Ho conosciuto “virtualmente” Mario Donnini grazie a un amico comune, Gianluca Teodori. Sapevo poco di questo giornalista sportivo, giusto i nomi delle riviste motoristiche per cui ha lavorato e i titoli delle sue pubblicazioni. Ha la stessa età di mia sorella maggiore, tra noi quindi c’è di mezzo proprio quella generazione che ha reso possibile l’enorme diffusione delle discipline motoristiche durante gli anni ’80.
Mario ha una visione ampia delle corse e adora auto, sidecar e moto. Nel 1979 era già in sella a un Benelli Magnum 4 marce con cambio a bilanciere: “Lo so, non è una moto, ma a me sembrava una Suzuki RG500 da Gran Premio!”. Oggi, è uno dei pochi fortunati possessori di Ducati Scrambler 350: “Da piccolo la vedevo passare e pensavo fosse una moto da macho. Ora non ne sono più del tutto sicuro, ma è tardi per cambiare idea…”.
La cosa bella di Mario è che, nonostante la professionalità e il talento di scrittore, è rimasto uno di noi, modesto, burlone, uno che si appassiona davanti a un duello in pista e che condivide con gli amici emozioni, riflessioni e perplessità sullo sport come sulla vita. Persino sulla sua fanpage su Facebook. Mario, inoltre, conosce bene i segreti della comunicazione e ha deciso di pubblicare il suo ultimo libro, “Tourist Trophy - Muori o vivi davvero”, il secondo dedicato al TT, pochi giorni prima dell’inizio della leggendaria gara che ogni anno chiama a raccolta migliaia di tifosi lungo le strade dell’Isola di Man.
Mario ha una visione ampia delle corse e adora auto, sidecar e moto. Nel 1979 era già in sella a un Benelli Magnum 4 marce con cambio a bilanciere: “Lo so, non è una moto, ma a me sembrava una Suzuki RG500 da Gran Premio!”. Oggi, è uno dei pochi fortunati possessori di Ducati Scrambler 350: “Da piccolo la vedevo passare e pensavo fosse una moto da macho. Ora non ne sono più del tutto sicuro, ma è tardi per cambiare idea…”.
La cosa bella di Mario è che, nonostante la professionalità e il talento di scrittore, è rimasto uno di noi, modesto, burlone, uno che si appassiona davanti a un duello in pista e che condivide con gli amici emozioni, riflessioni e perplessità sullo sport come sulla vita. Persino sulla sua fanpage su Facebook. Mario, inoltre, conosce bene i segreti della comunicazione e ha deciso di pubblicare il suo ultimo libro, “Tourist Trophy - Muori o vivi davvero”, il secondo dedicato al TT, pochi giorni prima dell’inizio della leggendaria gara che ogni anno chiama a raccolta migliaia di tifosi lungo le strade dell’Isola di Man.
La sua è una vecchia passione: “Un giorno - erano gli anni ’70 - mio padre disse: “L’unica vera, grande corsa al mondo è il TT dell’Isola di Man”. Mi dette l’imprinting e fu una folgorazione. Adoro tutte le corse, ma il TT è speciale: “the real thing”, come dicono i fan britannici: la cosa vera”. Il suo primo TT come spettatore risale al 1995: “Restai senza fiato. Avevo già visto tutte le altre gare del mondo, su due e quattro ruote, quelle che prima avevo sognato da bambino: erano più belle immaginate che viste, come una femmina a lungo agognata ma troppo idealizzata. Il TT no. Al contrario ebbi la percezione che i miei sogni da bambino l’avessero minimizzato, la realtà infatti superava la fantasia! E lo credo ancora oggi”.
Donnini non si è accontentato solo di starsene ad applaudire dagli spalti e nel 1999 si iscrive persino alla gara con un side BMW da Gran Premio: “Purtroppo al TT Lap of Honour non presi il via. Franco Martinel, il mio pilota, fu vittima di un incidente a Kerrowmoar, finendo all’ospedale. Niente di che, per fortuna, ma niente giro per me…”. Ci riprova l’anno successivo e, ancora, per quattro edizioni di seguito, fino al 2003, in sella a Ducati, Rumi e Gilera, “tutte 125 del mio amico Carlo Bisoglio. L’ultima volta però, a causa di un grippaggio a Doran’s, ho visto la morte in faccia e ho lasciato stare. Ma adesso, ripensando al godimento che si prova correndo a velocità libera sul Mountain, mi risale la scimmia sulla spalla…”.
In astinenza da TT, Mario tornerà sull’isola da spettatore i primi di giugno, per l’ultimo giovedì di prova, e non si muoverà da lì per le due settimane successive.
Donnini non si è accontentato solo di starsene ad applaudire dagli spalti e nel 1999 si iscrive persino alla gara con un side BMW da Gran Premio: “Purtroppo al TT Lap of Honour non presi il via. Franco Martinel, il mio pilota, fu vittima di un incidente a Kerrowmoar, finendo all’ospedale. Niente di che, per fortuna, ma niente giro per me…”. Ci riprova l’anno successivo e, ancora, per quattro edizioni di seguito, fino al 2003, in sella a Ducati, Rumi e Gilera, “tutte 125 del mio amico Carlo Bisoglio. L’ultima volta però, a causa di un grippaggio a Doran’s, ho visto la morte in faccia e ho lasciato stare. Ma adesso, ripensando al godimento che si prova correndo a velocità libera sul Mountain, mi risale la scimmia sulla spalla…”.
In astinenza da TT, Mario tornerà sull’isola da spettatore i primi di giugno, per l’ultimo giovedì di prova, e non si muoverà da lì per le due settimane successive.
Un primo piano di Mario Donnini: i suoi occhi esprimono una grande passione per i motori (fonte: Facebook). |
I miei amici Flash, Bradipo e Tinapica da oltre un anno preparano freneticamente a tavolino la partenza in moto da Roma verso Man per realizzare il loro sogno e celebrare il centenario del Mountain Course. Non parlano d’altro. E non sono i soli connazionali a volersi godere lo spettacolo oltremanica: ogni anno gli italiani presenti a Man sono circa il 7% del totale dei visitatori: “Pochi ma specialissimi, stupendi, caldi, colti di corse. E sono in aumento. Chapeau”.
Così, in cerca di suggerimenti per i miei compagni, chiedo a Mario se ha mai raggiunto Man in moto: “Faccio schifo, come motard. Scendo dall’aereo fresco, con la valigetta in mano e se c’è da correre preferisco una moto storica ad aspettarmi, piuttosto che giungere sull’Isola stremato da una maratona per mezza Europa. So che per i puristi può suonare blasfemo, ma è la pura verità. Comunque apprezzo infinitamente lo spirito dei pellegrini su due ruote e consiglio ai neofiti di trascorrere a Man almeno gli ultimi due giorni di qualifiche più quelli delle competizioni”. Dopo una risposta così sincera, ripensando alla faccia del Talebano, quando prospettai la mia partecipazione alla missione TT 2011 solo tramite volo a/r Alitalia, mi sento più sollevato…
Quelli del TT sembrano quei sani valori su cui si fondano gli sport motoristici, tali da rendere le corse leggenda: “Rischio, coraggio e solidarietà tra piloti. Oggi sui circuiti moderni - più nell’automobilismo che nel motociclismo, per la verità - impera una strana concezione asettica, avida, scialba e priva di qualsiasi virtù che non sia il denaro o l’immagine. E’ come se al posto del pugilato vero si praticasse solo il wrestling…”. Proprio per questa ragione, per disintossicarsi e gustarsi una “capsula di conservazione del rischio consapevole”, si va al TT.
Così, in cerca di suggerimenti per i miei compagni, chiedo a Mario se ha mai raggiunto Man in moto: “Faccio schifo, come motard. Scendo dall’aereo fresco, con la valigetta in mano e se c’è da correre preferisco una moto storica ad aspettarmi, piuttosto che giungere sull’Isola stremato da una maratona per mezza Europa. So che per i puristi può suonare blasfemo, ma è la pura verità. Comunque apprezzo infinitamente lo spirito dei pellegrini su due ruote e consiglio ai neofiti di trascorrere a Man almeno gli ultimi due giorni di qualifiche più quelli delle competizioni”. Dopo una risposta così sincera, ripensando alla faccia del Talebano, quando prospettai la mia partecipazione alla missione TT 2011 solo tramite volo a/r Alitalia, mi sento più sollevato…
Quelli del TT sembrano quei sani valori su cui si fondano gli sport motoristici, tali da rendere le corse leggenda: “Rischio, coraggio e solidarietà tra piloti. Oggi sui circuiti moderni - più nell’automobilismo che nel motociclismo, per la verità - impera una strana concezione asettica, avida, scialba e priva di qualsiasi virtù che non sia il denaro o l’immagine. E’ come se al posto del pugilato vero si praticasse solo il wrestling…”. Proprio per questa ragione, per disintossicarsi e gustarsi una “capsula di conservazione del rischio consapevole”, si va al TT.
Man, giugno 1974: mentre io nascevo, Albert Moule aka "Travelling Marshal" partecipava al TT sulla sua Triumph! (Fonte: iomtt.com) |
La prima edizione fu organizzata nel 1907 dal Marchese de Mouzilly St. Mars e da altri notabili locali e britannici e si disputava lungo il triangolo di St. John, “ma l’Isola di Man era già terreno fertile per le corse, poiché la speciale legislazione autonoma non prevedeva gli stessi limiti di velocità che tarpavano le ali alle competizioni nel resto del Regno Unito”.
Dal 1949 al 1972 il TT ottenne un’impennata di notorietà grazie al motomondiale e ai suoi assi. A partire dal 1976 il merito si deve invece a due campionissimi, “Mike Hailwood, al suo ritorno alle corse, e l’eterno Joey Dunlop, sulla breccia fino al 2000”. Recentemente, la popolarità della gara, “più che a John McGuinness, che è un grande”, è legata alla diffusione “dei video, dei dvd e di YouTube, che promuovono ed esaltano il coraggio e lo spirito del TT”.
Ma quali sono i piloti e i marchi che hanno fatto la storia del Tourist Trophy? “Joey Dunlop detiene il record di 26 vittorie, mentre tra le case costruttrici, dalla fine degli Anni ’90, la Honda ha sfondato quota 100!”. Anche il nostro tricolore ha lasciato segni indelebili a Man: “Il binomio MV Agusta - Giacomo Agostini resterà per sempre nella leggenda, con 10 trionfi tondi, ma sportivamente il mitico successo di Omobono Tenni, con la Moto Guzzi negli anni ’30, rappresenta una specie di bandiera sulla luna, così come l’annichilente successo della Ducati, pilotata da un trentotteenne Mike Hailwood, nella prova unica del mondiale F1 TT disputata sul Mountain Circuit”.
Mario conferma che tra partecipare al tt per vincerlo e solo per farne parte c’è una differenza fondamentale. “Per vincere una gara devi avere una casa ufficiale alle spalle, mentre per puntare a disputare una corsa, basta un’organizzazione casalinga, tipo privato del Continental Circus Anni ’70. Ma la pelle la rischiano allo stesso modo sia quelli che corrono per vincere sia quelli che puntano ad arrivare. Per questo io dico che tutti, nessuno escluso, al TT sono top rider”.
Nel tempo il TT si è trasformato in una gara mitica: “Ben presto divenne una vetrina commerciale fondamentale per l’industria motociclistica inglese ed europea. Oggi continua ad affascinare perché è uno degli ultimi luoghi del pianeta dove si corre senza far finta di correre, dove chi gareggia mette in palio tutto, cioè la pelle, spesso per quasi nulla in cambio. Ma attenzione, il TT non è speciale perché pericoloso, è unico perché rappresenta oltre un secolo di storia delle corse: se il palio lo corri a Siena, fai cultura, se lo corri ex novo in autostrada a Castelsampietro diventa un’altra cosa... Tuttavia esiste una galassia di altre corse stradali ricche di fascino e tradizione, una micro-civiltà che si estende dall’Ulster al’Irlanda, al Mount Oliver in Inghilterra, dal Belgio, alla Germania e all’est europeo, per arrivare fino a Macao, una specie di mini TT d’Oriente”. Insomma, le corse stradali sono un po’ dappertutto tranne che in Italia, eppure da noi la passione per i motori ha antiche tradizioni: “Nel nostro paese negli ultimi 50 anni è stato dilapidato un immenso patrimonio di storia e cultura delle competizioni. E’ un peccato. Eppure, grazie a internet e alla possibilità che i biker hanno di comunicare rapidamente fra loro, sembra essere in atto una forma di rinascimento spontaneo”. Mario ci crede e ci spera.
A volte penso a quanto sarebbe figo poter vedere in tv il TT, che ne so, su Sky o sul digitale terrestre, anche se forse una spettacolarizzazione mediatica potrebbe privarlo di quell’aspetto underground che ne rappresenta uno dei fattori di successo: “Il TT va bene com’è. Se si trasformasse in evento mediatico globale, sarebbe solo per ragioni di business. Spero non accada, perché quando arriva la tv, qualsiasi sport o evento il più delle volte viene snaturato”.
Troppe riflessioni sul senso della corsa rischiano di farmi perdere di vista il suo aspetto più coinvolgente: i piloti e le loro gesta. Chiedo qualche pronostico a Donnini su quali saranno i favoriti per la vittoria della prossima edizione e lui scommette su John McGuinness, “considerando l’assenza di Hutchinson, ancora ko per i postumi di un infortunio, il vecchio sovrano potrebbe riavere il trono. Occhio a Guy Martin, amatissimo ma ancora senza corona e vittorie, e a Bruce Anstey, che guiderà le Honda che furono di Hutchy. E attenzione alle Kawa di Michael Dunlop, Conor Cumins e Ryan Farqhuar. Tra i giovani, vedo bene Dan Kneen. Anche quest’anno, comunque, non c’è proprio nulla di scontato”. Da grande conoscitore del Tourist Trophy, Mario non si risparmia nel raccontarmi ogni tipo di aneddoto sui piloti: “Ricordo un flop eccellente a inizio anni ’80. L’americano Dale Singleton, forte d’essere un grande a Daytona, beccò un ingaggio da urlo, ma poi sul Mountain andava al passo di un elettricista di Birmingham… Mentre a lasciare tutti a bocca aperta, con un exploit plurimo e inatteso, è l’italiano Bonetti, che ormai da sette anni corre con un pugno di euro, finendo puntualmente nella scia di molti nomi blasonati e di moto semi-ufficiali. Meriterebbe di più”.
Dal 1949 al 1972 il TT ottenne un’impennata di notorietà grazie al motomondiale e ai suoi assi. A partire dal 1976 il merito si deve invece a due campionissimi, “Mike Hailwood, al suo ritorno alle corse, e l’eterno Joey Dunlop, sulla breccia fino al 2000”. Recentemente, la popolarità della gara, “più che a John McGuinness, che è un grande”, è legata alla diffusione “dei video, dei dvd e di YouTube, che promuovono ed esaltano il coraggio e lo spirito del TT”.
Ma quali sono i piloti e i marchi che hanno fatto la storia del Tourist Trophy? “Joey Dunlop detiene il record di 26 vittorie, mentre tra le case costruttrici, dalla fine degli Anni ’90, la Honda ha sfondato quota 100!”. Anche il nostro tricolore ha lasciato segni indelebili a Man: “Il binomio MV Agusta - Giacomo Agostini resterà per sempre nella leggenda, con 10 trionfi tondi, ma sportivamente il mitico successo di Omobono Tenni, con la Moto Guzzi negli anni ’30, rappresenta una specie di bandiera sulla luna, così come l’annichilente successo della Ducati, pilotata da un trentotteenne Mike Hailwood, nella prova unica del mondiale F1 TT disputata sul Mountain Circuit”.
Mario conferma che tra partecipare al tt per vincerlo e solo per farne parte c’è una differenza fondamentale. “Per vincere una gara devi avere una casa ufficiale alle spalle, mentre per puntare a disputare una corsa, basta un’organizzazione casalinga, tipo privato del Continental Circus Anni ’70. Ma la pelle la rischiano allo stesso modo sia quelli che corrono per vincere sia quelli che puntano ad arrivare. Per questo io dico che tutti, nessuno escluso, al TT sono top rider”.
Nel tempo il TT si è trasformato in una gara mitica: “Ben presto divenne una vetrina commerciale fondamentale per l’industria motociclistica inglese ed europea. Oggi continua ad affascinare perché è uno degli ultimi luoghi del pianeta dove si corre senza far finta di correre, dove chi gareggia mette in palio tutto, cioè la pelle, spesso per quasi nulla in cambio. Ma attenzione, il TT non è speciale perché pericoloso, è unico perché rappresenta oltre un secolo di storia delle corse: se il palio lo corri a Siena, fai cultura, se lo corri ex novo in autostrada a Castelsampietro diventa un’altra cosa... Tuttavia esiste una galassia di altre corse stradali ricche di fascino e tradizione, una micro-civiltà che si estende dall’Ulster al’Irlanda, al Mount Oliver in Inghilterra, dal Belgio, alla Germania e all’est europeo, per arrivare fino a Macao, una specie di mini TT d’Oriente”. Insomma, le corse stradali sono un po’ dappertutto tranne che in Italia, eppure da noi la passione per i motori ha antiche tradizioni: “Nel nostro paese negli ultimi 50 anni è stato dilapidato un immenso patrimonio di storia e cultura delle competizioni. E’ un peccato. Eppure, grazie a internet e alla possibilità che i biker hanno di comunicare rapidamente fra loro, sembra essere in atto una forma di rinascimento spontaneo”. Mario ci crede e ci spera.
A volte penso a quanto sarebbe figo poter vedere in tv il TT, che ne so, su Sky o sul digitale terrestre, anche se forse una spettacolarizzazione mediatica potrebbe privarlo di quell’aspetto underground che ne rappresenta uno dei fattori di successo: “Il TT va bene com’è. Se si trasformasse in evento mediatico globale, sarebbe solo per ragioni di business. Spero non accada, perché quando arriva la tv, qualsiasi sport o evento il più delle volte viene snaturato”.
Troppe riflessioni sul senso della corsa rischiano di farmi perdere di vista il suo aspetto più coinvolgente: i piloti e le loro gesta. Chiedo qualche pronostico a Donnini su quali saranno i favoriti per la vittoria della prossima edizione e lui scommette su John McGuinness, “considerando l’assenza di Hutchinson, ancora ko per i postumi di un infortunio, il vecchio sovrano potrebbe riavere il trono. Occhio a Guy Martin, amatissimo ma ancora senza corona e vittorie, e a Bruce Anstey, che guiderà le Honda che furono di Hutchy. E attenzione alle Kawa di Michael Dunlop, Conor Cumins e Ryan Farqhuar. Tra i giovani, vedo bene Dan Kneen. Anche quest’anno, comunque, non c’è proprio nulla di scontato”. Da grande conoscitore del Tourist Trophy, Mario non si risparmia nel raccontarmi ogni tipo di aneddoto sui piloti: “Ricordo un flop eccellente a inizio anni ’80. L’americano Dale Singleton, forte d’essere un grande a Daytona, beccò un ingaggio da urlo, ma poi sul Mountain andava al passo di un elettricista di Birmingham… Mentre a lasciare tutti a bocca aperta, con un exploit plurimo e inatteso, è l’italiano Bonetti, che ormai da sette anni corre con un pugno di euro, finendo puntualmente nella scia di molti nomi blasonati e di moto semi-ufficiali. Meriterebbe di più”.
Guy Martin sogna la prima vittoria al prossimo TT (fonte: guymartinraging.co.uk) |
Già, ma chissà quanti manici, matti o semplici sportivi, hanno gareggiato sulle strade di Man: “Il tipico pilota da TT è britannico, tra i 20 e i 60 anni d'età, con lo spirito del privato del Continental Circus Anni '70. Uno che non se la tira, parla poco, svita e basta. Umanamente sensibile, per niente folle, aperto, sorridente e determinato. In genere il pilota tipo vive il Mountain come l'appuntamento della vita, prima al Manx, poi al TT e infine tornando al Manx con le storiche. Il pilota del loggione corre sul Mountain anche per 40 anni filati!". A questo punto c’è da chiedersi se, in mezzo a tanto sano agonismo, al TT c’è spazio anche per il gentil sesso: “Certo che sì. Due anni fa, Carolynn Sells si è aggiudicata una gara del Manx sul tracciato di Montagna, mentre la più veloce nel TT vero e proprio, seppur lontana dalle posizioni che contano, è Jenny Tinmouth”.
Ancora sui piloti: “Il più bravo resta Joey Dunlop. Il più coraggioso, Nigel Davies: nella gara di F1 del 1994 continuò a correre nell’uragano comandando la corsa quando tutti i big s’erano fermati. Gli dettero bandiera rossa alla fine del secondo giro, rubandogli una vittoria sacrosanta. Il più sfortunato, Bob Jackson: a fine anni ’90 stava ridicolizzando le Honda in sella alla Kawa privata di McAdoo nella gara Senior, ma perse la corsa per il ritardato avvitamento del tappo del carburante all’ultimo refuelling. Fu la sua ultima chance: pochi giorni dopo perse l’uso delle gambe in una caduta durante una corsa minore in Ulster”. E i campioni moderni di Moto GP e SBK? “L’unico reo confesso che ha dichiarato di amare il TT e di non escludere a priori una sua futura partecipazione è Roberto Rolfo”. Gli altri neanche per sogno: “Ha ragione Valentino: i campioni moderni sono abituati a sbagliare, tanto c’è la via di fuga. A Man se commetti un errore e finisci all’ospedale, sei molto fortunato. Filosofie antipodali, diverse, quasi inconciliabili. Fanno eccezione i sidecaristi: Klaffenbock (vincitore di due gare nel 2010) e Reeves sono ex campioni del mondo che corrono regolarmente all’Isola di Man. Ma i side sono un mondo del tutto a parte dalle due ruote, ormai”.
E come dar torto a chi preferisce evitare di sfrecciare a 200 km/h sfiorando muretti, marciapiedi e pali della luce. “Barry Sheene, nel 1971, dopo le sole due gare cui partecipò, disse che tutto il circuito era un’immensa trappola mortale. I punti del tracciato dove un pilota può fare la differenza sono i tratti veloci: Mike Hailwood diceva che per andar forte al TT bisogna andare lenti sul lento e veloci sul veloce... Tipico understatement britannico, ma qualcosa di vero c’è”.
Su quei muretti comunque hanno perso la vita in tanti, “nel corso degli anni, tra prove e gare, la competizione ha totalizzato ben 231 vittime”, e altri continuano a rischiare la pelle: “Perché per loro il senso della vita è il rischio. La voglia di superare se stessi e le paure più ancestrali. Il più umano e poetico dei sentimenti, direi, ciò che nella vita di tutti i giorni stiamo un po’ perdendo”. Sarà, ma a volte a me sembra che gli iscritti al TT pensino che la propria consacrazione attraverso la morte possa superare quella che passa per tante vittorie da sopravvissuti. Donnini non è d’accordo: “Il TT rider è razionalissimo, consapevole, e sa che non deve e non può sbagliare. Accetta il rischio ma sa come affrontarlo. Un atteggiamento sorvegliato, mai estremo, che consente a dei veterani di correre per decenni. I piloti dell’Isola di Man non sono matti, semmai calcolatori. E mille volte meno propensi all’errore dei centauri dei circuiti tradizionali. La morte, al TT, è vissuta da un pilota con lo stesso distacco di un fumatore che si accende una Marlboro: può capitare il peggio, sicuro, ma quasi certamente succederà ad altri...”.
Ancora sui piloti: “Il più bravo resta Joey Dunlop. Il più coraggioso, Nigel Davies: nella gara di F1 del 1994 continuò a correre nell’uragano comandando la corsa quando tutti i big s’erano fermati. Gli dettero bandiera rossa alla fine del secondo giro, rubandogli una vittoria sacrosanta. Il più sfortunato, Bob Jackson: a fine anni ’90 stava ridicolizzando le Honda in sella alla Kawa privata di McAdoo nella gara Senior, ma perse la corsa per il ritardato avvitamento del tappo del carburante all’ultimo refuelling. Fu la sua ultima chance: pochi giorni dopo perse l’uso delle gambe in una caduta durante una corsa minore in Ulster”. E i campioni moderni di Moto GP e SBK? “L’unico reo confesso che ha dichiarato di amare il TT e di non escludere a priori una sua futura partecipazione è Roberto Rolfo”. Gli altri neanche per sogno: “Ha ragione Valentino: i campioni moderni sono abituati a sbagliare, tanto c’è la via di fuga. A Man se commetti un errore e finisci all’ospedale, sei molto fortunato. Filosofie antipodali, diverse, quasi inconciliabili. Fanno eccezione i sidecaristi: Klaffenbock (vincitore di due gare nel 2010) e Reeves sono ex campioni del mondo che corrono regolarmente all’Isola di Man. Ma i side sono un mondo del tutto a parte dalle due ruote, ormai”.
E come dar torto a chi preferisce evitare di sfrecciare a 200 km/h sfiorando muretti, marciapiedi e pali della luce. “Barry Sheene, nel 1971, dopo le sole due gare cui partecipò, disse che tutto il circuito era un’immensa trappola mortale. I punti del tracciato dove un pilota può fare la differenza sono i tratti veloci: Mike Hailwood diceva che per andar forte al TT bisogna andare lenti sul lento e veloci sul veloce... Tipico understatement britannico, ma qualcosa di vero c’è”.
Su quei muretti comunque hanno perso la vita in tanti, “nel corso degli anni, tra prove e gare, la competizione ha totalizzato ben 231 vittime”, e altri continuano a rischiare la pelle: “Perché per loro il senso della vita è il rischio. La voglia di superare se stessi e le paure più ancestrali. Il più umano e poetico dei sentimenti, direi, ciò che nella vita di tutti i giorni stiamo un po’ perdendo”. Sarà, ma a volte a me sembra che gli iscritti al TT pensino che la propria consacrazione attraverso la morte possa superare quella che passa per tante vittorie da sopravvissuti. Donnini non è d’accordo: “Il TT rider è razionalissimo, consapevole, e sa che non deve e non può sbagliare. Accetta il rischio ma sa come affrontarlo. Un atteggiamento sorvegliato, mai estremo, che consente a dei veterani di correre per decenni. I piloti dell’Isola di Man non sono matti, semmai calcolatori. E mille volte meno propensi all’errore dei centauri dei circuiti tradizionali. La morte, al TT, è vissuta da un pilota con lo stesso distacco di un fumatore che si accende una Marlboro: può capitare il peggio, sicuro, ma quasi certamente succederà ad altri...”.
1968: il compianto Paso sfreccia a Man su una Benelli! (fonte: cesenabikers.blogspot.com) |
Andar forte, per i piloti, prudenti o impavidi, matti o calcolatori, giovani o attempati, a Man resta l’obiettivo principale: "Senza una moto top non vinci, ma al TT la vera differenza la fa l'uomo, molto di più che in qualunque altra corsa del pianeta". A proposito di moto, mi incuriosisce molto capire in cosa differisce il setting di una corsa stradale come il TT rispetto a quello di altre competizioni: “Proprio Stefano Bonetti mi diceva che i rapporti del cambio vanno più lunghi, visti i rettilinei infiniti del Mountan. Meglio avere un ammortizzatore di sterzo per le asperità e un cupolino alto. Le sospensioni vanno tarate in modo non troppo duro ma neanche troppo morbido, una saggia via di mezzo visto che il tracciato è così eterogeneo. Quanto alle gomme, occhio alla posteriore: meglio una mescola dura per allungarne la vita. E ogni 300 chilometri è bene cambiare la catena".
Se è vero che le case costruttrici, legano spesso il loro coinvolgimento diretto in veste ufficiale in tante prestigiose categorie come la Moto GP o la SBK, non accade lo stesso con il TT: "Solo le filiali inglesi delle case giapponesi corrono mettendoci la faccia, gli altri nicchiano per un semplice motivo: se vinci, a livello commerciale non ti cambia la vita, ma se un pilota resta vittima di un incidente grave, il danno d'immagine potrebbe risultare rilevante".
La speranza è che il centenario del Mountain Course possa essere celebrato senza perdite di altre vite, dedicando piuttosto l’attenzione all’aspetto agonistico e folkloristico: “Per la celebrazione sono previste parecchie parate con vecchi campioni e assi del motociclismo moderno, ma anche quest’anno a monopolizzare l’attenzione saranno le categorie Superbike, sopra tutte, la 600 e la Superstock. Da non perdere i sidecar, in declino di quantità ma non di qualità, forse mai così alta”. Particolare attenzione, persino qui, per l’ambiente: “Da due anni corrono anche le elettriche e vanno come palle di fucile! Un esperimento interessante e affascinante: la moto del possibile futuro sul tracciato del passato remoto delle corse... Un mix originale, non c’è che dire. Quest’anno con ogni probabilità verrà abbattuto il muro delle 100 miglia, ossia circa 160 km/h, di media al giro, a testimonianza che la sostanza c’è eccome”.
Se è vero che le case costruttrici, legano spesso il loro coinvolgimento diretto in veste ufficiale in tante prestigiose categorie come la Moto GP o la SBK, non accade lo stesso con il TT: "Solo le filiali inglesi delle case giapponesi corrono mettendoci la faccia, gli altri nicchiano per un semplice motivo: se vinci, a livello commerciale non ti cambia la vita, ma se un pilota resta vittima di un incidente grave, il danno d'immagine potrebbe risultare rilevante".
La speranza è che il centenario del Mountain Course possa essere celebrato senza perdite di altre vite, dedicando piuttosto l’attenzione all’aspetto agonistico e folkloristico: “Per la celebrazione sono previste parecchie parate con vecchi campioni e assi del motociclismo moderno, ma anche quest’anno a monopolizzare l’attenzione saranno le categorie Superbike, sopra tutte, la 600 e la Superstock. Da non perdere i sidecar, in declino di quantità ma non di qualità, forse mai così alta”. Particolare attenzione, persino qui, per l’ambiente: “Da due anni corrono anche le elettriche e vanno come palle di fucile! Un esperimento interessante e affascinante: la moto del possibile futuro sul tracciato del passato remoto delle corse... Un mix originale, non c’è che dire. Quest’anno con ogni probabilità verrà abbattuto il muro delle 100 miglia, ossia circa 160 km/h, di media al giro, a testimonianza che la sostanza c’è eccome”.
Donnini è un fiume in piena, racconta il TT come un fratello maggiore che trasmette passione ai più giovani. E ha fatto bene a dedicare un secondo volume al fascino di Man: “Il nuovo libro è nuovo davvero, del vecchio non c’è una riga. La verità è che “Tourist Trophy - La corsa proibita” ha venduto oltre 15.000 copie. Una cifra follemente alta per essere un libro di nicchia. Avevo tante altre storie nuove, fresche, vissute durante altri 10 anni sull’isola e quel primo approccio mi cominciava a stare stretto, non lo sentivo più così mio. Perciò, mi son detto: perché non sfidare me stesso, come se affrontassi gli assi del TT? Con “Tourist Trophy - Muori o vivi davvero” ironicamente dico che vorrei battere e cancellare la prima puntata”.
A questo punto, costringo Mario ad aprire una pagina a caso del nuovo libro per strappargli qualche aneddoto: “In questi anni, l’amicizia con Mick Grant, 7 volte vincitore al TT, mi ha svelato segreti inediti e retroscena da urlo. Era ora di raccontarli. Poi ci sono storie toccanti e ma mai sviscerate, come quella di Bruce Anstey, anche lui 7 volte vincitore, diventato un asso del Mountain dopo essere guarito da un tumore: a conti fatti un uomo perfino più coraggioso del grande Lance Armstrong, asso della bici. E poi sono mille altri i personaggi comuni e non pochi famosi nomi”. Già, l’ordinarietà dei suoi protagonisti: “Il fascino unico del TT secondo me è anche questo”.
Il nuovo libro, al momento disponibile presso la Libreria dell'Automobile (tel. 02 76006624), richiedibile alla Giorgio Nada Editore e a giorni acquistabile ovunque, rappresenterà senz’altro un must per ogni rider che si rispetti: “scrivere un libro del genere di oltre 270 pagine è un atto d’amore, una carezza rivolta a un motociclismo di frontiera, prima che la frontiera scompaia per sempre”.
Grazie a questa chiacchierata, comprendere il senso del TT per me è stato semplice: “è una corsa che ha avuto il coraggio e la dignità di restare sostanzialmente uguale a se stessa, fregandosene della guerra che gli hanno fatto tutti. Federazioni, organi d’informazione e quant’altri”. E quando rivolgo l’ultima domanda a Mario Donnini, chiedendogli se è meglio che il tt cambi per rafforzarsi o che resti com’è per sopravvivere al tempo che passa, e lui mi risponde col motto di Santa Romana Chiesa, “forte tradizione nel rinnovamento, prudente rinnovamento nella tradizione”, ho la conferma a ciò che ho sempre sospettato: il Tourist Trophy non è una gara, ma una religione.
A questo punto, costringo Mario ad aprire una pagina a caso del nuovo libro per strappargli qualche aneddoto: “In questi anni, l’amicizia con Mick Grant, 7 volte vincitore al TT, mi ha svelato segreti inediti e retroscena da urlo. Era ora di raccontarli. Poi ci sono storie toccanti e ma mai sviscerate, come quella di Bruce Anstey, anche lui 7 volte vincitore, diventato un asso del Mountain dopo essere guarito da un tumore: a conti fatti un uomo perfino più coraggioso del grande Lance Armstrong, asso della bici. E poi sono mille altri i personaggi comuni e non pochi famosi nomi”. Già, l’ordinarietà dei suoi protagonisti: “Il fascino unico del TT secondo me è anche questo”.
Il nuovo libro, al momento disponibile presso la Libreria dell'Automobile (tel. 02 76006624), richiedibile alla Giorgio Nada Editore e a giorni acquistabile ovunque, rappresenterà senz’altro un must per ogni rider che si rispetti: “scrivere un libro del genere di oltre 270 pagine è un atto d’amore, una carezza rivolta a un motociclismo di frontiera, prima che la frontiera scompaia per sempre”.
Grazie a questa chiacchierata, comprendere il senso del TT per me è stato semplice: “è una corsa che ha avuto il coraggio e la dignità di restare sostanzialmente uguale a se stessa, fregandosene della guerra che gli hanno fatto tutti. Federazioni, organi d’informazione e quant’altri”. E quando rivolgo l’ultima domanda a Mario Donnini, chiedendogli se è meglio che il tt cambi per rafforzarsi o che resti com’è per sopravvivere al tempo che passa, e lui mi risponde col motto di Santa Romana Chiesa, “forte tradizione nel rinnovamento, prudente rinnovamento nella tradizione”, ho la conferma a ciò che ho sempre sospettato: il Tourist Trophy non è una gara, ma una religione.
2011 © Alberto Di Stefano - Conlamoto.it
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grande albi!
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