andare in moto come se andasse in taxi. Poi, iniziato il tratto della SS5 verso Subiaco, un anziano Harleysta, con tanto di barba lunga e manubrio a corna di bue, non perde occasione per attendere che mi incolli ai suoi tubi di scarico per sgusciare via a tutto gas e scatenare il rombo brevettato del suo celebre bicilindrico a V liberato dai db killer.
Finalmente la strada si fa piacevole da guidare. Peccato solo che le valli intorno siano a sprazzi abbrutite dal grigiore del cemento armato dei cavalcavia dell’A24: succede quando le esigenze del progresso schiacciano ogni vincolo paesaggistico.


Scorgo la vista del Maniero di Castel Madama (che non è solo il nome di un casello) e del suo abitato arroccato, passo il bivio per Vicovaro (tentato da una sosta anche solo per riannusare la fragranza del rinomato pane appena sfornato…) e mi ritrovo ad Arsoli, grazioso centro che meriterebbe una visita più accurata.


Supero il degrado della zona industriale di Carsoli e sfreccio fino al bivio per Tufo. Nonostante il cielo coperto, il clima è generosamente mite fino a questo momento e viaggio rilassato: solo prima di iniziare la scalata rafforzo il mio equipaggiamento antigelo con sottoguanti e sottocasco. Do un’occhiata alla cartina, poi la incastro nella fessura tra strumentazione e fly screen per facilitare le consultazioni successive.
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Infilo la SP96 e comincia il paradiso del motociclista: strade a traffico minimo, curve, dossi, strettoie, cumuli di legna e neve ai margini della carreggiata e tutto il fascino della natura e dei suoi colori invernali.


È un susseguirsi di piccoli centri e frazioni, silenziosi e sonnecchianti, con case in pietra concentrate fra loro per non disperdere il tepore, i camini fumanti e l’odore della legna accesa che aromatizza l’aria lungo le vie principali. Se spegnessi il motore probabilmente riuscirei a udire il crepitio dei ceppi scoppiettanti dentro le cascine.


Lungo la strada faccio un incontro inatteso: un sacerdote in tonaca bianca e ornamenti sacri, con l’incensiere in mano, torna a piedi a Pietrasecca dopo una processione. Gli domando informazioni sul tragitto. Lui pare più interessato alla Scrambler e, piuttosto che accennare retorici sermoni, mi rivela che da ragazzo guidava una Guzzi Lodola 250: “faceva 24 km con un litro e andava ‘na meraviglia…” ricorda con gli occhi pieni di malinconia. Be’, senza peccare di blasfemia, sono sicuro che, se il bambinello fosse nato qualche secolo più avanti, anziché col bue e l’asinello, Giuseppe l’avrebbe scaldato col tepore di un bicilindrico di Hinkley (o, considerando la geografia evangelica, di un mono Royal Enfield).


Confortato dalla benedizione, proseguo la salita lungo i tornanti della SP26 verso la valle del Salto: supero Leofreni, il bivio per Pescorocchiano e Pace. A destra scorgo le cime innevate di quelli che dovrebbero essere il Monte Fratta e le montagne della Duchessa.


Finalmente, dietro le cime degli alberi salta fuori la sagoma del Lago del Salto, la meta del mio breve viaggio.


Sono eccitato e in poco tempo raggiungo il lungo ponte sull’acqua che conduce a Fiumata.


Arresto la Triumph nel bel mezzo del ponte dalla ringhiera bianca, sospeso sopra l’enorme massa di acqua scura e profonda. Il lago è docile e tranquillo, qualche anatra starnazza, in lontananza distinguo il ronzio delle seghe circolari dei taglialegna. Scatto qualche foto, e ammiro il paesaggio strepitoso. Sospiro e poi semplicemente respiro: il cielo, gli alberi semi sommersi e i nuclei di case arroccate sulle alture sovrastanti il lungolago si riflettono sullo specchio d’acqua, offrendo uno spettacolo speciale. Che inebriante senso di infinito!


Ogni motociclista avveduto lo sa: per ammirarne lo spettacolo, le strade panoramiche che costeggiano mari, fiumi e laghi vanno percorse (con estrema prudenza) lungo la corsia esterna. Così, tolgo il sottocasco, riattraverso a ritroso il ponte e inizio l’esplorazione dell’intero periplo del lago in senso antiorario.


I quadranti sud ed est del bacino artificiale sono avventurosi e selvaggi: la strada perimetrale è totalmente deserta e a motore spento il silenzio intorno a me è inquietante. Le mie orecchie urbane sono talmente abituate al caos metropolitano che, prima di adattarsi alla pace assoluta del lago, percepiscono una specie di fruscio di transizione.
Supero i bivi per Girgenti, per Marcetelli e per Varco Sabino. Mi fermo ancora, non resisto ad immortalare sulla mia piccola Canon il fascino di questi luoghi così isolati. Il giro del lago è un susseguirsi di ponti di sospesi sull’acqua e di viadotti che sorvolano i piccoli fiordi. A memoria ne avrò contati non meno di una dozzina!


Di contro è doveroso segnalare la poca sicurezza dell’asfalto su questa parte del lungolago: buche, smottamenti, greggi bovine e mandrie equine pascolanti, mucchi di sterco fresco (e non), ruscelli di acqua che attraversano la carreggiata, frane e persino fango, quello che se arrivi forte in curva puoi dire addio quanto meno alla leva della frizione… Mi rincuora sapere che su questo tipo di fondo “light mud” le Tourance della Scrambler hanno un pizzico di grip in più. Vecchi fuoristrada Nissan e Lada, sfrontatamente parcheggiati dai cacciatori in mezzo alla strada, completano la gamma dei rischi non segnalati da evitare.


Sbagliare strada è difficile costeggiando il lago: seguo le sponde con la coda dell’occhio destro e mi lascio condurre dai riflessi grigio blu dell’acqua, senza preoccuparmi dei pochi cartelli con le indicazioni.
Giungo alla frazione di Borgo S. Pietro, un antico villaggio di pescatori oggi adibito ad ospitare gli appassionati di sport acquatici durante la bella stagione.


Sono le 14.45, gli effetti della mia notoriamente abbondante prima colazione hanno cessato ogni beneficio già da almeno un’ora, e la Trattoria Miralago, esteticamente la struttura più moderna della zona, affacciata proprio sulle rive del bacino e con una sala che offre una visuale degna del nome prescelto dai suoi gestori, è la mia scelta per il pranzo. Entro dentro zavorrato come fossi Neil Armstrong, i bambini mi osservano incuriositi, gli uomini ammirati, le donne compassionevoli… L’oste mi da il benvenuto e, probabilmente abituato a trattare con forestieri affamati, mi propone subito il piatto del giorno: ravioloni fatti in casa, ripieni di ricotta e spinaci, conditi con un delizioso sugo di pomodoro e verdure fresche! Una golosa panna cotta al cioccolato completa il menu e il rifornimento per lo stomaco è piacevolmente fatto.


In questo periodo la luce solare va via presto, perciò, tornato in sella, a malincuore decido di rinviare l’arrampicata sui tornanti panoramici che uniscono Petrella Salto, Fiamigliano e S. Elpidio.



Completo il lungolago fino a Fiumata, dove mi ricongiungo al ponte dalla ringhiera bianca, raggiungo S. Ippolito, dove scatto le ultime malinconiche immagini panoramiche, ammiro l’imponente diga artificiale e dirigo verso la SS578 Rieti – Avezzano, certamente più noiosa ma celere nel condurmi fino alla cosiddetta autostrada dei boschi, la A24.


Al casello Valle del Salto, l’ultima sosta come da copione: è giunto il momento di indossare di nuovo sottoguanti e sottocasco per sfrecciare lungo quegli stessi enormi cavalcavia, tanto odiosi se osservati a valle, quanto indispensabili per riportarmi nel più breve tempo possibile a casa, lontano dal freddo e dal buio dei boschi lacustri.

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martedì 25 gennaio 2011

06 novembre 2010: Eicma or nothing

Avevo voglia di scrivere stasera: viva la superficialità, le motociclette mi ispirano come poco altro! Più guidarle che guardarle.

Da qualche anno ormai l’Eicma è uno dei miei svaghi fissi e preferiti, sinceramente non so nemmeno che diavolo significhi la A di Eicma ma non m’importa cercarlo sul web per fingere di sapere sempre tutto.
Aggiungerò qualche foto di pessima qualità scattata ai modelli che hanno attirato la mia attenzione. Le immagini dicono sempre più di molte parole buttate al vento.

Da quando avevo 13 anni resto innamorato delle moto da enduro (quelle vere) e puntualmente staziono allo stand KTM, anche se quest’anno era pieno di stradali e orride crossover e semi deserto di ruote tassellate. Ho contemplato per almeno 30 minuti la Rally 450: leggera ed affidabile, aspetto con ansia che venga commercializzata. Chissà su quali piste sterrate e deserti sabbiosi riuscirebbe a portarmi…


Gran ressa, come prevedibile allo stand Ducati. La nuova Multistrada? Troppa plastica, fin troppa elettronica. Le supersportive? Mai piaciute. C’è una novità: la Diavel Carbon, per me incomprensibile per un marchio come Ducati. E non è un prototipo.


Molto meglio la cara “vecchia” Monster, straordinaria nella nuova versione 1100 Evo: fa sempre la sua porca figura!


Adoro i caschi vintage, magari non quelli, usati, logori e talvolta inforforati, che si trovano ai mercatini. Meglio quelli nuovi. Sono indeciso: modello McQueen nero e bianco, che esalta il mio profilo dantesco…


… o quello “confederate flag”, che fa molto Iron Butt?


Naturalmente il cuore mi porta fino allo stand Triumph, da cui mi attendo tanto. Sapevo già che l’estetica della nuova Speed Triple mi avrebbe dato un dolore e così è stato. Il nuovo doppio faro, più squadrato e profondo, la fa somigliare ad una made in China. Boccio severamente le fiancatine laterali sul radiatore in tinta con la carrozzeria e la plastica opaca e di pessima qualità (tattile e visiva) sul sebatoio... Insomma, sarò un conservatore, ma fa cagare. Nessun appunto invece sulle prestazioni, sulle migliorie tecniche e soprattutto sul sound unico e speciale dei 3 cilindri britannico.


Mi attizza molto, nonostante la presenza di troppa plastica e la fastidiosa ispirazione alle linee estetiche della BMW GS 1200, la sostanza e la cilindrata inedita della nuova Triumph Tiger 800 XC. Nera, leggera e confortevole, sarebbe perfetta per i 5000 km del prossimo viaggio verso l’isola di Man… Sarei persino disposto a prendere il traghetto da Liverpool alle 02 del mattino con quel fetente di Flash Fx.


C’è un’altra endurona che mi fa sognare, specie dopo aver letto le avventure di Moto Guzzi Ron in viaggio per l’Alaska: la Stelvio 1200 NTX. Che fascino, che sound emozionante e che vista eccitante quel bicilindrico a V di 90° che sporge sotto il telaio…



Ed ecco la V7 Racer. Splendido il serbatoio in alluminio lucidato, ma nel complesso credo sia uno “specchietto per le allodole”: ok la componentistica ricercata, ma meno di 49 CV sono una vergogna! Tanto vale farsi una V7 Classic e poi personalizzarla (ed elaborarla) su misura.



Sempre allo stand Moto Guzzi, ecco la 1200 Sport 4V. Non fa per me, ma sempre quel fetente di Flash m‘ha fatto una testa tanta: “me la farei, me la farei, scatta qualche foto". Accontentato.


Faccio un salto anche alla Harley Davidson. Mi piacciono solo il look spartano delle Sportster e la nuova forty-eight con il serbatoio a nocciolina. Non posso fare a meno di ammirare anche il nuovo acquisto del mio caro amico Cipiti, che ha investito più di 20 mila euro per mettere in garage un fantastico esemplare personalizzato di V-Road Muscle nera opaca!


Intramontabile la Vespa PX: finalmente alla Piaggio hanno capito che la LML negli ultimi 2 anni gli ha fregato milioni di euro e il vespone è di nuovo in vendita (nonostante la nuova sella orribile). Mi tengo stretto il mio Bajaj Chetak 150, tremendamente cool.



Per equità ecco anche la nuova Lambretta: un tempo la costruivano sulle sponde del fiume Lambro, adesso le catene di montaggio sorgono tristemente a qualche chilometro da Shangai. Ho un dubbio: dov’è finito il cambio sul manubrio?!


A proposito di grandi classici. Storie che mi intrigano. Come quella della Kawasaki W800 (ex 650), nata come clone della Triumph Bonneville: sella 70’s, ottime finiture e l’incoscienza del tamburo posteriore… Chissà perché le classiche prodotte in Giappone mi ispirano fascino. Chi ne possiede una è più avanti di quelli come me, che, per non sbagliare, hanno preferito rassicurarsi con una bicilindrica di Hinkley.


Ultimamente ho un trip, nato un paio d'anni fa ed esploso da quando, lungo via della Pace, ho incrociato un esemplare delle classic made in India. La Royal Enfield. Potenzialità enormi di customizzazione, l'incredibile emozione di viaggiare su un vibrante monocilindrico 4t da 500cc e l'eleganza di un design semplice e lineare fatto di ferro e alluminio. La mia Scrambler dovrebbe essere gelosa della Bullet...


Incontro qualche amico rider della SRT: il Bradipo, stordito della hostess MV e avvolto nel suo gilet nero pieno di patch, e Chrispeed80, in sella ad un Benelli TNT.


Infine la più acclamata, votata e ammirata del salone: la MV Agusta F3. Un capolavoro di design e stile. Mentre tutti comprensibilmente si accalcano sui pochi centimetri coperti della suddetta hostess, per me è facile zoomare sul cerchione color oro e sullo splendido scarico della F3. Dinanzi ad una moto così elegante e perfetta è difficile non meravigliarsi.

lunedì 24 gennaio 2011

Sicilia: Piana degli Albanesi - Corleone (PA)


Abbasso i preconcetti. Osservare coi propri occhi e farsi un’opinione, non è solo l’ideale del senso civico. È la stessa motivazione che spinge noi biker a macinare chilometri laddove immaginiamo ci sia ancora qualcosa da esplorare o ritrovare. Palermo, San Giuseppe Iato, Corleone: forse, ingiustamente, resteranno ancora legate ad un’immagine di malaffare, ma basta metterci le ruote sopra per ricredersi. I pregiudizi, viaggiando in Sicilia, si squàgghianu comu nivi sutta u suli. L’itinerario – lo ammetto – è motivato da un secondo, potente stimolo, la gola: non è mica detto che un fine nobile non possa essere sostenuto da un peccatuccio venale...   

Il punto di partenza è Piana degli Albanesi (nell’idioma locale, Hora e Arbëreshëvet), la più importante comunità arbëreshë in Sicilia: qui si gusta il miglior cannolo di ricotta siciliano, lo sanno anche i tanti centauri che (col motore) da Palermo arrivano fin quassù per fare colazione. Il paese, facilmente raggiungibile dal capoluogo siciliano scalando le curve panoramiche (strette e a strapiombo sulla Conca d’Oro) della SP05B, è unico per folklore e patrimonio artistico e ambientale: antiche fontane, chiese secolari arricchite da splendide icone e il limitrofo lago artificiale (oasi del WWF), dotato di spiagge attrezzate e strutture sportive come il centro di canottaggio. A nord, verso il monte Pizzuta, gli appassionati di trekking non possono perdere l’itinerario che, passando dalla Grotta del Garrone, conduce a un isolato bunker risalente alla II guerra mondiale (la leggenda narra vi si rifugiasse il bandito Salvatore Giuliano), dal quale si gode una vista mozzafiato sulle valli dello Jato e di Piana. La deserta provinciale, da percorrere con prudenza a causa delle tante frane che caratterizzano l’intera rete viaria dell’Alto Belice, ospita anche il Memoriale di Portella delle Ginestre, dove nel 1947 fu scritta una delle pagine più tragiche e oscure della storia contemporanea italiana.


Per raggiungere S. Giuseppe Jato, al noioso scorrimento veloce preferisco la vecchia strada. Ad attirarmi sono le indicazioni per gli escursionisti e i ripidi vicoletti urbani in pietra che minacciano l’aderenza delle gomme. Percorro le viuzze pullulanti di fedeli di ritorno dalla messa domenicale, mentre frotte di cinquantini assordanti (tra cui un resuscitato Si Piaggio rosso) mi accerchiano per capire da che mondo arrivo.
Entro a San Cipirello, francobollato all’abitato jatino. Chiedo informazioni ai passanti e mi rendo conto di quanto la cadenza del dialetto siciliano e l’espressiva gestualità della gente siano ipnotiche. A est, superato il cimitero, affronto con cautela il bitume disastrato e, all’altezza di un abbeveratoio, trasformato da un giovane illese in un improvvisato car wash per la sua auto, mi addentro in una delle strade più incantevoli della valle: stretta, in pendenza, dall’asfalto chiaro e granuloso. Ai lati, una lunga staccionata in legno. Oltre, le geometrie dei vigneti e una distesa di prato smeraldo disseminata di greggi al pascolo. Sopra tutto, l’imponenza dei monti: spinto il tastino della massa, resta solo il sibilo del vento. La strada sbocca su un luogo di rara bellezza, la zona archeologica del Monte Iato: visito i resti dell’antica città di origine greca e il mistico Eremo dei Santi Cosma e Damiano.


Potrebbe mai lo spirito esplorativo di un centauro resistere al fascino di una vecchia strada ferrata per risalire verso Piana degli Albanesi (percorso sconsigliatissimo dagli abitanti del posto)? Durante il ventennio, tra questi campi era stato predisposto il tracciato per la linea ferroviaria che avrebbe dovuto servire la valle. Ne resta un lungo sterrato, corredato da buche, massacani, abbeveratoi in pietra in perfetto stato, fluenti rigagnoli d’acqua limpida, che a tratti lo trasformano in torrente, e tunnel bui e stretti, dentro cui - si racconta - i briganti nascondessero armi e danari. Il fondo stradale è impervio e richiede continui cambi di marcia e frequente uso della frizione.


Superata l’ultima galleria ritrovo la diga di Piana, sormontata dal Monte Pizzuta: sul lungolago, le antiche stazioni, in origine pensate per ospitare i viaggiatori della ferrovia fantasma, oggi sono state trasformate in accoglienti punti di ristoro per turisti.
Riprendo la SP05B e, prima di arrampicarmi sui panoramicissimi tornanti del Monte Maganoce, devio verso S. Cristina Gela, dove al sig. Parisi, gestore del Bar del Centro, basta poco per convincermi ad assaggiare, oltre ai già lodati cannoli, le cassatine e la sfincia alla ricotta di produzione propria.
Di curva in curva, lampeggiando a qualche motociclista affascinato come me dall’entroterra siculo e dribblando fango residuo e frane non segnalate, raggiungo quota 856 m. L’asfalto diventa scorrevole e pianeggiante: intorno, masserie abbandonate, ruderi divorati dalla vegetazione e assolati appezzamenti di terra multicolore, arati, coltivati o allo stato brado. Al bivio Lupotto entro nella la SS118 Corleonese Agrigentina e in pochi metri sono a Ficuzza: la bionda facciata in pietra arenaria del borbonico Casino di Caccia ottocentesco è una meraviglia. Intorno al piccolo borgo, la riserva naturale: 4000 ettari di bosco per spensierate passiàte a piedi.


Mi addentro ancora verso il centro della Sicilia. Percorrendo gli ultimi 5 chilometri, prima di giungere a Corleone, occorre prestare attenzione ai lavori di ammodernamento stradale ancora in corso. Tra le fittissime viuzze del centro storico percepisco le sfumature di questo luogo ingiustamente famigerato, emblema della Sicilia più profonda: l’odore di bucato tra i vicoli, i volti degli anziani seduti sull’uscio di casa, la taliàta diffidente dei giovani davanti ai bar. Di Corleone vanno ammirati le chiese antiche, la cascata delle Due Rocche e, in cima a una ripidissima pendenza, il Castello Soprano (IX sec.), incomprensibilmente abbandonato e chiuso al pubblico.
Circondato da una distesa di pale eoliche, incolonnate sui monti come torrette a difesa della vallata, ed investito da uno scirocco tanto insistente da trasformare la moto nella vela di Luna Rossa, seguo la statale verso sud. L’altitudine sale: entro nella valle del Sosio, quindi a Prizzi (1007 m slm), panoramica cittadina arroccata, intersecata da ripide pendenze e gradoni. Prima dell’ingresso del paese, irrefrenabile il richiamo della strada bianca che, tra i fichi d’india, costeggia il lago omonimo: e allora, guida in piedi sulle pedane e ginocchia strette sul serbatoio!


Mi inserisco sulla SS188 Centro Occidentale Sicula, altra entusiasmante arteria tutta curve che costeggia il fiume Sosio e la sua vivacissima flora. È intrigante scorgere i ruderi di alcuni ponti, malinconicamente abbandonati e chiusi al traffico nel corso dei decenni, con la loro storia antica fatta di continui andirivieni di carretti e corriere di montagna. Entro a Palazzo Adriano, altra comunità arbëreshë dell’isola: grazie alla Fontana Ottagonale (1608) e alla Chiesa Maria SS Assunta (1532) di rito greco bizantino, la centrale piazza Umberto I è tra le perle di Sicilia. Qui il regista Giuseppe Tornatore girò gli esterni del film Nuovo Cinema Paradiso (Oscar nel 1990).


Proseguendo per una decina di chilometri lungo la statale, immersa in un continuo sali e scendi di colline, poggi e valli e annoverata tra le “vie dei Formaggi” dei Monti Sicani (qui si può gustare un ottimo Pecorino Siciliano Dop), devio sulla SS188C e giungo a Bisacquino (633 mt slm), con le sue graziose case in pietra, la barocca Chiesa Madre settecentesca e il Santuario della Madonna del Balzo (XVII sec.). Finalmente arriva il momento di sedermi a un tavolo del bar della piazza centrale e di gustare una rinfrescante granita di limone siciliana: il gestore lamenta che, in seguito alla costruzione dello scorrimento veloce Palermo – Sciacca, il numero di turisti e visitatori è diminuito e quello degli abitanti addirittura dimezzato. Per me invece la sorpresa più emozionante è constatare che possono ancora esistere luoghi dove un gruppo di picciotteddi in calzoncini corti corre spensierato schiamazzando dietro al pallone sul cortile della chiesa.

Matri mia! Il duplice obiettivo del mio viaggio attraverso l’entroterra palermitano sembra essere raggiunto: in primis, gustare alcune delle celebri specialità dolciarie dell’isola; in secundis, abbattere i preconcetti. La Sicilia è (soprattutto) un luogo meraviglioso.

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NOTE:
L'autrice delle immagini di questo report, Giusanna Di Stefano, nasce a Catania nel 1965. Fotografa reporter e documentarista indipendente, inizia nel 1987, ha studiato arte e si è specializzata in fotogiornalismo. Ha lavorato per la pubblicità, la moda, il reportage, pubblicato su riviste nazionali come Rockstar e Motociclismo. Dal 2003 si dedica a progetti personali finalizzati ad approfondire temi ed argomenti di natura socio-antropologica e ambientale. In questo periodo si occupa di nuovi progetti che esplorano la dimensione del viaggio.
t: (+39) 339 22 135  68 - e-mail: phreporter@giusannadistefano.it - www.giusannadistefano.it.

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Mappa itinerario


sabato 22 gennaio 2011

BMW R80 GS Basic: un incontro emozionante

La foto scattata al buio con un Nokia N70 non le rende onore, ma, nonostante
la qualità dell'immagine, la Basic resta sempre una moto emozionante...

Da che due ruote sono mosse da un motore a scoppio, ogni rider, giovane o meno giovane, ha in cuor suo una moto dei desideri. Anche se già guida e possiede un modello unico, speciale, costoso, esclusivo, non c'è niente da fare: in fondo a quel cuore malato di moto continuerà a covare il desiderio di possedere il "ferro" a cui pensa da una vita ma che, per un motivo o per un altro, gli è sempre sfuggito.

Qualche settimana fa ero ospite a cena da un amico nel centro storico di Catania. Accedendo al cortile interno dell'edificio, sotto un portico, avvolto dalla polvere e dall'oscurità come fosse abandonato, cosa trovo? Un meraviglioso esemplare di BMW R80 GS Basic, bianca con sella e telaio blu e serbatoio maggiorato derivante dalla R 80 G/S Paris Dakar! Da batticuore!

La Basic monta un motore boxer di 800 cc da 50 CV a 2 valvole per cilindro ed è dotata di sospensione posteriore Pralever. Fu prodotta in soli 3003 esemplari nel 1996 ed è una delle GS più ricercate e valutate.

Che razza di motociclista è il proprietario di questo gioiellino ingabbiato e tutto impolverato? Ho lasciato un bigliettino sulla moto con scritto "Se non hai tempo per curarla e vuoi lasciarla in buone mani, mi offro volontario: chiamami e chiudiamo l'affare". Purtroppo sto ancora aspettando...

Sicilia: in Vespa sull'Etna

È il 27 dicembre 2009. Inebetito dal cambiamento di abitudini tipico delle vacanze in famiglia e intossicato da cibi, dolci e alcolici ingurgitati durante il micidiale triangolo cenone di Natale – pranzo di Natale – pranzo di S. Stefano, ho proprio bisogno di libertà e di vento tra i capelli o, casco permettendo, quantomeno sulla faccia. Quale luogo più straordinario dell’Etna, la mia terra, per guidare ed emozionarmi, per accelerare e sentire i brividi, per viaggiare con un filo di gas e percepire il repentino susseguirsi di paesaggi, luci, profumi e colori?

La Scrambler è in rimessa a Roma, al sicuro sotto un tetto, protetta da un robusto telo scuro. Per fortuna, durante la scorsa estate, avevo brillantemente portato a temine uno dei miei progetti più riusciti dell’anno: restaurare la mia vecchia e amata Vespa! E’ una fedele riproduzione della Vespa 150 anni ’60, con sella sdoppiata e ribaltina per il passeggero, riprodotta in India dalla Bajai sul finire dei ’90, periodo in cui la acquistai a Catania. Nel 2003 la trasportai a Roma, per spremerla (immeritatamente) come un limone per un paio d’anni nel caotico traffico capitolino. Quindi il parcheggio definitivo, finché non diede più segni di vita. La scorsa estate, complice persino il nostro amico Gamberetto, il restauro: motore PX 150 rettificato da un’officina di fiducia al Labaro, spedizione in treno fino in Sicilia, reperimento ricambi presso un demolitore di Aci S. Antonio e rifinitura presso il mio vecchio meccanico di fiducia, Turi. Il gioiellino torna a brillare! Resta solo una visitina dal carrozziere per una lucidatura, prevista per i prossimi mesi. In questo modo, anche quando mi trovo oltre lo stretto, posso saltare romanticamente in sella, godendomi il goffo borbottio del motore 2 tempi e lasciandomi conquistare dal fascino del cambio manuale.

Sul belvedere di Milo

Torniamo al 27 dicembre. Complice l’insolito tepore del periodo (il termometro segna una temperatura esterna di 25°!), senza guanti, senza scalda collo, con in testa il casco jet di mia sorella, decido di fare un giro senza meta, magari verso le pendici del vulcano. Da Catania mi dirigo verso Viagrande, dove non posso non fermarmi al Bar Urna per un arancino e un cannolo a colazione (!). Quindi proseguo in direzione nord e raggiungo Zafferana Etnea, e aggiungo un’altra perla gastronomica: mezzo chilo di Sciatori (fragranti biscotti ricoperti da uno strato di cioccolato solido) e un barattolone di Miele ai fiori d’arancio prodotto in loco. L’ampio bauletto anteriore della Vespa si trasforma così in una sicura dispensa: nei prossimi giorni avrò tempo per assaggiare…

È quasi mezzogiorno, di tornare indietro non ho proprio voglia: decido di salire ancora. L’asfalto scorre liscio sotto le piccole gomme della Vespa e, attraverso un suggestivo tratto di tornanti immerso nel fitto bosco etneo, che oscura completamente la luce del sole, giungo a Milo, dove faccio benzina, operazione che richiede tempo: la miscela al 2% si mixa manualmente con olio e misurino, come ai tempi di papà. Mi supporta l’anziano benzinaio, che non si stupisce affatto del mio mezzo vintage: lassù circolano numerosi veicoli introvabili nelle grandi città. Ape 50, Si, Fiat 850, 127 e Ritmo sono frequenti e in condizioni da vetrina.

Il bivio per la mitica Mareneve

La temperatura esterna è ancora confortevole, nessun problema alle mani nude, piuttosto felici di impugnare le imprecise manopole senza l’ausilio di pelle o goretex che le isolino dal manubrio. E così salgo ancora. Anziché proseguire per Linguaglossa, imbocco d’istinto la celebre Mareneve, direzione Etna. Nel giro di poche centinaia di metri entro nei confini del Parco Regionale, intorno a me lo scenario muta improvvisamente e le case, basse e affacciate direttamente sulla carreggiata, lasciano spazio alle prime tracce di deserto lavico. Ma ad esplodere sono soprattutto le curve e i tornanti in salita! Il cambio comincia a sfiorare la seconda marcia più frequentemente; sfilze di centauri a bordo di maxi sportive in assetto pista mi sfilano al triplo della velocità; in senso opposto, i lampeggianti dei motociclisti di ritorno dalle loro derapate, mi salutano increduli. Ci siamo anch’io e la mia Vespa, discreti, forse insoliti, ma orgogliosi, con spirito assolutamente identico a quello degli altri esploratori su due ruote.

Tra le lingue laviche che tagliano i boschi

Pigio il tastino rosso della massa e mi fermo ad osservare il paesaggio familiare intorno a me: una lingua di lava recente, dal colore scuro, distruttrice di ogni forma di vita sotto di se, taglia in due, come una striscia continua, ettari di boschi decespugliati dalla stagione invernale. Nel suo implacabile e tragico corso verso valle, il fiume lavico incredibilmente risparmiò una piccola cappella dedicata alla Madonna, circondandola senza abbatterla né danneggiarla. Quella cappella ora è un luogo di pellegrinaggio e di preghiera.

La cappella miracolosamente risparmiata dalla lava

Continuando a salire verso la cima, colori e vegetazione si mischiano e strati di magma solido di diverse epoche si inseguono. Tutto intorno il cielo azzurro, infinito, che all’orizzonte, in lontananza, si fonde con il blu del Mar Ionio. E un silenzio assordante, rotto solo dallo sporadico rombo di cilindri impallati che laggiù lottano contro le pendenze e la gravità. Senza rendermene conto eccomi alla resa dei conti con l’altitudine e la temperatura: il piccolo carburatore Dell’Orto comincia a respirare affannosamente e le mie mani, ora si, avrebbero bisogno di guanti caldi per stemperare il color porpora che hanno assunto! Nel frattempo, nubi grigie e veloci, forse cariche di neve, sbucano dalla vetta della montagna. Mio malgrado è arrivato il momento di riavvicinarmi al livello del mare.

La pace e il silenzio assordanti dei boschi dell'Etna

Prudente nei tornanti in discesa, impiegando tutta la mia sensibilità tra tamburo anteriore e posteriore e freno motore, faccio marcia indietro verso Milo e opto per discendere il vulcano lungo un’impegnativa stradina, stretta e impervia, che, passando per il piccolo, affascinante borgo di Miscarello, mi conduce a Giarre.
Sono le 14 e lo stomaco, abituato alle dilatazioni natalizie, reclama. Non me ne curo e, imboccando la famigerata SS 114, supero numerosi piccoli centri costieri, frenetici dopo l’ozio delle festività. Il clima adesso è tornato tropicale, tiro su la visiera del casco e giù la zip della giacca a vento. Mentre percorro timidamente la trafficata statale, superando Acireale, progetto la mia prossima ed ultima fermata: una località di mare, accarezzata dalle onde, baciata dal tepore del sole e sfiorata dalla brezza del Mediterraneo…

I bagnanti sul lungomare di Acitrezza: è il 27 dicembre!

La prescelta è Acitrezza. Le sue stradine sono strapiene di catanesi che affollano i ristorantini di pesce e i bar sul lungomare. Comincio a sentir caldo e sfilo via la giacca. Irresponsabilmente mi permetto anche il lusso di togliere il casco e, lasciandomi pettinare la chioma ribelle dallo scirocco, torno ragazzino. Sensazioni impagabili a lungo desiderate. Parcheggio la Vespa proprio davanti ai mitologici Faraglioni, a pochi metri dall’Isola Lachea, mi siedo, guardo il mare e respiro. Le donne prendono il sole in bikini, gli innamorati si sussurrano promesse, i bimbi inseguono i granchi sugli scogli lavici.

Sullo sfondo, l'Isola Lachea e uno dei Faraglioni di Acitrezza

La breve passeggiata quasi si è trasformata in un giro dell’Etna, la Vespa brilla ancora al sole, è il momento di tornare a casa. Ma la fame torna a bussare, c’è tempo per un’ultima tappa: è Natale, ma ad Acitrezza puoi permetterti di pranzare con granita di mandorla e pistacchio con panna e brioche calda anche a dicembre…

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giovedì 20 gennaio 2011

Ready, set, go!



Come tanti, da un biennio a questa parte ho deciso di pormi un macro obiettivo all’inizio di ogni anno. Un obiettivo personale da affiancare a tutte le altre mete che siamo tenuti a raggiungere nelle diverse sfere della nostra esistenza, professionale, familiare o affettiva per esempio.

Dopo la musica, che grazie al cielo è la mia attività principale, ho due grandi passioni: la scrittura e le motociclette. Perciò nel 2010 mi sono dato da fare per attivare le mie prime collaborazioni con un paio di blasonate riviste di settore come Riders e Motociclismo, tutt’ora tra le mie letture preferite. Nell’arco degli ultimi dodici mesi per queste riviste ho scritto una mezza dozzina di pezzi sui miei piccoli viaggi in moto e la gioia e le emozioni che ho provato e i feedback entusiasmanti che ho ricevuto da amici e sconosciuti, sono stati una delle cose più eccitanti degli ultimi anni!

Per quest’anno ho architettato una cosa ancora più ambiziosa: questo blog. Inizierò inserendo uno dopo l’altro gli ultimi report pubblicati qua e la e via via ne aggiungerò di nuovi giorno dopo giorno, in modo da costruire uno spazio dove condividere idee e riflessioni, report, immagini, video, contributi di amici, avventure di viaggio: comunque storie di moto e di motociclisti. Un angolo nella rete per tutti i biker che come me non si accontentano di viaggiare solo con la fantasia…

Aspetto i primi commenti (al primo prometto che manderò una bottiglia di ottimo vino…): buona lettura!