Quando mi prende la scimmia del giro in moto sono capace di superare ostacoli che normalmente non oserei sfidare neanche col più flebile dei pensieri. Anzi, quando gli intralci tentano di interporsi tra me e il rombo spensierato dei miei due cilindri, demolirli ha un gusto ancora più speciale.
Quella di oggi non è una domenica qualunque e non solo perchè la minima è al di sotto di cinque gradi rispetto alla media stagionale: per la prima volta negli ultimi quattro anni, il Sindaco di Roma ha ordinato il blocco totale delle auto e delle moto non elettriche entro la zona verde a partire dalle 8.30 del mattino. Troppe polveri sottili nell’aria (e nei nostri polmoni). Peccato che il mio punto di partenza abituale sia proprio nel bel mezzo dell’area interessata. Ma di svegliarmi all’alba non se ne parla.
Così, esco dal garage come Diabolik su una moto rubata, la Scrambler però non somiglia a un Vectrix neanche di sfuggita e tutto diventa più difficile quando, a poche centinaia di metri, scorgo la prima pattuglia di Polizia Roma Capitale. Pigio immediatamente il tasto rosso della massa, balzo giù dalla sella e inizio a spingere. Ma dimentico di togliere il casco (anche perché fuori si gela). L’agente nota tutto e a distanza ammonisce “Che sta’ a fa? ‘na nuova disciplina olimpica?”. Mi avvicino alla pattuglia, quasi certo di non poter sfuggire al multone di 155 sacchi, quando il clemente pizzardone mi fa: “Spinga fino a via Trionfale che là se può circola’”. Fantozziano inchino pieno di riguardo e via! Felice, riesco a partire senza salassi amministrativi.
La moto è come al solito in riserva, tutti i distributori che incontro sono come al solito chiusi. Per almeno mezz’ora di strada rimando la sosta per il pieno e per calzare il passamontagna al primo faidate Agip aperto. Riesco a fare benzina ma il passamontagna non lo indosserò più fino al ritorno a Roma e questa pigrizia, nonostante abbigliamento invernale, sottotuta e sottoguanti, mi costerà un freddo psicologico alle ossa che non provavo da mesi. Per ovviare all’irrigidimento generale, stringo le ginocchia alle testate alettate, chiudo tutti i sistemi d’areazione dell’X-Lite e sposto di continuo la mano sinistra dal manubrio verso la zona d’estrazione dell’aria calda dal motore, proprio dietro il polpaccio. Cavolo: eppure non sono in Groenlandia, eppure c’è il sole. Neanche una nuvola, neanche un alito di vento.
Quella di oggi non è una domenica qualunque e non solo perchè la minima è al di sotto di cinque gradi rispetto alla media stagionale: per la prima volta negli ultimi quattro anni, il Sindaco di Roma ha ordinato il blocco totale delle auto e delle moto non elettriche entro la zona verde a partire dalle 8.30 del mattino. Troppe polveri sottili nell’aria (e nei nostri polmoni). Peccato che il mio punto di partenza abituale sia proprio nel bel mezzo dell’area interessata. Ma di svegliarmi all’alba non se ne parla.
Così, esco dal garage come Diabolik su una moto rubata, la Scrambler però non somiglia a un Vectrix neanche di sfuggita e tutto diventa più difficile quando, a poche centinaia di metri, scorgo la prima pattuglia di Polizia Roma Capitale. Pigio immediatamente il tasto rosso della massa, balzo giù dalla sella e inizio a spingere. Ma dimentico di togliere il casco (anche perché fuori si gela). L’agente nota tutto e a distanza ammonisce “Che sta’ a fa? ‘na nuova disciplina olimpica?”. Mi avvicino alla pattuglia, quasi certo di non poter sfuggire al multone di 155 sacchi, quando il clemente pizzardone mi fa: “Spinga fino a via Trionfale che là se può circola’”. Fantozziano inchino pieno di riguardo e via! Felice, riesco a partire senza salassi amministrativi.
La moto è come al solito in riserva, tutti i distributori che incontro sono come al solito chiusi. Per almeno mezz’ora di strada rimando la sosta per il pieno e per calzare il passamontagna al primo faidate Agip aperto. Riesco a fare benzina ma il passamontagna non lo indosserò più fino al ritorno a Roma e questa pigrizia, nonostante abbigliamento invernale, sottotuta e sottoguanti, mi costerà un freddo psicologico alle ossa che non provavo da mesi. Per ovviare all’irrigidimento generale, stringo le ginocchia alle testate alettate, chiudo tutti i sistemi d’areazione dell’X-Lite e sposto di continuo la mano sinistra dal manubrio verso la zona d’estrazione dell’aria calda dal motore, proprio dietro il polpaccio. Cavolo: eppure non sono in Groenlandia, eppure c’è il sole. Neanche una nuvola, neanche un alito di vento.
La via Cassia scorre noiosamente tra greggi di pecore, squallidi capannoni industriali e ipermercati di provincia. Solo dopo Sutri, in direzione nord, la strada migliora. Sono ancora nel Lazio, supero Viterbo, i camini ancora fumanti di Montefiascone e taglio verso est passando da Fastello e Graffignano.
Il mio primo obbiettivo della giornata è il Lago di Alviano, perfettamente di strada rispetto al main target odierno. È un luogo con enormi potenzialità ma con scarsissime risorse. Tutto intorno semi abbandonato, lo specchio d’acqua ha l’aspetto di una palude, immondizia e vecchi copertoni di trattore sulla riva. Eppure è un’oasi del WWF: da qui passano circa 60 specie di volatili e non a caso si pratica il birdwatching. Mi avvicino all’ingresso, da un gabbiotto si affaccia una volontaria che mi invita a spegnere il motore, sono in prossimità di sentieri naturalistici esclusivamente pedonali. Prendo una cartina e la ragazza mi suggerisce una pista ciclabile accessibile alle moto, sul lato est del lago, lungo la linea ferroviaria.
È uno spasso: fango a tratti, solchi tra l’argilla solidificata ed erba ancora umida. Uno sterrato di media difficoltà gestibile persino con le scarse doti offroad della Scrambler. Almeno finché non mi ritrovo improvvisamente in cima a un’impervia discesa, ripida, strettissima, dalla quale è troppo tardi arretrare. Freni tirati, ruote che scivolano: metto di traverso la Triumph con la ruota anteriore poggiata in contropendenza sul margine del sentiero. Salto giù, arrivo a piedi in fondo alla discesa: mizzica se è ripida. Che faccio? Non avrei la forza per spingere la moto all’indietro in salita, mi resta solo l’opzione B: tuffarmi dentro la pendenza col fondoschiena totalmente arretrato sulla sella, prima marcia ingranata e piede destro che centellina la pressione sul pedale del freno posteriore. Una cinquantina di metri percorsi col cuore in gola, in pena per le sorti delle mie ossa e delle costose appendici della moto. Trattengo il fiato, il posteriore scivola a destra e a manca sui sassi, il motore al minimo dei giri minaccia di spegnersi, ma è fatta. Ne esco indenne, giusto un po’ accaldato… Il freddo della mattina è quantomeno sconfitto.
Volo sulla SS205 costeggiando il Tevere, la statale viaggia parallela all’Autostrada del Sole, sfilo Castiglione in Teverina, Baschi e il primo bivio per Todi e il Lago di Corbara. Pochi chilometri ed eccomi nella straordinaria Orvieto, la capitale dello slow food (e ho detto tutto…), con le sue massicce mura esterne, la celebre rupe, l’inconfondibile facciata del Duomo, la città sotterranea e gli innumerevoli angoli nascosti. Una cittadina che richiederebbe almeno una settimana per essere esplorata per bene. Orvieto è anche città del vino e la degustazione del rinomato Orvieto DOC è d’obbligo.
Inutile girarci intorno, il main target di oggi è inevitabilmente la giostra più adrenalinica del parco divertimenti umbro: la SS79bis, la mitica Mille Curve. Me la sparo tutta d’un fiato, anche se non è la prima volta è sempre un’emozione speciale. Considerando la fantastica giornata di sole, incontro molte meno moto di quanto mi aspettassi, solo un gruppo di motardisti su KTM 4t e un solitario Suzukista con la sua GSR750. Meglio, molto meglio così.
È ora di pranzo e la statale è libera e più sicura. Ed è anche il momento migliore della giornata, percorrerla con il sole sulla schiena garantisce una visibilità perfetta. La figata è il misto veloce, pochi tornanti e pneumatici piallati uniformemente da una spalla all’altra fino quasi a smussare gli angoli. E non sono certo un manico all’altezza del mio amico Bagarre!
Il panorama è un alternarsi di vigneti, campi arati e boscaglia. Il rosso e il marrone si fondono con il verde; le sfumature dorate dei colori autunnali esplodono tutto intorno, esaltando l’azzurro del cielo nitido. Oggi gli unici a frequentare la Mille Curve, circondati da cani storditi dagli odori della selvaggina e da vecchi Nissan Patrol scoloriti, sembrano i cacciatori: la stagione è aperta e loro, mascherati nelle mimetiche come soldati in missione in Afghanistan, si raggruppano per spartirsi il macabro bottino.
Guido e mi diverto come al lunapark, in totale simbiosi con acceleratore, freni, cambio e motore. Mi fondo con in telaio. L’asfalto è rugoso, a tratti martoriato da dossi e smottamenti. Nonostante il sole splenda generoso, alcuni tornanti, protetti dai rami degli alberi aperti ad ombrello, restano umidi e scivolosi.
A circa 3 km dalla località Cerreto Piano, un bivio da non perdere, quello per Titignano. Percorro un lungo rettilineo in terra battuta smorzato solo da un paio di ampie curve. Le ruote della Triumph si imbiancano così come i miei stivali Dainese. Guidare per quasi 4 km in terza marcia, sollevando una scia di polvere bianca, visibile dagli specchietti, mi provoca un’enorme euforia. Vorrei non finisse mai.
Lo sterrato termina nell’antico piccolo borgo, raccolto tutto intorno ad un'unica piazza centrale, oggi intelligentemente trasformato in azienda agricola. Dal belvedere si ammira una splendida vista del lato nordest del lago di Corbara, alcuni turisti fumano una sigaretta in cortile, in pausa da chissà quale pranzo luculliano all’interno del ristorante, qualcun altro legge un libro seduto sul muretto panoramico: quale posto migliore per contemplare e nutrire la mente.
Torno sulla Mille Curve per godermi l’ultimo spassoso tratto, la gomma dei pneumatici, ripulita dall’asfalto, torna a risplendere e, in una ventina di minuti, questo tratto stradale, tanto amato dai motociclisti del centro Italia, si esaurisce sfociando sulla SS448. Mi sono talmente rilassato e liberato da ogni ansia che mi ritrovo a canticchiare sotto il casco una vecchia canzoncina imparata alle scuole elementari, "When de Saints go marching in"...
Sono a pochi chilometri da Todi, un suggestivo ponte sul Tevere mi conduce a Pontecuti e da lì mi arrampico fino a raggiungere la “città la più vivibile del mondo”. Il centro storico medievale, i resti dell’antica Rocca, la triplice cerchia di mura difensive, i caratteristici “nicchioni” e le decine di porte di accesso la rendono inconfondibile e affascinante.
Torno indietro verso Pontecuti, poi dritto verso il Parco Fluviale del Tevere. Questo tratto di statale è noioso, certo rispetto alla Mille Curve qualunque altra strada lo sarebbe… Alla mia destra, dietro le foglie rossastre dei vigneti, il fiume Tevere si snoda tra canyon e ampi pianori verdi. Poi improvvisamente si allarga fino a sfociare sul Lago di Corbara, il bacino artificiale creato nei decenni scorsi per ospitare una centrale idroelettrica. Un cartello pubblicitario recita: “Lago di Corbara: vino, Vissani, vacanze”. E in effetti sono queste tre V che muovono l’economia locale: le numerose cantine produttrici del Lago di Corbara DOC rosso sparse intorno al lago; il carissimo ristorante (roba da 200 euro a botta!) del telegenico chef, bravo tra i fornelli, un po’ meno con le parole; le strutture recettive, agriturismo, b&b, trattorie, disseminate in zona. Il ponte sul lago, posizionato poche centinai di metri prima della diga, è il punto più spettacolare dal quale contemplare la pace di questo angolo di Umbria.
Solo dopo essere stato costretto a pensare a Vissani realizzo che il mio organismo ha bisogno di nutrimento. L’iPhone segna le 16.44: ipnotizzato dal ritmo di guida e dallo spettacolo del parco del Tevere, questa volta ho clamorosamente bucato il pranzo. Il sole però è già basso e decido di rientrare a Roma. Imbocco la A1, rapida sosta all’area di servizio Tevere, pieno al selfservice, Rustichella + macedonia di frutta per tamponare la fame, e di nuovo in sella. Velocità di crociera 110 km/h: questa volta il passamontagna è rigorosamente sotto il casco. Addio freddo psicologico…
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Informazioni utili:
Dove mangiare:
Piazza del Popolo, piazza del Popolo 2/3, Orvieto (TR), tel 0763343463, ristorantepiazzadelpopolo.it.
Fiorfiore, località Collina, Todi (PG), 0758942416, roccafiore.it.
Chilometri percorsi: 115 (tot. da Roma a/r: 330)
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Tutto molto bello!
RispondiEliminaComplimenti!
enzorock
Un bellissimo percorso raccontato in modo speciale!!!
RispondiEliminaGran bel report! Un giretto in zona l'ho fatto nel 2010:
RispondiEliminahttp://digilander.libero.it/biangege/Itinerari/montefiascone2010/15_millecurve/15_millecurve.htm
Bravo!
BianConiglio
Bravo. Il giro lo conoscevo gia,ma ti faccio i complimenti per come lo hai raccontato e descritto mi sembrava di rifarlo, ma con la memoria. Menni
RispondiEliminaQuanta poesia nel tuo racconto.
RispondiEliminaHo letto il post tutto d'un fiato....
P.S. Ma le foto le hai fatte da solo o con l'aiuto di qualcuno?
Grazie a tutti!
RispondiElimina@ Io e Amelia: si, le foto sono farina del mio dilettantesco sacco... ;)