È il 27 dicembre 2009. Inebetito dal cambiamento di abitudini tipico delle vacanze in famiglia e intossicato da cibi, dolci e alcolici ingurgitati durante il micidiale triangolo cenone di Natale – pranzo di Natale – pranzo di S. Stefano, ho proprio bisogno di libertà e di vento tra i capelli o, casco permettendo, quantomeno sulla faccia. Quale luogo più straordinario dell’Etna, la mia terra, per guidare ed emozionarmi, per accelerare e sentire i brividi, per viaggiare con un filo di gas e percepire il repentino susseguirsi di paesaggi, luci, profumi e colori?
La Scrambler è in rimessa a Roma, al sicuro sotto un tetto, protetta da un robusto telo scuro. Per fortuna, durante la scorsa estate, avevo brillantemente portato a temine uno dei miei progetti più riusciti dell’anno: restaurare la mia vecchia e amata Vespa! E’ una fedele riproduzione della Vespa 150 anni ’60, con sella sdoppiata e ribaltina per il passeggero, riprodotta in India dalla Bajai sul finire dei ’90, periodo in cui la acquistai a Catania. Nel 2003 la trasportai a Roma, per spremerla (immeritatamente) come un limone per un paio d’anni nel caotico traffico capitolino. Quindi il parcheggio definitivo, finché non diede più segni di vita. La scorsa estate, complice persino il nostro amico Gamberetto, il restauro: motore PX 150 rettificato da un’officina di fiducia al Labaro, spedizione in treno fino in Sicilia, reperimento ricambi presso un demolitore di Aci S. Antonio e rifinitura presso il mio vecchio meccanico di fiducia, Turi. Il gioiellino torna a brillare! Resta solo una visitina dal carrozziere per una lucidatura, prevista per i prossimi mesi. In questo modo, anche quando mi trovo oltre lo stretto, posso saltare romanticamente in sella, godendomi il goffo borbottio del motore 2 tempi e lasciandomi conquistare dal fascino del cambio manuale.
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Sul belvedere di Milo |
Torniamo al 27 dicembre. Complice l’insolito tepore del periodo (il termometro segna una temperatura esterna di 25°!), senza guanti, senza scalda collo, con in testa il casco jet di mia sorella, decido di fare un giro senza meta, magari verso le pendici del vulcano. Da Catania mi dirigo verso Viagrande, dove non posso non fermarmi al Bar Urna per un arancino e un cannolo a colazione (!). Quindi proseguo in direzione nord e raggiungo Zafferana Etnea, e aggiungo un’altra perla gastronomica: mezzo chilo di Sciatori (fragranti biscotti ricoperti da uno strato di cioccolato solido) e un barattolone di Miele ai fiori d’arancio prodotto in loco. L’ampio bauletto anteriore della Vespa si trasforma così in una sicura dispensa: nei prossimi giorni avrò tempo per assaggiare…
È quasi mezzogiorno, di tornare indietro non ho proprio voglia: decido di salire ancora. L’asfalto scorre liscio sotto le piccole gomme della Vespa e, attraverso un suggestivo tratto di tornanti immerso nel fitto bosco etneo, che oscura completamente la luce del sole, giungo a Milo, dove faccio benzina, operazione che richiede tempo: la miscela al 2% si mixa manualmente con olio e misurino, come ai tempi di papà. Mi supporta l’anziano benzinaio, che non si stupisce affatto del mio mezzo vintage: lassù circolano numerosi veicoli introvabili nelle grandi città. Ape 50, Si, Fiat 850, 127 e Ritmo sono frequenti e in condizioni da vetrina.
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Il bivio per la mitica Mareneve |
La temperatura esterna è ancora confortevole, nessun problema alle mani nude, piuttosto felici di impugnare le imprecise manopole senza l’ausilio di pelle o goretex che le isolino dal manubrio. E così salgo ancora. Anziché proseguire per Linguaglossa, imbocco d’istinto la celebre Mareneve, direzione Etna. Nel giro di poche centinaia di metri entro nei confini del Parco Regionale, intorno a me lo scenario muta improvvisamente e le case, basse e affacciate direttamente sulla carreggiata, lasciano spazio alle prime tracce di deserto lavico. Ma ad esplodere sono soprattutto le curve e i tornanti in salita! Il cambio comincia a sfiorare la seconda marcia più frequentemente; sfilze di centauri a bordo di maxi sportive in assetto pista mi sfilano al triplo della velocità; in senso opposto, i lampeggianti dei motociclisti di ritorno dalle loro derapate, mi salutano increduli. Ci siamo anch’io e la mia Vespa, discreti, forse insoliti, ma orgogliosi, con spirito assolutamente identico a quello degli altri esploratori su due ruote.
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Tra le lingue laviche che tagliano i boschi |
Pigio il tastino rosso della massa e mi fermo ad osservare il paesaggio familiare intorno a me: una lingua di lava recente, dal colore scuro, distruttrice di ogni forma di vita sotto di se, taglia in due, come una striscia continua, ettari di boschi decespugliati dalla stagione invernale. Nel suo implacabile e tragico corso verso valle, il fiume lavico incredibilmente risparmiò una piccola cappella dedicata alla Madonna, circondandola senza abbatterla né danneggiarla. Quella cappella ora è un luogo di pellegrinaggio e di preghiera.
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La cappella miracolosamente risparmiata dalla lava |
Continuando a salire verso la cima, colori e vegetazione si mischiano e strati di magma solido di diverse epoche si inseguono. Tutto intorno il cielo azzurro, infinito, che all’orizzonte, in lontananza, si fonde con il blu del Mar Ionio. E un silenzio assordante, rotto solo dallo sporadico rombo di cilindri impallati che laggiù lottano contro le pendenze e la gravità. Senza rendermene conto eccomi alla resa dei conti con l’altitudine e la temperatura: il piccolo carburatore Dell’Orto comincia a respirare affannosamente e le mie mani, ora si, avrebbero bisogno di guanti caldi per stemperare il color porpora che hanno assunto! Nel frattempo, nubi grigie e veloci, forse cariche di neve, sbucano dalla vetta della montagna. Mio malgrado è arrivato il momento di riavvicinarmi al livello del mare.
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La pace e il silenzio assordanti dei boschi dell'Etna |
Prudente nei tornanti in discesa, impiegando tutta la mia sensibilità tra tamburo anteriore e posteriore e freno motore, faccio marcia indietro verso Milo e opto per discendere il vulcano lungo un’impegnativa stradina, stretta e impervia, che, passando per il piccolo, affascinante borgo di Miscarello, mi conduce a Giarre.
Sono le 14 e lo stomaco, abituato alle dilatazioni natalizie, reclama. Non me ne curo e, imboccando la famigerata SS 114, supero numerosi piccoli centri costieri, frenetici dopo l’ozio delle festività. Il clima adesso è tornato tropicale, tiro su la visiera del casco e giù la zip della giacca a vento. Mentre percorro timidamente la trafficata statale, superando Acireale, progetto la mia prossima ed ultima fermata: una località di mare, accarezzata dalle onde, baciata dal tepore del sole e sfiorata dalla brezza del Mediterraneo…
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I bagnanti sul lungomare di Acitrezza: è il 27 dicembre! |
La prescelta è Acitrezza. Le sue stradine sono strapiene di catanesi che affollano i ristorantini di pesce e i bar sul lungomare. Comincio a sentir caldo e sfilo via la giacca. Irresponsabilmente mi permetto anche il lusso di togliere il casco e, lasciandomi pettinare la chioma ribelle dallo scirocco, torno ragazzino. Sensazioni impagabili a lungo desiderate. Parcheggio la Vespa proprio davanti ai mitologici Faraglioni, a pochi metri dall’Isola Lachea, mi siedo, guardo il mare e respiro. Le donne prendono il sole in bikini, gli innamorati si sussurrano promesse, i bimbi inseguono i granchi sugli scogli lavici.
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Sullo sfondo, l'Isola Lachea e uno dei Faraglioni di Acitrezza |
La breve passeggiata quasi si è trasformata in un giro dell’Etna, la Vespa brilla ancora al sole, è il momento di tornare a casa. Ma la fame torna a bussare, c’è tempo per un’ultima tappa: è Natale, ma ad Acitrezza puoi permetterti di pranzare con granita di mandorla e pistacchio con panna e brioche calda anche a dicembre…
Chetelodicoafare ...Etna tutta la vita !
RispondiEliminaL'hai detto mparuzzu, "a muntagna" non delude mai...
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