domenica 27 novembre 2011

Umbria: Lago di Alviano, Mille Curve Orvieto – Todi e Lago di Corbara


Quando mi prende la scimmia del giro in moto sono capace di superare ostacoli che normalmente non oserei sfidare neanche col più flebile dei pensieri. Anzi, quando gli intralci tentano di interporsi tra me e il rombo spensierato dei miei due cilindri, demolirli ha un gusto ancora più speciale.
Quella di oggi non è una domenica qualunque e non solo perchè la minima è al di sotto di cinque gradi rispetto alla media stagionale: per la prima volta negli ultimi quattro anni, il Sindaco di Roma ha ordinato il blocco totale delle auto e delle moto non elettriche entro la zona verde a partire dalle 8.30 del mattino. Troppe polveri sottili nell’aria (e nei nostri polmoni). Peccato che il mio punto di partenza abituale sia proprio nel bel mezzo dell’area interessata. Ma di svegliarmi all’alba non se ne parla.
Così, esco dal garage come Diabolik su una moto rubata, la Scrambler però non somiglia a un Vectrix neanche di sfuggita e tutto diventa più difficile quando, a poche centinaia di metri, scorgo la prima pattuglia di Polizia Roma Capitale. Pigio immediatamente il tasto rosso della massa, balzo giù dalla sella e inizio a spingere. Ma dimentico di togliere il casco (anche perché fuori si gela). L’agente nota tutto e a distanza ammonisce “Che sta’ a fa? ‘na nuova disciplina olimpica?”. Mi avvicino alla pattuglia, quasi certo di non poter sfuggire al multone di 155 sacchi, quando il clemente pizzardone mi fa: “Spinga fino a via Trionfale che là se può circola’”. Fantozziano inchino pieno di riguardo e via! Felice, riesco a partire senza salassi amministrativi.
La moto è come al solito in riserva, tutti i distributori che incontro sono come al solito chiusi. Per almeno mezz’ora di strada rimando la sosta per il pieno e per calzare il passamontagna al primo faidate Agip aperto. Riesco a fare benzina ma il passamontagna non lo indosserò più fino al ritorno a Roma e questa pigrizia, nonostante abbigliamento invernale, sottotuta e sottoguanti, mi costerà un freddo psicologico alle ossa che non provavo da mesi. Per ovviare all’irrigidimento generale, stringo le ginocchia alle testate alettate, chiudo tutti i sistemi d’areazione dell’X-Lite e sposto di continuo la mano sinistra dal manubrio verso la zona d’estrazione dell’aria calda dal motore, proprio dietro il polpaccio. Cavolo: eppure non sono in Groenlandia, eppure c’è il sole. Neanche una nuvola, neanche un alito di vento.


La via Cassia scorre noiosamente tra greggi di pecore, squallidi capannoni industriali e ipermercati di provincia. Solo dopo Sutri, in direzione nord, la strada migliora. Sono ancora nel Lazio, supero Viterbo, i camini ancora fumanti di Montefiascone e taglio verso est passando da Fastello e Graffignano.


Il mio primo obbiettivo della giornata è il Lago di Alviano, perfettamente di strada rispetto al main target odierno. È un luogo con enormi potenzialità ma con scarsissime risorse. Tutto intorno semi abbandonato, lo specchio d’acqua ha l’aspetto di una palude, immondizia e vecchi copertoni di trattore sulla riva. Eppure è un’oasi del WWF: da qui passano circa 60 specie di volatili e non a caso si pratica il birdwatching. Mi avvicino all’ingresso, da un gabbiotto si affaccia una volontaria che mi invita a spegnere il motore, sono in prossimità di sentieri naturalistici esclusivamente pedonali. Prendo una cartina e la ragazza mi suggerisce una pista ciclabile accessibile alle moto, sul lato est del lago, lungo la linea ferroviaria.


È uno spasso: fango a tratti, solchi tra l’argilla solidificata ed erba ancora umida. Uno sterrato di media difficoltà gestibile persino con le scarse doti offroad della Scrambler. Almeno finché non mi ritrovo improvvisamente in cima a un’impervia discesa, ripida, strettissima, dalla quale è troppo tardi arretrare. Freni tirati, ruote che scivolano: metto di traverso la Triumph con la ruota anteriore poggiata in contropendenza sul margine del sentiero. Salto giù, arrivo a piedi in fondo alla discesa: mizzica se è ripida. Che faccio? Non avrei la forza per spingere la moto all’indietro in salita, mi resta solo l’opzione B: tuffarmi dentro la pendenza col fondoschiena totalmente arretrato sulla sella, prima marcia ingranata e piede destro che centellina la pressione sul pedale del freno posteriore. Una cinquantina di metri percorsi col cuore in gola, in pena per le sorti delle mie ossa e delle costose appendici della moto. Trattengo il fiato, il posteriore scivola a destra e a manca sui sassi, il motore al minimo dei giri minaccia di spegnersi, ma è fatta. Ne esco indenne, giusto un po’ accaldato… Il freddo della mattina è quantomeno sconfitto.


Volo sulla SS205 costeggiando il Tevere, la statale viaggia parallela all’Autostrada del Sole, sfilo Castiglione in Teverina, Baschi e il primo bivio per Todi e il Lago di Corbara. Pochi chilometri ed eccomi nella straordinaria Orvieto, la capitale dello slow food (e ho detto tutto…), con le sue massicce mura esterne, la celebre rupe, l’inconfondibile facciata del Duomo, la città sotterranea e gli innumerevoli angoli nascosti. Una cittadina che richiederebbe almeno una settimana per essere esplorata per bene. Orvieto è anche città del vino e la degustazione del rinomato Orvieto DOC è d’obbligo.


Inutile girarci intorno, il main target di oggi è inevitabilmente la giostra più adrenalinica del parco divertimenti umbro: la SS79bis, la mitica Mille Curve. Me la sparo tutta d’un fiato, anche se non è la prima volta è sempre un’emozione speciale. Considerando la fantastica giornata di sole, incontro molte meno moto di quanto mi aspettassi, solo un gruppo di motardisti su KTM 4t e un solitario Suzukista con la sua GSR750. Meglio, molto meglio così.


È ora di pranzo e la statale è libera e più sicura. Ed è anche il momento migliore della giornata, percorrerla con il sole sulla schiena garantisce una visibilità perfetta. La figata è il misto veloce, pochi tornanti e pneumatici piallati uniformemente da una spalla all’altra fino quasi a smussare gli angoli. E non sono certo un manico all’altezza del mio amico Bagarre!


Il panorama è un alternarsi di vigneti, campi arati e boscaglia. Il rosso e il marrone si fondono con il verde; le sfumature dorate dei colori autunnali esplodono tutto intorno, esaltando l’azzurro del cielo nitido. Oggi gli unici a frequentare la Mille Curve, circondati da cani storditi dagli odori della selvaggina e da vecchi Nissan Patrol scoloriti, sembrano i cacciatori: la stagione è aperta e loro, mascherati nelle mimetiche come soldati in missione in Afghanistan, si raggruppano per spartirsi il macabro bottino.
Guido e mi diverto come al lunapark, in totale simbiosi con acceleratore, freni, cambio e motore. Mi fondo con in telaio. L’asfalto è rugoso, a tratti martoriato da dossi e smottamenti. Nonostante il sole splenda generoso, alcuni tornanti, protetti dai rami degli alberi aperti ad ombrello, restano umidi e scivolosi.


A circa 3 km dalla località Cerreto Piano, un bivio da non perdere, quello per Titignano. Percorro un lungo rettilineo in terra battuta smorzato solo da un paio di ampie curve. Le ruote della Triumph si imbiancano così come i miei stivali Dainese. Guidare per quasi 4 km in terza marcia, sollevando una scia di polvere bianca, visibile dagli specchietti, mi provoca un’enorme euforia. Vorrei non finisse mai.


Lo sterrato termina nell’antico piccolo borgo, raccolto tutto intorno ad un'unica piazza centrale, oggi intelligentemente trasformato in azienda agricola. Dal belvedere si ammira una splendida vista del lato nordest del lago di Corbara, alcuni turisti fumano una sigaretta in cortile, in pausa da chissà quale pranzo luculliano all’interno del ristorante, qualcun altro legge un libro seduto sul muretto panoramico: quale posto migliore per contemplare e nutrire la mente.


Torno sulla Mille Curve per godermi l’ultimo spassoso tratto, la gomma dei pneumatici, ripulita dall’asfalto, torna a risplendere e, in una ventina di minuti, questo tratto stradale, tanto amato dai motociclisti del centro Italia, si esaurisce sfociando sulla SS448. Mi sono talmente rilassato e liberato da ogni ansia che mi ritrovo a canticchiare sotto il casco una vecchia canzoncina imparata alle scuole elementari, "When de Saints go marching in"...


Sono a pochi chilometri da Todi, un suggestivo ponte sul Tevere mi conduce a Pontecuti e da lì mi arrampico fino a raggiungere  la “città la più vivibile del mondo”. Il centro storico medievale, i resti dell’antica Rocca, la triplice cerchia di mura difensive, i caratteristici “nicchioni” e le decine di porte di accesso la rendono inconfondibile e affascinante.


Torno indietro verso Pontecuti, poi dritto verso il Parco Fluviale del Tevere. Questo tratto di statale è noioso, certo rispetto alla Mille Curve qualunque altra strada lo sarebbe… Alla mia destra, dietro le foglie rossastre dei vigneti, il fiume Tevere si snoda tra canyon e ampi pianori verdi. Poi improvvisamente si allarga fino a sfociare sul Lago di Corbara, il bacino artificiale creato nei decenni scorsi per ospitare una centrale idroelettrica. Un cartello pubblicitario recita: “Lago di Corbara: vino, Vissani, vacanze”. E in effetti sono queste tre V che muovono l’economia locale: le numerose cantine produttrici del Lago di Corbara DOC rosso sparse intorno al lago; il carissimo ristorante (roba da 200 euro a botta!) del telegenico chef, bravo tra i fornelli, un po’ meno con le parole; le strutture recettive, agriturismo, b&b, trattorie, disseminate in zona. Il ponte sul lago, posizionato poche centinai di metri prima della diga, è il punto più spettacolare dal quale contemplare la pace di questo angolo di Umbria.


Solo dopo essere stato costretto a pensare a Vissani realizzo che il mio organismo ha bisogno di nutrimento. L’iPhone segna le 16.44: ipnotizzato dal ritmo di guida e dallo spettacolo del parco del Tevere, questa volta ho clamorosamente bucato il pranzo. Il sole però è già basso e decido di rientrare a Roma. Imbocco la A1, rapida sosta all’area di servizio Tevere, pieno al selfservice, Rustichella + macedonia di frutta per tamponare la fame, e di nuovo in sella. Velocità di crociera 110 km/h: questa volta il passamontagna è rigorosamente sotto il casco. Addio freddo psicologico…

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Informazioni utili:

Dove mangiare:
Piazza del Popolo, piazza del Popolo 2/3, Orvieto (TR), tel 0763343463, ristorantepiazzadelpopolo.it.

Fiorfiore, località Collina, Todi (PG), 0758942416, roccafiore.it.
Chilometri percorsi: 115 (tot. da Roma a/r: 330)

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domenica 20 novembre 2011

Quando il casco divenne obbligatorio


Domenica scorsa ero in compagnia di Alessandro, biker nell’anima, innamorato del Ducati Monster, che scalpita per poter tornare presto in sella. Chiacchierare di moto come ragazzini e capirsi al volo, senza temere che l’entusiasmo per le due ruote possa sembrare psicosi, è sempre divertente e non così frequente. Scambiarsi domande tipo: “Se non avessi la tua, quale compreresti?”, “Ti piace questo o quel modello?” è un gioco a cui chi vive sempre conlamoto inside, partecipa sempre senza farsi pregare troppo…
Tra le tante riflessioni, Alessandro ha lanciato uno spunto meritevole di condivisione: “Ti ricordi quando il casco divenne obbligatorio? Che periodo…”.

Mario Donnini, autorevole firma di Moto Sprint e autore del libro Tourist Trophy - Muori o vivi davvero, mi raccontava le origini del casco nella fascinosa cornice dell’Isola di Man: “Il suo utilizzo, pioneristicamente parlando, fu introdotto nel 1911 a seguito della morte di Victor Surridge a Glen Helen, durante la prima edizione in cui il Tourist Trophy si corse sul circuito di Montagna (sul tracciato di St. John il TT si correva già dal 1907). Il tragico evento suggerì, a tutela del capo dei piloti,  l'adozione di una calotta che ai lati presentava una protezione circolare di sughero. Un progetto che ovviamente non aveva nulla a che vedere con la concezione di casco odierno”.
Da allora, durante gli anni, molta acqua è passata sotto i ponti. E la diffusione del casco ha creato nel tempo due fazioni contrapposte, quelli che "vento tra i capelli" e quelli che “la sicurezza prima di tutto”.

Fino alla fine degli anni ’70 in Italia l’utilizzo del casco era pressoché inesistente, poi nei primi anni ’80 anche da noi fu richiesta a gran voce una legge per imporne utilizzo. Finalmente nel 1986 venne arrivò la normativa che sanciva l'obbligo d'uso del casco per conducenti e passeggeri di moto e scooter sopra i 50 cc. Nel caso dei ciclomotori l'obbligo era limitato ai soli minorenni, ma nel febbraio del 2000 anche gli over 18 dovettero piegarsi alla legge.
Chi ha vissuto quel 1986, storico momento di transizione da una consuetudine a un’altra, magari nel pieno dell’impeto dei vent’anni o nel rampantismo dei trenta, non può non ricordarlo con nostalgia. Dovrei proporlo come tema a Carlo Conti!

Sin da quando andavo in giro sul mio Garelli monomarcia, il casco è stato sempre sulla mia capoccia, dapprima obbligato da mamma e papà, poi abituato a quel rassicurante copricapo plasticoso. Quindi per me l’introduzione della legge non ha cambiato molto. Solo nel periodo più squattrinato della mia vita, quando guidavo un indimenticabile Piaggio Ciao 50, mi convinsi a fare su e giù, ogni giorno, da casa all’università, senza casco. Al massimo, quando me ne ricordavo, calzavo un cappellino di lana blu scuro buono solo per gli scippi. Allora mi sembrava sufficiente. Oggi, consapevole che la mia sinusite molto probabilmente ebbe origine proprio in quel periodo, mi pento amaramente di quella scelta…

NKW, autore del blog Motociclisti da Tavola, mi raccontava come vissero l’introduzione del casco obbligatorio due amici motociclisti nell’86: “Entrambi giravano in pista e usavano già il casco. Ma mi raccontarono l'inconveniente di portare in giro le loro ragazze di allora e scoprire il “piacere” della botta casco contro casco in frenata. Oppure di quanto fosse complicato riuscire a prendere il caffè mescolando lo zucchero col casco integrale appeso al gomito…”

Qualche altro divertente aneddoto lo racconta Ergal, giovane creatore del blog Ruote Rugginose: “Nel 1986 avevo due anni. Cosa ricordo? Nulla. Potrei parlarvi però della meno famosa entrata in vigore nel 2000 del casco obbligatorio per i maggiorenni anche sui cinquantini.
Ah che grande soddisfazione! E perché tutta questa soddisfazione? Ve lo spiego subito. Per il mio quattordicesimo anno di età mi venne regalata la mia prima vespa ed a corredo di essa il mio primo casco: un AGV replica Valentino Rossi (che ora conservo in camera con un bell' autografo di "papà" Graziano Rossi)! Il mezzo non molto performante sfigurava con il casco da vero biker, ma lo portavo con orgoglio.
Arrivai a scuola un bel di' primaverile. Un bullo, pluridecorato super ripetente schiaccia marmocchi, mi vide e, con tipico accento laziale, disse: "Ao ma ndo’ vai? Me pari n'astronauta su sta Vespa!” (Google translator mode on Romano/ Italiano: "Ehi ma dove vai? Sembri un astronauta su questa Vespa!". Risero tutti. Vergogna. Autoconvincimento del giorno dopo a tornare a scuola conciato alla stessa maniera. Sberleffi.
Ma arrivò il 30 marzo del 2000, la resa dei conti, l'entrata in vigore del casco obbligatorio anche per i maggiorenni. Anche per il bruto bullo, SI! "Tu quoque, Brute, metti il casco!". E fu cosi che lo vidi, sul suo Piaggio Si, con l'unico casco a disposizione nel suo nucleo familiare: un antidiluviano Nolan rosso fuoco anni ‘70 integrale privo di visiera! Caro bullo, chi è ora l'astronauta?”.

Per non parlare dei grandissimi classici senza tempo: il casco scombina l’acconciatura degli uomini col ciuffo e delle donne con la permanente; è un peso morto che, portato a braccio, blocca la circolazione peggio di un laccio emostatico; durante le giornate afose provoca un effetto serra alla testa, con relativa sudatona modello Rocky Balboa; inibisce la comunicazione tra pilota e passeggero e quando esci con una tipa, per farle capire cosa dici, devi urlare come fossi in curva sud.

In realtà sappiamo tutti benissimo quali siano i benefici dell’utilizzo del casco. I dati oggettivi dell’Istituto Superiore di Sanità lo confermano: dopo l’entrata in vigore della normativa, tra i motociclisti vittime di lesioni al capo, si registrò un calo del 48.6% degli accessi al pronto soccorso e del 50% dei ricoveri e delle prognosi riservate.
Oggi il casco si è trasformato in un emblema del motociclista, un oggetto che esprime la personalità di chi lo indossa: jet o integrale, vintage o sportivo, monocromatico o ipercolorato, di serie o customizzato. Indossare il proprio casco è un orgoglio. E se, come direbbe qualcuno, è ben allacciato, spesso salva pure la vita.

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Link correlati: Dimmi quale casco indossi e ti dirò chi sei...

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domenica 13 novembre 2011

EICMA 2011: retroscena, promossi e rimandati


Din don! Premessa: se cercate commenti o scatti dedicati alle arrazzanti miss del salone, sempre molto apprezzate dal popolo biker, cercate sulla fanpage di conlamoto.it su Facebook e troverete un’ampia gallery di scatti dedicata agli “appassionati” del genere… In questo post non troverete, salvo qualche caso raro, nemmeno immagini delle moto esposte (anticipate già nei giorni scorsi da tanti siti di settore). Ma anche in questo caso, sempre sulla nostra fanpage su FB, è disponibile una gallery specifica, in modo da soddisfare quel desiderio, mai pago, di curiosare virtualmente tra gli stand.


Quest’anno lascio il parcheggio della Fiera di Rho, dopo una giornata intensa tra un padiglione e l’altro, con in mente un’insolita e azzardata equazione tra acronimi: EICMA = IKEA… Il mio stato psicofisico è molto vicino a quello raccontato da Paolo Migone di Zelig nell’irresistibile sketch dedicato all’epopea di un’irresponsabile domenica trascorsa dentro il mobilificio più famoso e diffuso al mondo. Vale la pena ammazzarsi e sfinirsi, come poche volte capita in un anno intero?


Dal momento in cui metti piede dentro il salone, nonostante non sia la prima volta, vai avanti a profusione, come un automa strafatto di ecstasy e Red Bull, passando da uno stand all’altro senza tregua: non bevi, non mangi, non ti siedi, non guardi l’orologio, non togli il cappotto, non rispondi al cellulare, non smanetti Facebook. Una totale ipnosi esercitata da questo eccezionale lunapark delle due ruote.


Arrivi all’ultimo secondo dell’orario di apertura disidratato, con il mal di testa e il mal di schiena, con le vesciche ai piedi, col naso che cola, con lo stomaco vuoto, con le braccia indurite dal peso delle buste piene di (inutili) gadget e soprattutto con le idee estremamente confuse su quale modello ti abbia convinto o deluso di più. Nessuno si azzardi a domandarti: allora? che ne pensi? Per avere una visione equilibrata delle informazioni tecnico-estetiche che il tuo maltrattatissimo cervello ha assorbito durante una giornata all’EICMA occorre attendere almeno due o tre giorni. Poi le idee, progressivamente, si riordineranno.


Lo scorso anno toccò alla MV Agusta F3. Quest’anno lo scettro della moto più bramata, come ampiamente preannunciato, tocca alla Ducati 1199 Panigale: già dai primissimi minuti di apertura della fiera, lo stand del marchio italiano più desiderato del momento è pieno così di gente che asserraglia i palchetti della nuova supersportiva, ma anche del Diavel (in tutte le sue nuove edizioni) e della Multistrada (bellissima la colorazione nero bianco rossa).


Tappa obbligata alla Zard, azienda sempre più operativa, che produce scarichi esteticamente sobri ma dal sound orgasmico: perché continuo inutilmente ad ammirare quello per la mia Scrambler senza mai acquistarlo? Sigh.
All’EICMA adoro girare tra gli stand dei migliori produttori di caschi: AGV, Premiere, Schubert, Shoei, Arai. Un’esplosione di colori e, in un colpo solo, le collezioni dei modelli appartenuti a tantissimi campioni del presente e del passato.


Un occhio al vecchio Fantic Caballero, un altro alle bagger della Victory (su cui abbiamo dibattuto sul post pubblicato qualche settimana fa), il passaggio al modesto stand delle carotone KTM, e la sosta inevitabile in BMW: resto persuaso che il marchio bavarese debba essere sinonimo di motore boxer, il resto non mi attira. Anch’io mi accodo a chi si augura che i tedeschi facciano marcia indietro sulla decisione di dotare di raffreddamento a liquido il loro iconico bicilidrico. Poco distante dall’elica, le novità Husqvarna: la Nuda 900 e il plasticosissimo prototipo della Moac. Quest’ultima, spiace dirlo, non ha nulla a che vedere con l’originale scrambler rossa e bianca, esposta a pochi passi, su cui fa da sfondo una gigantografia dell’emblema del motociclista, Steve McQueen.


Allo stand Triumph il mio entusiasmo vacilla proprio davanti a uno dei modelli più attesi del salone, la Adventure 1200. Non esistono ancora test sulle prestazioni, ma esteticamente, a prima vista, non mi ha convinto affatto. Plastica dappertutto, un nuovo incomprensibile logo sul serbatoio, forme anonime. Non suscita emozione: con tutto il rispetto, è più entusiasmante la nuova Tiger 1050! Boh… Ancora una volta sono le classiche di Hinkley a scaldarmi il cuore e a riaccendere la fiamma che c’è in me.


Uno vicino all’altro, e per questo con i rispettivi spazi un po’ sacrificati a causa delle sinergie di gruppo, gli stand Aprilia, Piaggio, Gilera e Moto Guzzi. Da quest’ultima mi aspettavo di più e, a parte la California celebrativa e la V7 Special Edition, resto a bocca asciutta. Molto eccitante il prototipo di Vespa, molto vicino alle forme dell'indimenticabile 50 Special.


L’Oscar per lo stand più spettacolare di questa edizione dell’EICMA secondo me va senza ombra di dubbio alla casa più ricca del mondo, la Honda. Non solo tutti i modelli in listino, le attese GL1800 Gold Wing, Crosstourer e Integra, ma anche tutte le moto da pista provenienti dalle competizioni di mezzo mondo, tra cui la fotografatissima RC 212V numero 58 da pelle d’oca del compianto Sic. In più lo spettacolo di un’enorme passerella rossa su cui sfilano modelle e modelli che presentano la linea di abbigliamento del marchio giapponese. Uno stand degno del proprio nome che avrà fatto arrossire dalla vergogna molti concorrenti.


Udite udite, a quello della Honda non è da meno l’accattivante stand LML! Già, sono partiti da una deprecata copia della Vespa e, grazie al nuovo configuratore, ai parsimoniosi motori 4T, all’assortimento di colori e di accessori e alla LML Cup, sono arrivati a livelli di immagine e di vendite imprevedibili. Un vero atto di forza espresso da non meno di 100 varianti esposte della Star, per di più cavalcate da eteree modelle! Per non parlare della carrambata dell’incontro con il mio amico Lello "999", ottimo conoscitore di moto, nei panni di un professionale manager dell’azienda. Bravi.


Divertenti e interessanti anche le endurone protagoniste della storia della Dakar esposte allo stand Dueruote, la nuova Kawasaki ZZR1400, gli esperimenti stilistici di Suzuki (che ha presentato davvero la nuova interessantissima Versys 1000!), il sistema D-Air di Dainese (con i caschi celebrativi e le tute sfondate da Valentino come cornice) e il capannello di curiosi intorno alla Vun e alla Duu nello stand CR&S (dove i responsabili ostentavano fieramente un bel panettùn). Poco da dire sugli stand Harley Davidson e Yamaha.


Da segnalare il boom di pubblico presente agli eventi in programma nell’area esterna della fiera, complice l’estate di S. Martino. Bene anche l’area “Eicma Custom”, piena così di fantastiche special, in particolare su base Harley, Triumph e Ducati, e popolata, tra gli altri, persino dalla sezione italiana degli Hell’s Angels. E “The green planet”, spazio con tante idee affascinanti, che tutti dovremmo contribuire a diffondere, per il futuro e per la salute del nostro ansimante pianeta. Molto deludente, per un salone internazionale di tale caratura, l’area “Turismo su 2 ruote”: quattro tavolini in uno spazio di non più di 20 metri quadrati e pochissime opportunità per gli amanti dei viaggi. Era meglio niente. Molto più all'altezza l’omologa area presentata lo scorso marzo al Moto Days di Roma.


Appena fuori dall’ultimo padiglione, il coro di una cinquantina di dimostranti che protesta con striscioni e bandiere e sfila lungo la galleria esterna della fiera, urlando slogan e minacciando l’occupazione del salone. Sono lavoratori precari, cassintegrati e neolicenziati. Nella vita ci sono momenti ben più cruciali e delicati della scelta di una moto. Sono loro a sradicarmi dall’ipnosi da EICMA e a scaraventarmi di nuovo nel non sempre luccicante mondo reale.

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sabato 5 novembre 2011

Cosa (intra)vedremo al Eicma 2011


Da quando nel 2006 (con imbarazzante ritardo rispetto alla sua storia…) visitai per la prima volta il Salone del Motociclo di Milano, per me l’appuntamento annuale con la Fiera di Rho è diventato un rito, una data cerchiata in rosso sulla mia agenda, come fosse un compleanno da non dimenticare. Per evitare la solita ressa all’italiana davanti agli stand più gettonati, desidererei tanto poterla visitare durante le prime due o tre giornate, quelle infrasettimanali, ma poi finisco puntualmente per ritagliarmi le sole caotiche giornate del sabato e della domenica: Freccia Rossa Roma – Milano andata e ritorno e via…
La 69esima edizione del salone, sebbene la cifra inneggi emblematicamente all’amore lussureggiante, è stata definita da molti commentatori come quella della crisi. Da quanto dichiarato dalle case costruttrici però, le novità, sbandierate sulla stampa specializzata saranno parecchie, in particolare tra le categorie Scooteroni e Super Sportive. Ovvero quelle diametralmente all’opposto dei miei gusti.
Chi frequenta la fiera è ben consapevole che girarla per lungo e per largo, specie in una sola giornata, è come correre la maratona di New York sotto la neve con una benda agli occhi trascinando un macigno. Dunque, meglio selezionare gli stand e le aree realmente interessanti, tralasciando quelle assalite dai ragazzini, accompagnati da maliziosi papà, entrambi con l’acquolina alla bocca davanti le forme trabordanti delle hostess.
Innanzitutto incuriosiscono le nuove aree “Turismo su 2 Ruote”, dove condividere le proprie esperienze e gli itinerari in moto più suggestivi, e “Custom”, dedicata ai sempre più numerosi appassionati delle moto artigianali e su misura.
Di certo non voglio perdermi le esibizioni in programma nell’area esterna, quest’anno ancora più ampia: adoro quelle di Pfeiffer e Carmichael sulla Speed Triple. Molto più complicato provare le moto sulle piste ufficiali delle case: fila infinita, tanto vale effettuare il test ride comodamente in concessionaria.
Ma tra le centinaia di modelli esposti negli stand più o meno fastosi dell’EICMA, su quali concentrarsi?
Ho una passione (di cui non mi vergogno affatto) per la Suzuki V-Strom 650: anche se tuttora sono in fissa con il vecchio modello (vai a capire il perché), la MY 2012 mi incuriosisce molto: rapporto qualità prezzo sensazionale. Certo sarebbe meglio provarla in strada.
Data l’attrazione per l’enduro, voglio vedere di persona le nuove BMW F 800 GS Trophy (i colori grigio blu sono veramente fighissimi) e G 650 GS Sertão (il nome è ispirato alla zona arida del Nord-Est del Brasile). Degli altri modelli della casa bavarese ne ho (come tanti) ormai le scatole piene.


Per restare tra i marchi del gruppo tedesco, una curiosa sbirciatina la meritano anche le futuristiche Husqvarna Nuda 900 e 900R: l’evoluzione del design deve andare avanti.
La regina preannunciata del salone sarà la Ducati 1199 Panigale, nuova in tutto. Ma come detto non è il mio genere. Indugerei piuttosto su Streetfighter 848, Diavel AMG Special Edition, Multistrada color titanio e Hypermotard livrea “Corse”. Ma soprattutto, spero tanto che sia vero, incollerò gli occhi sulla nuova Ducati Scrambler: non esistono immagini ufficiali e non è neanche certa la sua presenza. Incrociamo le dita.
Altra moto attesissima, la Triumph Tiger Explorer 1200: una tre cilindri di quella cubatura sembra stimolante, mentre il nuovo logo Triumph che le hanno incollato sul serbatoio è veramente improponibile. Nello stand di Hinkley anche le nuove Speed Triple R, Bonneville Steve McQueen Edition (non conviene acquistare la Bonnie basic e personalizzarsela da se?) e il modello 2012 della Tiger 1050.


Ma attenzione, oltre al marchio inglese, altri costruttori tentano di andare alla caccia della BMW R 1200 GS: al salone ci potrebbero essere (e sottolineo il condizionale) anche le imperdibili anteprime della KTM Adventure (e se c’è da realizzare moto offroad gli austriaci sanno come fare) e addirittura dell’erede della Cagiva Elefant realizzata da MV-Agusta. Carramba!
Nello stand arancione anche la nuova 690 Duke e soprattutto la Freeride 350: se vivessi in cima all’Etna, a Milo o a Linguaglossa, me ne farei certamente una…


E i giapponesi? Yamaha sembra si sia concentrata sullo scooter anti SH (sigh!). Kawasaki porta la nuova versione della ZZR1400 2012, la sport tourer da 300 km/h (!). Si vocifera anche della presenza di una Versys con motore 1000cc, ma sembra improbabile. Suzuki mette in mostra la Virus 1000, una superbike nuda, su base GSX-R 1000, da ben 185 CV. Honda sfoggerà la GL1800 Gold Wing MY 2012 (accomodarsi su quella comoda poltrona che è la sella è sempre un piacere), la Crosstourer in versione definitiva e la sperimentale Integra 700, un mix tra moto e scooter che non mi esalta affatto, ma in cui intravedo un proficuo e necessario sforzo di innovazione da parte dei nipponici, da sempre attivi su questa linea.


Per chiudere tre marchi di casa nostra. Come lo scorso anno, probabilmente lo stand MV Agusta sarà preso d’assalto e stavolta le novità saranno la Brutale 675 e la F4 R Corsa Corta. Meta obbligatoria anche lo stand Moto Guzzi: pare che la nuova California con l’innovativo motore 1400cc non ci sarà, ma la Cali sarà ben rappresentata da una speciale versione celebrativa denominata California 90. Inoltre dovrebbe essere esposta l’attesa V7 Scrambler, pronta ad inserirsi nel mercato delle classiche a scarico alto. Sempre più interesse, infine, destano i piccoli artigiani nostrani: la CR&S presenterà la Duu (anche se questo campanilismo del libretto d’istruzioni in dialetto milanese mi pare un po’ una buffonata), mentre i padovani di Borile sveleranno la B350EN e la bellissima B450 Scrambler, entrambe con motore Ducati.


Le buone intenzioni di (intra)vedere tutto questo bendiddio ci sono, il difficile sarà farsi spazio tra la fiumana umana di biker scalpitanti…
Prossima settimana, foto report completo: buon EICMA a tutti!

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