lunedì 24 gennaio 2011

Sicilia: Piana degli Albanesi - Corleone (PA)


Abbasso i preconcetti. Osservare coi propri occhi e farsi un’opinione, non è solo l’ideale del senso civico. È la stessa motivazione che spinge noi biker a macinare chilometri laddove immaginiamo ci sia ancora qualcosa da esplorare o ritrovare. Palermo, San Giuseppe Iato, Corleone: forse, ingiustamente, resteranno ancora legate ad un’immagine di malaffare, ma basta metterci le ruote sopra per ricredersi. I pregiudizi, viaggiando in Sicilia, si squàgghianu comu nivi sutta u suli. L’itinerario – lo ammetto – è motivato da un secondo, potente stimolo, la gola: non è mica detto che un fine nobile non possa essere sostenuto da un peccatuccio venale...   

Il punto di partenza è Piana degli Albanesi (nell’idioma locale, Hora e Arbëreshëvet), la più importante comunità arbëreshë in Sicilia: qui si gusta il miglior cannolo di ricotta siciliano, lo sanno anche i tanti centauri che (col motore) da Palermo arrivano fin quassù per fare colazione. Il paese, facilmente raggiungibile dal capoluogo siciliano scalando le curve panoramiche (strette e a strapiombo sulla Conca d’Oro) della SP05B, è unico per folklore e patrimonio artistico e ambientale: antiche fontane, chiese secolari arricchite da splendide icone e il limitrofo lago artificiale (oasi del WWF), dotato di spiagge attrezzate e strutture sportive come il centro di canottaggio. A nord, verso il monte Pizzuta, gli appassionati di trekking non possono perdere l’itinerario che, passando dalla Grotta del Garrone, conduce a un isolato bunker risalente alla II guerra mondiale (la leggenda narra vi si rifugiasse il bandito Salvatore Giuliano), dal quale si gode una vista mozzafiato sulle valli dello Jato e di Piana. La deserta provinciale, da percorrere con prudenza a causa delle tante frane che caratterizzano l’intera rete viaria dell’Alto Belice, ospita anche il Memoriale di Portella delle Ginestre, dove nel 1947 fu scritta una delle pagine più tragiche e oscure della storia contemporanea italiana.


Per raggiungere S. Giuseppe Jato, al noioso scorrimento veloce preferisco la vecchia strada. Ad attirarmi sono le indicazioni per gli escursionisti e i ripidi vicoletti urbani in pietra che minacciano l’aderenza delle gomme. Percorro le viuzze pullulanti di fedeli di ritorno dalla messa domenicale, mentre frotte di cinquantini assordanti (tra cui un resuscitato Si Piaggio rosso) mi accerchiano per capire da che mondo arrivo.
Entro a San Cipirello, francobollato all’abitato jatino. Chiedo informazioni ai passanti e mi rendo conto di quanto la cadenza del dialetto siciliano e l’espressiva gestualità della gente siano ipnotiche. A est, superato il cimitero, affronto con cautela il bitume disastrato e, all’altezza di un abbeveratoio, trasformato da un giovane illese in un improvvisato car wash per la sua auto, mi addentro in una delle strade più incantevoli della valle: stretta, in pendenza, dall’asfalto chiaro e granuloso. Ai lati, una lunga staccionata in legno. Oltre, le geometrie dei vigneti e una distesa di prato smeraldo disseminata di greggi al pascolo. Sopra tutto, l’imponenza dei monti: spinto il tastino della massa, resta solo il sibilo del vento. La strada sbocca su un luogo di rara bellezza, la zona archeologica del Monte Iato: visito i resti dell’antica città di origine greca e il mistico Eremo dei Santi Cosma e Damiano.


Potrebbe mai lo spirito esplorativo di un centauro resistere al fascino di una vecchia strada ferrata per risalire verso Piana degli Albanesi (percorso sconsigliatissimo dagli abitanti del posto)? Durante il ventennio, tra questi campi era stato predisposto il tracciato per la linea ferroviaria che avrebbe dovuto servire la valle. Ne resta un lungo sterrato, corredato da buche, massacani, abbeveratoi in pietra in perfetto stato, fluenti rigagnoli d’acqua limpida, che a tratti lo trasformano in torrente, e tunnel bui e stretti, dentro cui - si racconta - i briganti nascondessero armi e danari. Il fondo stradale è impervio e richiede continui cambi di marcia e frequente uso della frizione.


Superata l’ultima galleria ritrovo la diga di Piana, sormontata dal Monte Pizzuta: sul lungolago, le antiche stazioni, in origine pensate per ospitare i viaggiatori della ferrovia fantasma, oggi sono state trasformate in accoglienti punti di ristoro per turisti.
Riprendo la SP05B e, prima di arrampicarmi sui panoramicissimi tornanti del Monte Maganoce, devio verso S. Cristina Gela, dove al sig. Parisi, gestore del Bar del Centro, basta poco per convincermi ad assaggiare, oltre ai già lodati cannoli, le cassatine e la sfincia alla ricotta di produzione propria.
Di curva in curva, lampeggiando a qualche motociclista affascinato come me dall’entroterra siculo e dribblando fango residuo e frane non segnalate, raggiungo quota 856 m. L’asfalto diventa scorrevole e pianeggiante: intorno, masserie abbandonate, ruderi divorati dalla vegetazione e assolati appezzamenti di terra multicolore, arati, coltivati o allo stato brado. Al bivio Lupotto entro nella la SS118 Corleonese Agrigentina e in pochi metri sono a Ficuzza: la bionda facciata in pietra arenaria del borbonico Casino di Caccia ottocentesco è una meraviglia. Intorno al piccolo borgo, la riserva naturale: 4000 ettari di bosco per spensierate passiàte a piedi.


Mi addentro ancora verso il centro della Sicilia. Percorrendo gli ultimi 5 chilometri, prima di giungere a Corleone, occorre prestare attenzione ai lavori di ammodernamento stradale ancora in corso. Tra le fittissime viuzze del centro storico percepisco le sfumature di questo luogo ingiustamente famigerato, emblema della Sicilia più profonda: l’odore di bucato tra i vicoli, i volti degli anziani seduti sull’uscio di casa, la taliàta diffidente dei giovani davanti ai bar. Di Corleone vanno ammirati le chiese antiche, la cascata delle Due Rocche e, in cima a una ripidissima pendenza, il Castello Soprano (IX sec.), incomprensibilmente abbandonato e chiuso al pubblico.
Circondato da una distesa di pale eoliche, incolonnate sui monti come torrette a difesa della vallata, ed investito da uno scirocco tanto insistente da trasformare la moto nella vela di Luna Rossa, seguo la statale verso sud. L’altitudine sale: entro nella valle del Sosio, quindi a Prizzi (1007 m slm), panoramica cittadina arroccata, intersecata da ripide pendenze e gradoni. Prima dell’ingresso del paese, irrefrenabile il richiamo della strada bianca che, tra i fichi d’india, costeggia il lago omonimo: e allora, guida in piedi sulle pedane e ginocchia strette sul serbatoio!


Mi inserisco sulla SS188 Centro Occidentale Sicula, altra entusiasmante arteria tutta curve che costeggia il fiume Sosio e la sua vivacissima flora. È intrigante scorgere i ruderi di alcuni ponti, malinconicamente abbandonati e chiusi al traffico nel corso dei decenni, con la loro storia antica fatta di continui andirivieni di carretti e corriere di montagna. Entro a Palazzo Adriano, altra comunità arbëreshë dell’isola: grazie alla Fontana Ottagonale (1608) e alla Chiesa Maria SS Assunta (1532) di rito greco bizantino, la centrale piazza Umberto I è tra le perle di Sicilia. Qui il regista Giuseppe Tornatore girò gli esterni del film Nuovo Cinema Paradiso (Oscar nel 1990).


Proseguendo per una decina di chilometri lungo la statale, immersa in un continuo sali e scendi di colline, poggi e valli e annoverata tra le “vie dei Formaggi” dei Monti Sicani (qui si può gustare un ottimo Pecorino Siciliano Dop), devio sulla SS188C e giungo a Bisacquino (633 mt slm), con le sue graziose case in pietra, la barocca Chiesa Madre settecentesca e il Santuario della Madonna del Balzo (XVII sec.). Finalmente arriva il momento di sedermi a un tavolo del bar della piazza centrale e di gustare una rinfrescante granita di limone siciliana: il gestore lamenta che, in seguito alla costruzione dello scorrimento veloce Palermo – Sciacca, il numero di turisti e visitatori è diminuito e quello degli abitanti addirittura dimezzato. Per me invece la sorpresa più emozionante è constatare che possono ancora esistere luoghi dove un gruppo di picciotteddi in calzoncini corti corre spensierato schiamazzando dietro al pallone sul cortile della chiesa.

Matri mia! Il duplice obiettivo del mio viaggio attraverso l’entroterra palermitano sembra essere raggiunto: in primis, gustare alcune delle celebri specialità dolciarie dell’isola; in secundis, abbattere i preconcetti. La Sicilia è (soprattutto) un luogo meraviglioso.

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NOTE:
L'autrice delle immagini di questo report, Giusanna Di Stefano, nasce a Catania nel 1965. Fotografa reporter e documentarista indipendente, inizia nel 1987, ha studiato arte e si è specializzata in fotogiornalismo. Ha lavorato per la pubblicità, la moda, il reportage, pubblicato su riviste nazionali come Rockstar e Motociclismo. Dal 2003 si dedica a progetti personali finalizzati ad approfondire temi ed argomenti di natura socio-antropologica e ambientale. In questo periodo si occupa di nuovi progetti che esplorano la dimensione del viaggio.
t: (+39) 339 22 135  68 - e-mail: phreporter@giusannadistefano.it - www.giusannadistefano.it.

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