domenica 29 gennaio 2012

Nico Cereghini: storie di moto e segreti di guida


Una volta in classe, avrò avuto 11 o 12 anni, l’insegnante lanciò la classica domanda che esalta l’immaginazione dei ragazzini: “Allora bambini, rispondete alzando la mano: cosa vorreste fare da grandi?”. E lì una variopinta compilation di risposte: il pompiere, il meccanico, l’infermiera, la ballerina. Quando fu il mio turno, mentre gli occhi della prof mi fissavano tramite la piccola striscia compresa tra il bordo superiore degli occhiali e le sopracciglia, esclamai: “Il Nico Cereghini!”. Risate di tutta l’aula…
Erano gli anni in cui compravo i miei primi Tuttomoto e Motociclismo, ma soprattutto gli anni in cui la domenica mattina litigavo con i miei fratelli maggiori per sintonizzare la tv su Italia 1, in attesa dell’imperdibile prova di Nico Cereghini, il tester di moto di Grand Prix! Oggi, che di anni ne ho 37, continuo ad ammirare il suo essere motociclista, pilota e giornalista insieme. Mica facile.
Grazie a Conlamoto.it riesco a scambiare qualche battuta con Nico e lo mitraglio di tutte quelle domande che sin dai tempi della scuola media avrei voluto fargli. Lui, con eleganza e disponibilità, risponde divertito dietro la solita folta barba rassicurante: “La porto da quando avevo diciassette anni; anzi, una volta era molto più lunga”.

Fonte: nicocereghini.it

È proprio da ragazzo che Nico inizia la sua esperienza in pista in sella a una moto da corsa: "Come tutti, convinto di saperci fare. Sono entrato in pista la prima volta nel ’68, con una Ducati 250 Desmo che avevamo in prova a Motociclismo. Sulla Junior di Monza, con la pioggerella. Ero da poco collaboratore con il mensile. Da quel momento ho voluto correre, idea fissa come per tanti ragazzi; presto ho esordito nella 500 km di Vallelunga con una 500 Suzuki Titan a prestito, di proprietà del mio editore, in coppia con il collega-collaboratore Gianni Belli”. E da lì Nico non ha smesso di spingere forte in pista per tutto il periodo dei mitici anni ’70, togliendosi anche qualche sfizio: “Oltre a qualche bel podio nella 500 GP - parlo di gare italiane, perché nel mondiale ho collezionato soltanto rotture meccaniche - ho avuto molte soddisfazioni nel mondiale Endurance. Sei volte ho corso la 24 Ore di Le Mans, il celebre Bol d’Or. Nel ’75 ho fatto il secondo posto nella 24 Ore di Spa-Francorchamps, con la Laverda 1000 tre cilindri ufficiale, ed il terzo posto alla 1000 km del Mugello. Nel ’78 ho portato in pista la sei cilindri 1000 Laverda ufficiale, al Castellet in Francia nel Bol d’Or. Anche se si è rotta a metà corsa, è stata l’unica corsa che ha fatto quella moto: una vera leggenda”.
Cereghini insomma si è fatto le ossa sul campo e ha pilotato moto non proprio semplici da domare: “Le prime RG 500 Suzuki, a quattro cilindri, erano due tempi potenti e scorbutiche. Oggi 100 cavalli fanno sorridere, ma avevano duemila giri di utilizzazione…”. In carriera, da pilota prima e da giornalista poi, ha avuto il privilegio di correre e lavorare al fianco di grandi campioni, alcuni già passati a miglior vita, altri ancora in forma o pienamente in attività: Agostini? “Il primo professionista della moto, magico”. Cadalora?  “Preparato tecnicamente e bellissimo nella guida”. Lucchinelli? “Geniale, talentuoso e incontenibile”. Spencer?  “Misterioso ma rivoluzionario nella guida”. Doohan? “Serio e molto per bene”. Capirex? “Coraggioso e fisico nella guida”. Biaggi? “Meticoloso, esigente, veloce e troppo malfidente”. Rossi? “Il più grande, quello che meglio rappresenta la moto”. Stoner? “Incredibilmente veloce e finissimo nella guida”. Sic? “Esuberante, talentuoso, sfortunatissimo”.
Chissà cosa si prova a gareggiare contro rivali leggendari e carismatici del calibro di Agostini o Lucchinelli e chissà se un pilota professionista può fare il tifo per un avversario: “Non credo”, sottolinea Nico, “al limite può trovare meno fastidioso se vince uno dei piloti che conosce meglio e non gli sta antipatico”.
Correre a certi livelli mette mente e corpo a dura prova e prima o poi si arriva darci un taglio, un momento indimenticabile per un pilota: “Alla fine del ’78, avevo trent’anni e lo spazio per chi correva soltanto per passione diventava sempre più stretto. Avevo cominciato già da giornalista, per il piacere di guidare in pista. Ma senza lo spirito supercompetitivo e i milioni a disposizione non si poteva più continuare. Ho corso nel periodo più bello del motociclismo: gli anni Settanta, mitici come i Sessanta per la musica”.

Fonte: nicocereghini.it

Un’esperienza agonistica del genere sarebbe già un bel palmares da tenere fieramente nell’anima, ma Nico Cereghini, parallelamente alle corse in moto, si da fare anche nelle redazioni delle riviste specializzate, allora molto diverse da quelle attuali: “Alla fine degli anni ‘60 c’era molta passione e poca professione. Ma grandi maestri come Perelli, Patrignani e Colombo”. Dopo Motociclismo (per cui è stato anche vice-direttore) Cereghini ha collaborato con tante riviste di settore: Il Pilota Moto, La Moto, TuttomotoRiders: “Oggi, nell’era digitale, c’è un’infinità di blog indipendenti e forum online dedicati alla moto. Una gran bella opportunità, non tutti affidabili però. Ma la stampa tradizionale ha ancora senso: è bello tenere in mano un giornale, leggerlo a letto prima di dormire, avere le fotografie da guardare anche quando sei impegnato seduto… in bagno. E raccogliere in uno scaffale le cose che colpiscono di più. Internet è bello, ma gli oggetti della nostra vita mantengono sempre un certo fascino”. Quando gli chiedo quale rivista di moto europea ritiene la più autorevole, la risposta è ambigua: “Credo sia ancora la tedesca Das Motorrad, ma non ne sono sicurissimo”.

Fonte: nicocereghini.it

Nel 1985 arrivano Italia 1 e la redazione di Grand Prix, dove da subito conia il celebre slogan Casco in testa ben allacciato, luci accese anche di giorno, e prudenza. Sempre! “E’ nato fin dalla prima prova televisiva. Volevamo dare anche un messaggio di responsabilità e di sicurezza, perché la moto è bellissima però occorre consapevolezza.” Così, anche grazie alla tv, Nico Cereghini accresce la sua popolarità e diventa uno dei tester di moto più celebri e autorevoli. Chissà se si rende conto di quanto invidiamo la sua fortuna tutte le volte che prova per primo una moto: “Certo, è un grande privilegio. Nella vita ci vuole talento ma anche fortuna; però sento di essermi meritato questa soddisfazione dopo tanti anni di giornali specializzati, pagato pochissimo, spesso senza nemmeno i contributi perché era una editoria minore, e dopo aver dimostrato che in moto ci sapevo andare. Tutto va conquistato, niente arriva gratis”. Scooter, stradali, endurone, maxi: sotto le sue mani sono passate le moto e i marchi più importanti dell’ultimi trent’anni. Ma su tutte ricorda una prova indimenticabile: “Il confronto al Mugello tra una Lamborghini guidata da Andrea De Adamich e la Suzuki GSX-R 1100 che guidavo io. Memorabile la bella impennata lungo tutto il rettilineo del traguardo. Vinse la moto ma recitammo un pareggio…”.
Oggi Nico conduce Fuorigiri, il dopo-gara della MotoGp di Italia 1. Parlare della prossima stagione del Motomondiale è inevitabile: “Stoner è il naturale favorito. Honda e Casey saranno difficilmente battibili. Spero che Vale e la Ducati possano avvicinarsi alle vittorie parziali”. Dietro ispirazione del mio amico Bagarre! gli chiedo anche se trova più appassionante la MotoGP o la SBK: “La prima. Perché è la massima formula e ci sono i migliori talenti. Amo moltissimo la SBK, ho iniziato a correre con le derivate dalla serie. Naturalmente lo spettacolo della MotoGP non è sempre al top e la SBK quasi sempre è più vivace, ma del resto è sempre stato così: il mondiale velocità, quello dei prototipi, non può essere combattuto come il campionato delle derivate dalla serie. Tuttavia è quello che riscuote il maggior interesse dal 1949”. E la gloriosa quanto bistrattata Dakar, appena conclusa con la vittoria di Despres su KTM? “Mi appassiona molto meno di quando la seguivo come inviato. Ma resta una bellissima corsa, soprattutto per chi la fa con la moto”.
Dopo fiumi di parole raccontate sul piccolo schermo e scritte sulle riviste specializzate, Nico Cereghini si è dedicato ad un libro che non può mancare sul comodino: Da Agostini a Valentino - Storie di moto e segreti di guida: “E’ un libro per chi ama la moto. La passione si può sintonizzare con la bella guida, e io penso che i gesti dei piloti e quelli dei motociclisti della strada siano gli stessi. Raccontando aneddoti interessanti, vorrei che i motociclisti si sentissero vicini ai loro idoli e li imitassero anche nella serietà del loro approccio con la moto. Credo nella leggerezza, detesto chi se la tira; ma credo anche nelle cose fatte bene”. E d’altronde, chi più del popolo delle ha bisogno di un livello elevato di consapevolezza e maturità: “I motociclisti italiani non sono peggiori dei francesi e dei tedeschi e sono meglio equipaggiati. Naturalmente c’è una minoranza che guida esagerando, ma questo atteggiamento non è il frutto della passione, bensì dell’illegalità diffusa che respiriamo oggi in Italia. Siamo particolarmente individualisti e maleducati. Come popolo. Purtroppo”.

Fonte: nicocereghini.it

Da sempre Nico è un portabandiera della sicurezza e cita tre importanti azioni che potrebbero migliorarne sensibilmente il livello: “Air-bag, prudenza e competenza”. Anche se, naturalmente, in sella l’errore e il pericolo sono sempre dietro l’angolo: “Diamo per scontate un mucchio di cose. Questo è il peggior rischio. E il superamento della colonna di auto, ferme in città o lente fuori, è la condizione più minacciosa”.
Ma con gente come Cereghini l’argomento più interessante da condividere resta quello della pura passione per la moto. Continuiamo a guidare su due ruote con la pioggia, a cinque sotto lo zero o con il sole d’agosto a picco, quando potrebbero comodamente guidare una berlina climatizzata: “Non siamo mica scemi”, commenta ironico. E continuiamo a portare nel cuore la nostra prima moto anche dopo decenni, come fosse la migliore di tutte: “La mia era una Gilera 98 Giubileo modificata da regolarità. Avevo diciassette anni. Ho lavorato un anno per comprarla, mentre andavo al liceo, e mi hanno dato una bella fregatura: l’ho pagata quasi come nuova e invece era alla frutta. Un famoso concessionario dell’epoca, che detesto ancora con tutte le mie forze. Durò soltanto otto mesi… Ai tempi sognavo le moto inglesi, soprattutto la BSA Spitfire 650. Ma presto ho scoperto che era un bidone e che non stava insieme. Le inglesi stavano morendo, ecco la verità che non conoscevo da ragazzo; per fortuna arrivarono le italiane Laverda, Guzzi e Ducati. E anche Honda e Kawasaki”.
Oggi Nico guida una confortevole tedescona: “Tutti i giorni, con il sole o con la pioggia, mi sposto su una tranquilla GT da 110 cavalli, comoda ma all'occorrenza anche dinamica il giusto. E se voglio qualcosa di più chiedo una Ducati o una supersportiva da usare un po’ in pista”. Si è concesso pure qualche bel tour macinachilometri: “Ora viaggio meno, la schiena è quella che è, ma ho girato l’Europa e parte dell’Asia. Viaggio più insolito quello in Grecia e Turchia, nell’estate del ’73, con una Laverda SF 750 con il manubrio in due pezzi, la moglie, la tenda, i sacchi a pelo e persino il fornelletto e qualche pentola... Cinquemila chilometri così ed ero fisicamente pronto per la 24 Ore di Le Mans. Braccia di ferro!”.
Chiacchierare di moto e di avventure è appassionante. Eppure, sembra incredibile, l’età media dei centauri italiani continua a crescere: “I ragazzini di oggi hanno tanti altri interessi, e tutti appassionanti. Sono i nostri tempi…”. Così, le case costruttrici reagiscono alla crisi sfornando modelli tuttofare sempre più rassicuranti: “All’EICMA mi sono piaciute le due Honda 700, che costano poco e consumano pochissimo. Vedremo se il mercato le premierà; non è scontato perché per noi domina ancora la passione”.

Fonte: nicocereghini.it

Sono passati molti anni da quella mitica foto del 1974, sul podio a Misano, dove Nico Cereghini fumava soddisfatto la sua meritata cicca. Per fortuna col tabacco ha smesso da anni:” E meno male! Fumavo anche due pacchetti al giorno”. Oggi, quando non è in sella, in tv o in redazione, ai vizi preferisce cose semplici e salubri: “Mi piace disegnare, leggere; mi piace la montagna e una volta la settimana, se posso, vado a fare una bella camminata. L’estate, venti giorni di escursioni in Dolomiti”. E anche lì, ne sono certo… Scarponcini ai piedi ben allacciati, occhi aperti anche di giorno, e prudenza. Sempre!

2012 © Alberto Di Stefano - Conlamoto.it

Lascia il tuo commento al post 

Scopri le altre INTERVISTE di Conlamoto.it
Vai agli ITINERARI

Torna alla HOME
Vai agli SPECIALI 

Seguici anche su:

domenica 22 gennaio 2012

Motor Bike Expo 2012: alternative party


Già l’anno scorso mi ero pentito di non aver organizzato una trasferta a Verona per ciò che da molti viene definito “quello che era l’eicma prima che diventasse l’eicma”. Trafelato come al solito, pochi giorni fa, alla faccia della crisi universale, ho trovato l’energia e l’entusiasmo per organizzare un last minute e, tra Trivago e Trenitalia, eccomi a Verona sin dal venerdì sera.


Già su diversi siti e blog circolava qualche anteprima online, ma con i propri occhi tutto assume una forma imprevedibile. Per niente sconfortato né dalla nebbia né dal freddo pungente della città scaligera, di buon mattino sono davanti la biglietteria. Non sembra esserci troppo casino, forse il prezzo non certo popolare (16 chicchi) ha scoraggiato qualche habitué.



Preso dall’entusiasmo di inizio giornata, seguo il percorso partendo dal padiglione 1 e 2, commettendo un errore da vero principiante. E pensare che a tanti ho suggerito di visitare le fiere sempre in direzione opposta: i primi stand di solito sono sempre i meno interessanti (almeno per me). Mi spiego meglio: due enormi padiglioni dedicati al mondo Harley Davidson e al custom in generale sono davvero impegnativi per un motomedioman come me. Con tutto il rispetto, dopo i primi quindici / venti stand ti sei già appesantito i cabbasisi. Va comunque detto che il corner milanese della casa di Milwakee ha impressionato tutti: mastodontico, con uno shop enorme e con almeno trenta commessi!

 

Per fortuna in mezzo a migliaia di customizer, tra cui il mitico Arlen Ness, ben promozionato da una prosperosa valchiria in posizione ginecologica su una Indian, si riesce a beccare qualche eccezione. Come lo stand Norton, che non avevo mai visitato prima d’ora, con le nuove Commando 961 Sport e Cafè Racer. Bellissime. Molto d’appeal anche l’inedito abbigliamento brandizzato del mitico marchio inglese: lo storico logo mi fa venire i brividi.


Sempre piacevole immergersi nell’atmosfera festosa della Headbanger. Si suona live buona musica rock e chi non si può permettere una delle loro originali custom personalizzate può accontentarsi di una delle due ottime birre brandizzate in listino. Burp… salute!



Tantissimi gli artigiani delle special, ormai diffusi a macchia d’olio specie nel centro nord. Tra tutti spicca Mr. Martinistand pieno così . Quest’anno il trend sembra spingere molto su estetiche dalle forme più squadrate: selle, fanali, tabelle ed altri accessori cercano alternative più spigolose alle forme ellittiche.


E poi special, special di ogni genere e marchio: Triumph, Norton, Kawasaki, Honda, Harley, Harton, Triton. E accessori, ricambi, abbigliamento per biker sempre più yankee e meno fighettini all’italiana col giacchino griffato.


La mia passione per le t-shirt a tema motociclistico è pienamente appagata: ce n’è un’infinità, non solo quelle viste e riviste prodotte dai marchi celebri, ma tantissime realizzate da designer indipendenti e underground (come Magnitudo o Flake & Flames) che propongono disegni e stili inediti e affascinanti.



Tutto è più alternative e meno conformista, i caschi, le borse, i verniciatori, le giacche, gli stivali, i fanali, gli scaldacollo. C’è talmente tanta offerta che se non mantieni uno schema mentale rischi di andare in tilt!
La cosa bella è che la fiera è piena di stranieri, sia tra gli espositori che tra i visitatori, ed è divertente ascoltare o partecipare a dialoghi in lingue diverse dall’italiano e dal veneto… Altro motivo per cui non potevo mancare è il piacere di aver rincontrato o conosciuto i ragazzi dei tanti forum amici: Triumphchepassione, XT500, Mototurismo, Club Tenerè italia, Ducati Monster Club, Pompone.


Più passo ai padiglioni successivi, più si avvicinano gli stand ufficiali delle grandi case costruttrici: Bimota (stringo “amicizia” con la Tesi 3D), Yamaha (tutti sul nuovo T-Max… mha!), Triumph (sempre meno convinto dalla Adventure 1200), Honda, Kawasaki (bellissima la special scrambler su base  W800), HM (emozionante il tributo alla recente scomparsa di Mika Ahola), Husaberg, Gas Gas (dove ho pensato ai capricci enduristici del mio amico Speedpaolo), KTM, Ducati (tutti sulla Panigale). Lo sballo si affievolisce un po’, tutte le moto esposte già viste a Milano lo scorso novembre.
Due parole anche sulle miss del Motor Bike Expo: meno numerose rispetto ad altre rassegne ma decisamente più genuine, generose (non solo nelle forme) e interattive. Per approfondire date un'occhiata alla gallery sulla fanpage Facebook... 
 


La fiera scorre via, in mezza giornata si può riuscire a visitarla tutta. Se però vai a spulciare, bancarella per bancarella, una giornata non basta. Mi rendo conto di essere poco attento: le offerte sull’abbigliamento moto nei tantissimi stand tra i padiglioni sono convenienti e di ogni genere, anche sui marchi migliori. Se solo avessi aspettato… Devo ammettere che almeno su questo quel minchione di Flash aveva ragione. La cosa che mi ha intrippato di più stavolta però è stato il carrello per trasportare la moto: sarebbe favoloso per viaggi a lungo raggio, ci metti dentro l'officina, i ricambi, i rifornimenti. Comodo. Poi ci rifletto: a quel punto sarebbe più onorevole darsi ai camper.



Un ultimo aneddoto per concludere. Cosa fanno gli harleysti dopo la fiera? Si ubriacano? Vanno a lucidare le loro Sportster? Si sparano 1000 km tutti in una botta come Sonny Barger? Forse qualcuno. Ma due di loro, simpatici, barbuti, tatuati e con i gilet ricoperti di patch e spillette, li ho beccati in via Mazzini, al centro di Verona, dentro il negozio Tod’s! Anche questo è rock’n’roll!

Lascia il tuo commento al post 

Visita la gallery delle miss del Motor Bike Expo 2012 su Facebook

Torna alla HOME 
Vai agli ITINERARI 
Vai alle INTERVISTE 
Vai agli
SPECIALI 
Vai alle CHART

Seguici anche su:

domenica 15 gennaio 2012

I saldi conlamoto…


I primi giorni di gennaio sono già devastanti per ragioni di disagio alimentare: leccornie e dolciumi che escono dalle orecchie; avanzi dei pranzi e delle cene stipati nel congelatore; pacchi dono ancora ammucchiati sotto l’albero di Natale non ancora smontato, nonostante l’Epifania sia passata da una settimana... A tutto ciò si aggiunge l’immancabile appuntamento con il consumismo più sfrenato: una via crucis tutt’altro che spirituale, eccitante per l’animo delle fashion victims ma massacrante per il corpo dei comuni mortali che se ne fregano dell’ultimo modello di Hogan e che dai piedi non sfilerebbero mai gli stivali da moto, nemmeno per andare in spiaggia. Ebbene si, anche quest’anno il rituale dei saldi miete migliaia di vittime anche tra noi biker. Muti e rassegnati, ce ne stiamo dietro alle zav scorrazzanti tra una vetrina all’altra, alla ricerca di improbabili affari, di futili accessori e di gratificanti capricci materiali, naturalmente durante le ore di punta, nei giorni festivi e tra le vie commerciali più affollate e caotiche della città. Mentre indossano ogni capo che riescono a rastrellare, ci usano per reggere i pacchi, come personal shopper (anche se non ascoltano neanche di striscio la nostra opinione) o come maggiordomi con il compito di comprare l’acqua naturale o il the alla pesca quando il continuo provare e riprovare le centinaia di capi in saldo ha seccato loro la gola.
Nel tentativo di reagire a queste forze oscure, anche noi, nerboruti e misogini appassionati di tutt’altro genere, cerchiamo di trarre beneficio dal rito dei saldi: facciamo tutte le telefonate che avevamo rimandato a Natale; ci fingiamo commessi per fare gli scemi con le clienti più carine mentre le zav sono assiepate nei camerini; memorizziamo l’atto di generosità loro concesso per il solo fine di rigiocarlo in futuro, qualora si presentasse un motoraduno all’ultimo momento.
Minchiate a parte, i saldi sono una fatica, ma alla fine possono trasformarsi in un gioco divertente e, spulciando anche tra gli store più improbabili, è possibile scovare capi e oggetti degni d’interesse anche da parte di chi allo shopping preferirebbe di certo un bel traverso lungo la curva della statale.

Pantalone Dainese Bruce Gore-Tex

Alla radio avevo sentito dei saldi al D-Store di Roma e della promozione del D-Air con il 20 o 30% di sconto sul prezzo di listino. Il problema però non era il costo del solo gilet o della giacca con l’airbag, ma quello della centralina. Che non è in saldo. Così, tra le varie offerte, ci si può “accontentare” di un pantalone Bruce Gore-Tex in saldo a 148 euro. Per un capo tecnico Dainese non c’è male.


Red Wing Heritage 8134

Queste scarpe da lavoro made in U.S.A. sono molto diffuse tra i possessori giapponesi e americani di special e anche qui in Italia cominciano a diffondersi, seppur in pochissimi negozi. Persino a Roma i rivenditori si contano sulle dita di una mano. La sorpresa è che quest’anno, a differenza di quello passato, le Heritage 8134 sono in saldo al 20%: da 262 a 212 euro! Non sono briciole, ma un minimo di convenienza c’è. Certo comprarle direttamente in America è la soluzione migliore.


T-shirt Amplified Dark Souls

Tra i negozi cool del centro, battutissimi da teenager in tempesta ormonale e da turisti in preda a shopping compulsivo, accanto ai capi dei soliti quattro marchi più in voga, sbuca fuori una gamma di t-shirt vintage (della serie “wild and free”) molto carine. La Men’s Winged Biker a 29.90 euro mi è sembrata un buon affare, d’altronde non si può continuare a girare solo con magliette brandizzate Triumph, Conlamoto o SRT…


Belstaff Long Way Down Jacket

Entrare in uno store Belstaff è come accedere al caveau di una banca. Bodyguard all’ingresso, uomini in abito scuro come commessi, clienti facoltosi e capi indicati più per i turisti russi e cinesi che per un biker. Tra l’altro, in questo periodo le giacche da moto non sono nemmeno esposte e la cosa più deprimente è che non sono nemmeno in saldo… sigh! Per fortuna un compassionevole commesso mi fa provare a sgamo la tanto amata Long Way Down Jacket: lo so, sono ripetitivo, ma è bellissima e perfetta. È la giacca della vita! Il prezzo però è assolutamente inaccessibile: 810 euro e niente sconto.


Dr. Martens Case Boots

Chi non ha mai calzato e amato con tutto il cuore un paio di Dr. Martens? Sulla moto sono perfette: vincono il freddo, l’acqua, le macchie d’olio e durano una vita. In Italia non avevo mai visto prima lo stivale Case, senza lacci e dal tipico design motociclistico: perfetto per chi guida una Harley, una Buell, una Triumph o una endurona BMW. Mentre il modello classico con le stringhe in questi giorni si può trovare scontato, per le Case non è previsto il becco di un centesimo in meno: a prezzo pieno costano ben 160 euro. 



T-shirt Jack and Jones Simply Vintage Tee

I marchi di abbigliamento vintage si moltiplicano e recentemente anche a Roma è arrivato lo store Jack and Jones. La qualità del cotone non è destinata a durare per più di un paio di uscite in moto ma i disegni delle t-shirt sono davvero fighi. La Simply Vintage Tee rossa è semplice quanto stilosa e costa solo 17.95 euro.


Visto? Si può cavare un ragno dal buco anche nelle situazioni meno vantaggiose. Le zav se ne tornano a casa raggianti e accecate dall’eccitazione di poter indossare abiti nuovi e all’ultima moda acquistati a metà prezzo, mentre a noi dueruotedipendenti, pur provati dalla dura giornata tra le vetrine, va bene anche una t-shirt sdrucita. Purché sopra ci sia stampata almeno una ruota a raggi, un carburatore o il logo di un vecchio costruttore di moto.

Lascia il tuo commento al blog

Torna alla HOME 
Vai agli ITINERARI 
Vai alle INTERVISTE 
Vai agli
SPECIALI 
Vai alle CHART

Seguici anche su:

venerdì 6 gennaio 2012

La Dakar e Fabrizio Meoni


L’evento motoristico che da sempre mi appassiona di più, superando Motogp, SBK e F1, è la Dakar. Non soltanto per il mio amore mai sopito per l’offroad. Se chiudo gli occhi e penso alla Dakar mi tornano in mente gli anni in cui da ragazzino seguivo la corsa su Italia 1: ogni sera, tardi, molto tardi, scattava l’imperdibile speciale con il commento di Nico Cereghini e le immagini delle endurone Honda e Yamaha che sfrecciavano lungo il deserto polveroso. Andavo ancora a scuola, per questo in me è rimasto vivo quel sentimento di libertà, ispirato dal legame tra raid e vacanze di Natale: se si correva la Dakar, non c’era scuola…
Molti di noi sognano di correre la Dakar. In piedi sulle pedane a sfrecciare sulla sabbia desertica a 140 all’ora, con gli scarichi non omologati che urlano nell’aria congelata dell’alba. O dormire nel bivacco accanto al fuoco con la moto li accanto pronta per una nuova sfida. A me andrebbe bene anche solo andarla a vedere come spettatore o magari – chi può dirlo – come cronista o fotografo (dilettante...)!
Torniamo con i piedi per terra. Oggi seguire la corsa non è così semplice. Ok c’è Eurosport che dedica tre speciali al giorno. Ma io non amo la tv, non voglio essere schiavo di Sky e per questo al 42’’ LCD Full HD preferisco ancora la mia fedele tv vintage Telefunken a tubo catodico. Anche Rai Sport, sul digitale terrestre, dedica quotidianamente qualche speciale alla gara, ma non si è ancora capito quando e secondo quale ordine. Televideo invece, a  pagina 260, offre un aggiornamento quotidiano. Non tempestivo ma c’è. Online va già meglio, è più semplice rastrellare qualche informazione in real time in lingua francese o spagnola. Poi ci sono i quotidiani: vanno bene per l’approfondimento, ma bisogna attendere il giorno dopo. Consuetudine antidiluviana.

Fonte: agenziainformatica.com

L’edizione 2012 della Dakar ha già causato una vittima, lo spagnolo Boero, e speriamo che entro il 15 gennaio, quando il raid si concluderà, la tragica lista non si allunghi. Non sopporto i critici della Dakar e come noto odio la retorica. Piuttosto, proprio in coincidenza con lo svolgimento della Dakar e in occasione del settimo anniversario dalla tragica scomparsa in gara, trovo doveroso iniziare il nuovo anno di conlamoto.it dedicando uno speciale a Fabrizio Meoni, uno degli specialisti italiani del deserto che più ha emozionato gli appassionati di due ruote e di competizioni motoristiche in genere.
La sua storia è nota. Tenace, sanguigno, guerriero. E, come tutti i forti di spirito, generoso di cuore. Classe 1957, cresciuto a pane e enduro nella Val di Chiana, inizia una intensa carriera tra competizioni di ogni genere in sella alle moto più affascinanti dell’epoca compresa tra gli anni ’70 e anni ’80: Ancilotti, Beta, SWM, Fantic Motor e KTM.  Nel 1978 ottiene uno dei primi benefit: Valdambrini, concessionario di Arezzo, gli consegna un furgone Fiat 238 per le trasferte. Fabrizio trova il tempo di aprire una concessionaria di moto, la Steels, nella sua Castiglion Fiorentino. Nel 1988, senza troppi allenamenti, è Campione Italiano Juniores Enduro 250cc. Due anni dopo scopre l'Africa e partecipa su una KTM 500 2 tempi al Rally di Tunisia.

Fonte: agenziainformatica.com

La Parigi – Dakar arriva nel ’92: "Il mio sogno!", dichiara Meoni. In sella alla Yamaha XTZ660 è primo tra i privati. Otterrà anche il terzo posto al Rally dei Faraoni. Di nuovo in Africa nel ’94 (3° classificato) e nel ‘95 con la Honda XR 600 Dallara: a causa di mancanza di uno sponsor, Fabrizio rischia di non partecipare a quest’ultima edizione. Ma Vito Consoloni, titolare della UFO, decide di pagare l'iscrizione. Meoni è in gara ma senza meccanico, assistenza e budget. Non è tutto: le coliche renali che lo attanagliano per tutta la gara e i medici cercano di convincerlo a fermarsi. Ma non molla: conquisterà il quarto posto nella classifica generale: "È stata per me la Dakar più difficile… ma anche la più bella". La forza del campione inizia ad emergere.

Foto: afp

Da quel momento Fabrizio vincerà molte gare desertiche importanti e parteciperà a tutte le edizioni successive della Dakar, sempre in sella alla KTM. Il primo trionfo assoluto arriva nel 2001 e sarà bissato l’anno successivo grazie alla LC8, una pericolosa e potente belva da deserto, con la quale nessun pilota avrebbe mai voluto correre, appositamente sviluppata e collaudata da Meoni ed il suo staff, tra cui lo storico meccanico Romeo Feliciani, per cui Fabrizio “era come un fratello maggiore”. Nel 2003 la pesante KTM 950 Rally di Meoni si dimostra meno efficace delle monocilindriche dei sui avversari e si piazza terzo. Memorabile la vittoria della quindicesima tappa, quando ferito e dolorante riesce ad arrivare davanti a tutti.
Le vittorie negli ultimi anni radicano il legame tra Fabrizio e il continente nero. Così nel 2001 il campione finanzia con generosità la realizzazione di un salone polivalente a M’Boro, Senegal, nei pressi del Lago Rosa. Seguiranno una scuola a Dakar, una clinica mobile in Tanzania, la ristrutturazione della missione di Senegal, un pozzo in Togo e molti altri obiettivi. Ma soprattutto la fondazione dell’Associazione Solidarietà in Buone Mani, con lo scopo di aiutare l’Africa: “Questa terra mi ha dato tanto, è giusto che io restituisca qualcosa all’Africa per aiutare i più deboli”, dichiara Meoni durante la cerimonia d’inaugurazione.

 
Fonte: fondazionefabriziomeoni.it

La linea dell’ultimo traguardo è sempre più vicina per il campione toscano. Nell’edizione 2004 della Dakar non va oltre la sesta posizione in classifica. Quell’anno gli riserva un evento premonitore che lo segnerà profondamente: il tre volte vincitore della Dakar, Richard Sainct, compagno di squadra e rivale storico, muore durante il Rally dei Faraoni. "La cosa che faccio fatica ad accettare", dichiara Meoni, "non è tanto la sua morte, quanto che la sua famiglia sia rimasta sola. Ho 47 anni, ho avuto tanto, e ora vorrei stare a casa ad annoiarmi".
11 gennaio 2005, Mauritania, undicesima tappa Atâ –Kiffa della ventisettesima edizione della Dakar. Fabrizio spinge la sua KTM 660 Rallye oltre ogni limite, nel tentativo di non concedere altro tempo al suo rivale, il compagno di squadra Cyril Despres che lo precede in testa alla classifica generale con 9’ di vantaggio.
Il giorno prima la Dakar aveva mietuto un’altra vittima, lo spagnolo Jose Manuel Perez. Meoni, addolorato, dichiara: "Queste notizie rappresentano il lato brutto della gara. La Dakar ha fascino, fa parte della nostra passione, ma certe cose si vorrebbe che non succedessero mai".
Sono le 10 passate, Fabrizio ha appena superato il secondo punto di controllo e ha già percorso 180 km planando ad alta velocità sullo sterrato africano. Sotto il casco bollente sente tutto il peso dell’esperienza, la fatica degli ultimi anni, la pressione dei media e degli sponsor. Ripensa a Richard, a Jose e al dolore che gli hanno lasciato dentro. Ma si fa coraggio, sostenuto dall’affetto dei fan e soprattutto dall’amore di Elena, Gioele e Chiara, della sua famiglia, dei bimbi senegalesi, degli amici di sempre. Ha già deciso che questo sarà il suo ultimo raid, ma spinge. Continua a spingere forte sul gas. Puro istinto.
Sono le 10.15. Al km 184 qualcosa va storto, Meoni cade improvvisamente dalla sua KTM. La botta gli causa la rottura di due vertebre cervicali. Forse muore sul colpo o forse è un arresto cardiaco a portargli via la vita per sempre.

Foto: afp

Appena caduto, Fabrizio viene raggiunto dai compagni che viaggiavano alle sue spalle: Esteve, Coma e Fretigné. Il pilota francese accende la radio, chiama i soccorsi, gli stringe la mano e rimane al suo fianco. Il primo elicottero non arriva prima di 20 minuti. I medici tentano di rianimare Meoni con un massaggio cardiaco di ben 45 minuti. Invano.
Tagliato il traguardo di tappa e appresa la notizia della morte di Meoni, il pilota Cyril Despres crolla in ginocchio, in lacrime, senza neanche sfilarsi il casco. Marc Coma e Esteve Pujol si rannicchiano in terra, affranti, con la testa tra le braccia. Alain Duclos, siede attonito sulla sabbia mauritana, si dispera, anche lui con il casco ancora in testa. Smarrito per la notizia tragica anche Stephane Peterhansel, il veterano delle due ruote passato alle auto.
Valdimiro Brezzi e Piero Picchi, grossetani, amici di Fabrizio, in gara nelle auto con una Toyota 100 Land Cruiser, decidono di lasciare la Dakar in segno di lutto. Lo avevano incontrato al bivacco la mattina dell' incidente. Ora non hanno più la forza di continuare.
Tra le lacrime, il pilota francese Jean Brucy racconta che qualche sera prima Fabrizio gli confidò che contava i giorni che mancavano all' arrivo: “Negli ultimi dieci anni sono stato un egoista. Ora devo rimediare e pensare alla mia famiglia”.
Un alto compagno di squadra di Meoni, il cileno Carlo de Gavardo, ritirato dalla competizione per una brutta caduta durante la sesta tappa, racconta: "La morte di Fabrizio mi ha colpito tantissimo. Fisicamente era l'immagine della salute, era un pilota completo. Tutta la mia famiglia lo conosceva e lo rispettava".

Foto: afp

L’undicesima tappa della Dakar 2005, categoria moto, viene annullata. Su tutti i mezzi, auto e camion che proseguono per Bamako un foulard nero ricorderà la tragica scomparsa del campione toscano.
All’indomani della scomparsa di Fabrizio Meoni, tutti i giornali lo ricordano con titoli a caratteri cubitali: Vittima della sua passione, La scomparsa di un mito, La Dakar di troppo di Fabrizio Meoni, Il rallye-raid perde un'altra icona, La Dakar perde un gigante. Il quotidiano francese L’Equipe scrive: per Fabrizio la Dakar 2005 doveva essere l’ultima avventura al più prestigioso rally al mondo, ma il destino ha deciso di portare con se “il gigante e lo spirito della Dakar”.
Il presidente della Federazione Motociclistica Italiana, Paolo Sesti, dichiara: "Pur non vedendo quasi mai la polvere degli avversari, Meoni li rispettava sempre ed aveva un grande senso della giustizia. Sarà ricordato per le sue imprese sportive, ma soprattutto per la sua umanità e per quello che ha fatto per i ragazzi d'Africa".

Foto: afp

I progetti e le attività solidali del pilota toscano hanno resistito alla scomparsa suo ispiratore. Nel 2006 è nata la Fondazione Fabrizio Meoni Onlus che, presieduta proprio dal compagno e amico Cyril Despres, continua l’impegno a favore dei paesi poveri.
Non ho mai conosciuto Fabrizio Meoni, ma avrei tanto voluto intervistarlo. E forse, dopo l’intervista, gli avrei chiesto di andare a fare un giro in moto insieme, lungo gli sterrati della sua tanto amata Val di Chiana.


Foto di apertura: afp

Lascia il tuo commento al post

Torna alla HOME 
Vai agli ITINERARI 
Vai alle INTERVISTE 
Vai agli
SPECIALI 
Vai alle CHART