sabato 26 marzo 2011

Umbria: Primavera nel narnese (TR)


Tirar tardi in un locale dell’EUR pieno così di distrazioni, la notte prima di mettersi in sella, è l’ingenuità più frequente che possa capitare a un uomo. Le conseguenze si iniziano a pagare già al risveglio: poco c’è mancato che oggi lasciassi a casa anche la testa! Ho commesso due grandissime minchiate stamattina: una, ho sottovalutato i repentini ribaltamenti climatici tipici del mese di marzo, optando per i guanti in pelle primaverili anziché quelli invernali imbottiti; due, ho lasciato il paraschiena Dainese nel buio dell’armadio Ikea e il bello è che me ne sono accorto quando ero già a 100 km da Roma! Per queste due ragioni (il paraschiena, si sa, funge anche da tiepida panciera…) oggi ho sentito tanto, ma tanto freddo. Durante i primi 50 km, in particolare, ho guidato contratto come un pivello e rigido come una scopa. A scaldarmi, per fortuna, ci hanno pensato tutti quei bei pensieri e tutte quelle belle riflessioni che saltano fuori solo col casco in testa e con due cilindri sotto il sedere.
È mattina presto quando lascio Roma. Per un pelo non rimango imprigionato dall’insolita ragnatela di strisce di plastica gialla legate da un palo della strada all’altro e da una lunga barriera di transenne presidiate da vigili urbani e volontari. Che succede? Solo appurando la presenza di un banchetto di rifornimenti tra il Foro Italico e Ponte Milvio mi rendo conto che sono nel bel mezzo di quella che tra pochi minuti sarà una strada invasa da sportivi appassionati di corsa: oggi è in programma la Maratona di Roma.
Lascio la città dalla SS3 Flaminia, strada decente solo dopo aver superato Morlupo e interessante dopo aver passato Civita Castellana. Stranamente nella prima parte della mattina non incontro compagni di viaggio su due ruote, di solito si fa puntualmente vivo almeno un harleysta della domenica.


Supero il bivio per Orte e proseguo in direzione Terni, dove, almeno per oggi, non metterò le ruote. Sulla carta, la mia meta è più modesta delle Marmore o del Terminillo ma, dopo averla visitata in lungo e in largo, sarà annoverata tra quelle che non dimenticherò: il territorio di Narni e dintorni.


Dopo Magliano Sabina, mi lascio il Lazio alle spalle, entro nel verde lussureggiante dell’Umbria e in meno di 10 km sono ad Otricoli, un luogo difficile da pronunciare quanto facile da adorare. Prima di raggiungere il centro storico del paese, ricordo di aver sentito che da queste parti esiste una zona archeologica dal fascino raro.


Un indigeno mi indirizza verso un ovile e sono fortunato che il cane pastore questa volta mi resti indifferente. “L’anfiteatro sta di là ma è chiuso”, borbotta il fattore. Non mi do per vinto e, seguendo un sentiero, arrivo a un cancello accostato ma accessibile: è l’ingresso dell’Area Archeolgica di Otricolum, una delle città romane più interessanti del centro Italia, comprendente i resti dell’antica via Flaminia, dell’anfiteatro e del porto fluviale sull’antico letto del Tevere. Un’oasi di verde e di storia resa ancora più speciale dalla totale assenza di altri visitatori.


Otricoli, il borgo medievale posto a monte dell’area archeologica, è circondato da alte mura di tufo. Accedo al centro tramite la Porta Maggiore e, tra cortili, fontanelle e vicoletti, con un filo di gas conduco la Scrambler fino alla piazza antistante la chiesa di S. Maria Assunta. Molti gatti, grassi e sornioni, e pochi anziani sembrano essere gli unici abitanti del paese.


Piuttosto che rimettermi sulla Flaminia in direzione nord, decido di imboccare una stradina secondaria desolata, la SP71, che conduce fino a Calvi dell’Umbria. È già mezzogiorno, il sole tampona il mio deficit termico odierno. Sono felice: guido in terza marcia, immerso nel verde umbro e baciato dalla luce primaverile.


Eccomi a Calvi: due torri murarie e una porta medievale, tristemente celata dalla sosta selvaggia di alcune auto, mi danno il benvenuto. Gli antichi edifici sono tutti affrescati da colorati murales dedicati alla Natività. In centro, i quotidiani del giorno sventolano sui tavolini del bar e sgargianti cartelli VENDESI tappezzano gli angoli smussati dei vicoli.


Noto l’indicazione per Monte S. Pancrazio e la mia cartina mi dice che in cima all’omonima via dovrei trovare un santuario di montagna. La mia passione per le strade in pendenza non resiste e, senza pensarci troppo, ne inforco una tra le più assurde (in positivo) mai percorse: lunghi rettilinei, tutti in salita, interrotti da bruschi e ripidi tornanti, una carreggiata che non supera i 3 metri di larghezza e una barriera impenetrabile di vegetazione ai lati, talmente fitta che non riesco a scorgere nemmeno uno spiraglio di panorama: pare di essere dentro il labirinto magico di Harry Potter! Incrocio solo due KTM da cross di ritorno da chissà quale sfida sul fango.


Salgo, salgo, sempre più su, iniziando a capire il perché in cima a quella impervia salita ci sia proprio un santuario… Finalmente il traguardo e con esso la delusione: il santuario è chiuso e architettonicamente insignificante. Ma basta voltarsi dall’altra parte per trovarsi di fronte alla vera risorsa del monte: una moderna “cattedrale” di tralicci, antenne e ripetitori, perfetto emblema dello squallore ambientale.


Torno giù e seguo la provinciale Calvi – Narni, fino al bivio per la SP72, un’altra di quelle arterie che rendono l’Umbria speciale. All’incrocio dopo Itieli svolto a sinistra e, sostenuto da un'esplosione di misticismo, decido di trovare una risposta alla domanda: se San Francesco d’Assisi fosse vissuto negli ultimi cento anni, si sarebbe spogliato anche della motocicletta? Per scoprire quanto biker fosse il patrono d’Italia, mi dirigo a sud, supero il minuscolo borgo di S. Urbano e in poche curve giungo in un luogo paradisiaco di nome e di fatto, il Sacro Speco di San Francesco.


In questa isola di pace, ordine, preghiera e silenzio, valori profondamente rivendicati dai frati del convento, visito la cella del santo, con tanto di letto costituito da una dura tavola di pietra, lo speco, ovvero l’umida grotta dove si rifugiava in preghiera, e il suo albero di castagno, sopravvissuto nei secoli. Vivere un posto del genere è una cura per l’anima. Così, avvolto dall’aria di santità del convento e ammirato dal coraggio spericolato del santo, giungo alla personalissima conclusione che l’animo di Francesco d’Assisi era proprio quello di un antico biker. Esploratore dell’anima, non certo della strada.


Dopo aver nutrito l’anima ed accertato che anche il serbatoio della Triumph avesse “nutrimento” sufficiente a proseguire, è il mio stomaco a protestare. D’altronde sono le tre del pomeriggio… Torno indietro verso Itieli e percorro le belle curve lungo la provinciale cha passa da Altrocanto. In un momento di smarrimento, distratto dalla fame e restio a riprendere la cartina, ad un incrocio incontro un giovanissimo centauro, fiero a bordo della sua stilosissima Yamaha WR125X supermotard e abbigliato di tutto rispetto, con casco offroad, giacca e guanti tecnici. Gli domando la strada per Narni e generosamente si offre di farmi da “apripista” fino all’ingresso del paese. Percorriamo insieme un paio di chilometri a velocità moderata e in lui inevitabilmente rivedo me stesso alla sua età, quando a cavallo di un’Aprilia ETX 125 vivevo tutta l’ebbrezza e l’euforia dei 16 anni. Gli regalo una patch Conlamoto in segno di gratitudine, ma frettolosamente dimentico di chiedergli il nome, mi sarebbe piaciuto citarlo.


Narni è il centro geografico del nostro paese: meta perfetta per celebrare il 150° del Unità d’Italia. Basta un colpo d’occhio per notare due testimonianze del passato che ne caratterizzano il panorama: il Ponte Augusteo e il costone roccioso dominato dall’imponente Rocca Albornoz risalente al 1360.


Parcheggio di fronte la fontana di piazza Garibaldi, già popolata da un gruppo di Suzuki da strada, da una Ducati 1098, da un Ninja e da qualche immancabile sport tourer BMW. Mi sento affranto e, lasciata la moto, entro a piedi in centro per cercare un’osteria dove sedermi e rifocillarmi. Tutto chiuso, è normale alle 15.45!
Miracolosamente trovo quello che ogni motociclista desidera, ospitalità, buona compagnia e sapori genuini, nella bella bottega gastronomica di Cesare, un oste eccezionale a cui è stata dedicata persino una pagina su Facebook. Chiacchieriamo a lungo, io seduto su una sedia di legno e lui dietro il suo bancone carico di ogni bendiddio. Tra una parola e l’altra, affetta salumi e formaggi, mi offre degustazioni di ogni genere (da non perdere la torta Pasqualina salata farcita con Capocollo…) accompagnandole con spassosi aneddoti sulla sua vita di uomo e di motociclista. Da ragazzo, guidava le Bianchi MT61 dell’Esercito Italiano e una volta si regalò una potente KTM da regolarità per andare a cacciare nei boschi.


Rifocillato a dovere dalle storie e dalle leccornie di Cesare e dopo un espresso stretto, indispensabile per tornare a “mettere le ali”, sgranchisco le gambe facendo due passi digestivi in piazza dei Priori per ammirare il palazzo comunale e l’antica Loggia.


Sono agli sgoccioli della mia ventosa domenica umbra, mi rimetto in sella e, superato Stifone, la via Ortana mi porta al bivio per Montoro. In pochi minuti compare all’orizzonte il profilo di una fortezza poggiata su un colle di arena gialla oro da cui il borgo prese il nome.


Un paio di chilometri e sono già davanti l’ingresso del Castello Baronale, un enorme spiazzo su cui affacciano anche la antica scuola e la facciata scintillante della chiesa baronale. Montoro ha un aspetto semi spettrale: gli edifici sembrano abbandonati, gli arredi urbani sono in evidente decadimento. Il castello è sbarrato ed è separato dalla piazza da un alto muro di pietra.
L’occasione è buona per socializzare con un gruppetto di simpatici centauri ternani non più giovanissimi, anche loro rilassati sulle panchine della piazza: “Sentito che freddo oggi? Siedi con noi a ripigliarti”. Tre uomini e una donna, e due moto tra loro agli antipodi, l’incompresa Ducati Multistrada 1000DS e un’infaticabile Kawasaki Z500 del 1983, abilmente restaurata dal proprietario. I ragazzi scansionano la Scrambler con gli occhi ed elogiano l’affidabilità del bicilindrico inglese. Ne nasce un’entusiasmante chiacchierata sui luoghi ternani da non perdere, la Valnerina, l’Orvietano: “Vienici a trovare su a Terni, ci vediamo tutti i venerdì sera (…). Non c’è ‘na domenica che ‘sti qua non stanno in giro sulle moto”.



Sono ormai le sei del pomeriggio, il vento freddo proveniente da nord continua a soffiare e a disturbare il mio equilibrio termico sulla moto. Per limitare la carenza dei guanti invernali, indosso tutto il resto dell’attrezzatura che ho portato, passamontagna, scaldacollo, pantalone impermeabile. Stringo gli elastici ai polsi e chiudo le prese d’aria del casco. Torno giù verso la SS675 che porta a Orte. Mi illudo di dover prendere una decisione, ma so già bene che il freddo inatteso di oggi mi porterà ad evitare le correnti d’aria dei cavalcavia della A1 e a optare per una più mite via Flaminia. Lo scorrere lento del traffico sulla statale non mi spaventa, anzi sarà la guida che per mano mi riaccompagnerà senza pericoli fino a casa.

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Informazioni utili:

Dove mangiare:
Gastronomia Terra & Arte, vicolo Belvedere 1, Narni (TR), tel. 0744 726385.
Costi del viaggio: carburante 20 euro, pranzo e bevande 7,50 euro.
Chilometri percorsi: tot. 250

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sabato 19 marzo 2011

Yamaha XT 600: quello che non c'é non si rompe

L'immagine di una vecchia brochure della Yamaxa XT 600 43F. Sullo sfondo il Sahara...

È il 1979. Thierry Sabine organizza la prima edizione di quello che diventerà uno dei Rally Raid più famosi al mondo, la Parigi Dakar. Le imprese dei mezzi e dei piloti impegnati nel deserto del Sahara infiammano gli animi degli appassionati di tutto il mondo. 
Mentre la Yamaha XT 500 del francese Cyril Neveu vince la prima Dakar, Fabio ha solo 17 anni, ma ad Alassio, in Liguria, dove sterrati, dislivelli e fondi pietrosi dettano legge sull’asfalto, esplode la sua grande passione per l’enduro, nata appena pochi anni prima in sella a un Fantic Regolarità Casa 50 elaborato con cilindro, espansione, carburatore, frizione e rapporti del modello Competizione. Le colline di Alassio, le spiagge, il clima mite e la posizione strategica, a metà tra la Costa Azzurra francese e i boschi dell’entroterra del Basso Piemonte, offrono un ambiente naturale impareggiabile per dedicarsi quotidianamente all’off-road. Così, lungo la pista di motocross di Colle San Bartolomeo, vicino Imperia, su un tracciato pieno di buche e discese da brivido, il Fantic di Fabio cerca invano di stare al passo dei più potenti Villa 250, Bultaco 250 e KTM 400, tutti rigorosamente 2T.

Fabio nel 1984 con la sua prima 43F nera e rossa nuova di zecca

Arriva il 1982 e Yamaha commercializza i primi motori 600 cc sulla celebre XTZ Ténéré. In quegli anni, come tanti suoi coetanei, anche Fabio subisce il fascino selvaggio e irresistibile delle enduro dakariane. L’incontro con la moto che gli cambierà la vita avviene nel 1984, quando, provando il nuovo acquisto di un amico, si accende in lui una fiamma che ancora oggi lo scalda: la passione per una delle monocilindriche da enduro più affidabili e longeve della storia, la Yamaha XT 600. “La mia prima XT 600 era nera con telaio rosso, la tenni per circa un anno. Nel 1998 acquistai la 2KF blu che possiedo ancora oggi. L’ultima è arrivata nel 2008, una 43F del 1984, bianca e rossa, che sto restaurando con le mie mani”.


La 2KF blu di Fabio durante un raduno. Da notare il tassello su entrambi i pneumatici

Con perizia ed entusiasmo, Fabio racconta nascita ed evoluzione di questo glorioso modello: “Dopo la 500 del 1976 e la 550 del 1981, i mono Yamaha da 600 cc arrivano prima sulla XTZ 34L Ténéré, con serbatoio da 30 litri, ispirata proprio ai rally nel deserto, poi sulla XTZ 55W”.

La Yamaha XTZ 34L Tenerè del 1982

La casa di Iwata decide quindi di puntare sulla stessa cilindrata anche per le XT ed ecco che nel 1984 nasce la 43F: “motore da 45 CV con carburatore  sdoppiato e cambio a 5 marce. Serbatoio da 11 litri, forcellone posteriore in alluminio, freno anteriore a disco, forcelle anteriori Showa, cerchi in lega color oro di ottima qualità. Peso a vuoto, circa 140 kg”. Insomma, tutto per sognare le piste africane!
In Italia la popolarità delle XT si impenna e anche il cinema ne celebra il successo: come dimenticare la polverosa sfida di Carlo Verdone, proprio a bordo di una 43F, nella commedia “Troppo forte”?

La Yamaha XT 600 43F galleggia tra le dune in una brochure del 1984

Nel 1987 arriva il modello 2KF, più stradale e pesante. “Yamaha aggiunge il freno a disco posteriore, il serbatoio arriva ai 13 litri, cambia l'inclinazione del cannotto di sterzo, per offrire maggiore stabilità (e meno maneggevolezza...), e aumenta la potenza del motore, grazie alla maggiori dimensioni del carburatore e delle valvole della testata. La XT però rinuncia al forcellone in alluminio, optando per l’acciaio, e alle forcelle anteriori Showa”.

La Yamaha XT 600 2KF blu e gialla, una delle colorazioni di maggior successo

La XT diventa un modello sempre più proiettato verso l'asfalto, e il percorso iniziato con la 2KF prosegue anche con i modelli successivi, XT 600 E/K tipo 3TB/3UW 1990/1995. “Il modello K mantiene l’avviamento a pedale, mentre il modello E dispone del solo avviamento elettrico. Il peso aumenta sino ai 175 kg del modello E, i cerchi sono in acciaio, la dimensione della ruota posteriore passa da 18” a 17”, le sospensioni perdono alcuni millimetri di escursione, il telaio perde robustezza ed include nella sua struttura persino il terminale della marmitta (!)”. Spariscono così molti pregi delle prime versioni, a vantaggio di una maggior fruibilità su strada.

La Yamaha XT 600 E 3TB con avviamento elettrico

Le ragioni del successo della XT 600 non sono un segreto. E' un mezzo polivalente, in grado di viaggiare su asfalto, dove “può raggiungere i 160 Km/h”, su sterrato e, senza troppe modifiche, anche in mezzo al deserto, “nelle officine africane la sua meccanica è ben nota”. I consumi del mono quattro tempi sono molto contenuti, circa 20 Km/litro. La meccanica è estremamente longeva: “la mia 2KF - rivela Fabio - ha ben 110.000 Km”! È una moto senza “estremismi” tecnici ma dotata di grande robustezza, affidabilità e semplicità di utilizzo. In questo caso più che mai vale il detto: “quello che non c'é non si può mai rompere!”.
Naturalmente anche le XT degli anni ’80 e ’90 possono presentare alcuni punti deboli, specie dopo aver percorso decine di migliaia di chilometri: “le sedi dei cuscinetti di banco, la cementazione degli ingranaggi del cambio, il raddrizzatore / stabilizzatore di tensione e talvolta gli avvolgimenti dello statore. Tutti difetti che comunque si presentano (se si presentano) non prima dei 40/50.000 chilometri”.

Una 3TB durante un raduno. Sullo sfondo la "cugina" TT 600 59X

Recentemente, anche a causa della crisi, il mercato dell’usato è molto più vivace di quello del nuovo. Ma di “vecchie” XT in buone condizioni non se ne trovano così facilmente. “Serve molta fortuna per scovare un esemplare dimenticato in cantina, mentre é più facile acquistarne uno ben tenuto anche se non più completamente originale”.
Le versioni suggerite sono quelle prodotte prima del 1990: “Un 43F del 1984 in buone condizioni può valere tra i 1000 e i 1800 euro. La valutazione è più o meno identica per un 2KF, mentre un XTZ 34L può anche superare i 2000 euro”.
Prima dell’acquisto di un modello usato, il propulsore è la parte da controllare con maggior attenzione: “motori che producono rumori anomali o che necessitano di un costoso smontaggio completo sono da evitare”. Al contrario, se ben carburata, una XT 600 degli anni '80 si accende anche con la semplice spinta di una mano: “provare per credere”!
Per la ciclistica non occorrono particolari cautele, “basta fare un bel giro di prova”. I ricambi sono facilmente reperibili, “sia su Ebay, sia nei vari mercatini dell'usato”.
L’acquisto di una XT 600 usata si traduce così in economia di esercizio, robustezza ineguagliata, polivalenza, facilità di riparazione e, dettaglio non trascurabile, risparmio su assicurazione e bollo (il modello compare nel registro FMI delle moto d'epoca).

Un raduno xt600.it sul Colle dei Signori (2111 mt slm), lungo la via del Sale che collega Liguria e Piemonte

Chiedo a Fabio se l’attuale XT commercializzato da Yamaha sia all’altezza del modello storico: “Per me no, ma… non dirlo forte. La fabbricazione made in Italy non ha portato benefici. Pare che manchi la volontà: le recenti rivisitazioni di XT, Tenerè e Super Tenerè poi, per me non sono restyling ma moto “diverse” e basta”.

In primo piano un "reimpasto" di Teneré di varie edizioni. Sullo sfondo la 2KF e un Tenerè originale

Spinto dalla sua passione, nel 2001 Fabio fonda il forum xt600.it, dov’è possibile incontrare altri possessori e fan del monocilindrico di Iwata, condividere esperienze, immagini e informazioni e partecipare ai raduni organizzati in ogni stagione e in ogni parte d’Italia. “Eravamo 4 amici al bar e, iniziando a cercare notizie utili sulla XT 600, ci rendemmo conto che c’era parecchio da fare per ridare spolvero a questo modello. Così, prendendo spunto da siti esteri, e, grazie alla collaborazione degli oltre 4000 utenti attivi, oggi il forum accoglie una meticolosa banca dati e una comunità molto vasta. Siamo molto orgogliosi della nostra community, sempre pronta ad accogliere amichevolmente i nuovi iscritti e a dare una mano nel momento del bisogno, all’occorrenza anche tramite raccolte fondi spontanee, uno dei tanti esempi di solidarietà di cui xt600.it va fiero”.

Un raduno xt600.it sulle alture di Savona, località Rocca dei Corvi

Oggi Fabio ha 48 anni, si occupa di informatica ed elettronica, vive con la moglie ed è papà di una bellissima bimba di 7 anni. Tra lavoro, studio e famiglia, trova ancora il tempo di consumare i tasselli della sua 2KF blu sugli sterrati lungo la via Aurelia o verso le Alpi Marittime. E, in caso di pioggia, non sarebbe una sorpresa trovalo nel suo garage di Alassio, tra attrezzi anneriti dal grasso e vecchi ricambi, intento a restaurare, fino a tarda notte, la sua “nuova” 43F bianca e rossa dell’84.

2011 © Alberto Di Stefano - Conlamoto.it

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domenica 13 marzo 2011

(Con la) Moto Days 2011


Il parcheggio custodito della Nuova Fiera di Roma esplode di moto, scooterini e “spooteroni”. Quello incustodito è deserto, online si è sparsa rapidamente la voce che una Speed Triple sia stata rubata dai soliti ignoti e che un’altra moto sia stata trovata con il blocco accensione danneggiato. Il cielo plumbeo di Fiumicino non promette nulla di buono, nonostante la primavera sia prossima. I centauri romani si tuffano così in uno degli eventi più attesi del centro Italia. Tante aspettative saranno ripagate da altrettante soddisfazioni?
Da un paio d’anni a questa parte vivo le grandi fiere motociclistiche con uno stato d’animo imprevisto. Non riesco più a lasciarmi incuriosire dai nuovi modelli esposti negli stand delle case o delle concessionarie. Forse perché la mia passione per le moto si basa più sulle emozioni di guida che sull’aspetto tecnico-estetico. Né tantomeno mi ossessiona il look invitante delle hostess, la cui presenza ammiccante alimenta solo i recenti dibattiti sulla mercificazione del corpo femminile. 
Quello che mi intrippa invece, è osservare le reazioni e le espressioni degli altri visitatori, cercando di immaginare le loro riflessioni mentre ammirano le moto o saltano in sella ai modelli statici esposti. Come una coppia papà – figlio 18enne alle prese con la nuova Honda Hornet: il primo, con sguardo severo, sembra mettere in guardia il secondo, il quale, postosi sulla difensiva, da il meglio di se per convincere il genitore circa la bontà delle proprie intenzioni alla guida.


Un arzillo guzzista, forse lontano parente di Capitan Findus, in sella alla Nevada 750 Anniversario rivive i bei tempi andati, quando, a bordo della sua bicilindrica a V lungo la Roma – Ostia, lasciava che la brezza gli carezzasse i capelli.


Due papà, per l’occasione svincolati da ogni incombenza genitoriale, alla vista di un rarissimo esemplare originale di Yamaha XT500 della prima metà degli anni '80, sprizzano un entusiasmo che lascia facilmente intendere quanto questo modello fosse l’emblema di uno dei momenti migliori della loro spensierata giovinezza.


Fa molto strano anche contemplare quelli che provano proprio il modello di moto da noi già posseduto: potrei rispondere con più onestà di qualunque dealer ai dubbi che in questo momento passano per la testa di un 40enne a cavallo della Triumph Scrambler, già gratificato dal consumismo artificiale della vita, come testimoniato dalla giacca Fay e dalle Hogan di ordinanza.



Poi ci sono “i giovanotti de sta Roma bella” che cercano il pelo nell’uovo in una (bellissima) Kawasaki W800, immaginando quanto sarebbe forte arrivare al bar del quartiere la domenica mattina accompagnati dal borbottio degli sgargianti scarichi a collo di bottiglia della bicilindrica giapponese.


Aldilà delle mie allucinazioni, il Moto Days suscita commenti opposti tra i visitatori. I fighetti che vanno a Milano o a Monaco, abituati a ben altri budget, deridono la manifestazione romana tacciandola di provincialismo. Gli appassionati più semplici, al contrario, restano entusiasmati, non solo dalle scollature delle hostess negli stand, ma dalla possibilità di entrare comunque a contatto diretto con la propria passione.
Dal mio punto di vista, alla rassegna capitolina mancano gli approfondimenti: pochissimi gli accenni alla sicurezza e all’ecologia (stand Eni escluso), oggi temi di assoluta priorità per il futuro del comparto. Mentre invece trovi gruppi di assonnati appassionati over 60 che davanti alle telecamere discutono di modelli d’epoca (non me ne voglia il raro esemplare di Harley Davidson in primo piano)...


In mezzo agli stand ufficiali Honda e Yamaha poi, saltano inspiegabilmente fuori banconi che vendono torrone e dolciumi, che reclamano un prodigioso lucido da scarpe o che espongono tazze raffiguranti il fascio littorio e la gazzella dei Carabinieri insieme ai logo delle case motociclistiche…


Mi consolo allo stand della Magnitudo, azienda di streetwear che ospita divertenti concerti di cover band degli Stray Cats e dei Blues Brothers, pieno così di vecchie Harley, di biker selvaggi con il mito Sonny Barger e di bellezze tatuate che sembrano arrivare direttamente dagli anni ‘60. Ho incontrato persino una rappresentanza della sezione italiana dei famigerati Hell’s Angels! Infine, lo stand più bello del Moto Days 2011, quello della Headbanger Motorcycles (nella foto il telaio, il motore e poco altro di una Gipsy Soul con gomme tassellate): aldilà dello stile custom (che può piacere o meno) e dei prezzi elevati, è un’azienda avanti, con stile e idee innovative, con valori chiari e coerenti. Una filosofia di business che dovrebbe ispirare le case costruttrici più affermate a sperimentare idee coraggiose e alternative.


Mentre bazzico uno dei tanti shop di abbigliamento moto (insuperabili i commercianti napoletani e quelli di Porta Portese in trasferta), non mi resta che dedicarmi al mio passatempo preferito: un bell’autoritratto vangoghiano con la testa avvolta da un fascinoso casco vintage Bell al posto della fasciatura all’orecchio destro…


Il Moto Days è informale, reale, aggregativo. Non sarà mai l’Eicma e pare lontano anche da Verona, ma ha una sua anima buona.

sabato 5 marzo 2011

Sicilia: Alla fonte di “Curruni” - Paternò (CT)


In questo foto-reportage, cari amici bikers, non troverete il racconto di un itinerario, bensì quello di un preciso luogo. Si tratta di “Currone”, contrada situata tra i paesi di Belpasso e Paternò, in territorio catanese. In questa piccola località, sin dagli anni ’60, sgorga acqua di fonte naturale. Le sue qualità organolettiche (da queste parti conosciuta anche come acqua rossa, per via dei sali di ferro che contiene) le conferiscono un sapore particolarmente frizzante, paradossalmente piccante.


Negli anni ’80 l’area circostante alla fonte, che all’origine sfiatava l’acqua sulle antiche sciare laviche, fu bonificata: e non è tutto. In loco, da subito, sorse spontaneamente una vera e propria area social-ricreativa, dove furono attivate dall’Acquedotto di Paternò decine di fontanelle per l'approvvigionamento idrico potabile pubblico. Da allora in poi “Curruni” divenne una sorta d’oasi per tutti i paesi dell’hinterland catanese.


Con la bottiglia vuota al séguito inspiro profondamente l’aria fresca e salutare del luogo, avvicinandomi ai rubinetti. Prima di bere, non posso fare a meno di notare alcuni “sostanziali” aspetti autoctoni. Poso lo sguardo sulla guardiola all’ingresso della sorgente, riparo minimale dell’addetto autorizzato al parcheggio. Con 60 centesimi d’euro ti assicuri la sosta ad un passo dall’acqua, ma ho già fermato la moto all’esterno, sulla SP 4/II.


Non ho ancora bevuto e voltando la testa dal lato opposto al parcheggio, di fianco le fontanelle, m’accorgo della presenza di uno spazio attrezzato a stand adibito alla vendita domenicale di prodotti alimentari: lupini, formaggi, frutta, ogni bendiddio locale. Caspita! Oggi è soltanto venerdì, oltre ad aver sete adesso ho anche appetito. Tuttavia temporeggio, qui l’atmosfera è molto gradevole.


Soffermo nuovamente la mia attenzione su modi e metodi di ciascun avventore del sito, notando un che di silenziosa compostezza, in controtendenza al clichè che vuole il siciliano maleducato nei luoghi pubblici. Sulle mie guance compare un sorriso d’ottimismo, mentre colgo, in controluce, la sagoma di un tale che s’appresta all’uscita con i propri contenitori appena tappati e sciabordanti di freschissima acqua naturale.


Ho davvero sete. Mi rigiro verso le fontanelle, ma un ciclista mi “batte in volata”. Attendo il mio turno con la prospettiva che solo l’acqua offre nel deserto. Finalmente, bevo. Prima di riprendere la mia strada in sella, azzardo una considerazione: "la pazienza nell’attesa di dissetarsi è proporzionale alla quantità d’acqua". Ti premia, se sai aspettare. Il dono che oggi ho ricevuto è quello d’aver realizzato un’escursione nella lentezza. Pensate che fortuna, con i tempi che corrono!
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Con la medesima lentezza, dissetata, rinfrancata e gaudente, m’incammino verso la provinciale, dove la mia Suzuki rimane l’unico segno tecnologico di un variopinto, autentico paesaggio siciliano.

Giusanna Di Stefano


L'autrice di questo foto reportage, Giusanna Di Stefano, nasce a Catania nel 1965. Fotografa reporter e documentarista indipendente, inizia nel 1987, ha studiato arte e si è specializzata in fotogiornalismo. Ha lavorato per la pubblicità, la moda, il reportage, pubblicato su riviste nazionali come Rockstar e Motociclismo. Dal 2003 si dedica a progetti personali finalizzati ad approfondire temi ed argomenti di natura socio-antropologica e ambientale. In questo periodo si occupa di nuovi progetti che esplorano la dimensione del viaggio.
Contatti: t (+39) 339 22 135  68 - e-mail phreporter@giusannadistefano.it - web www.giusannadistefano.it.