mercoledì 26 gennaio 2011

Lazio: Tour del Lago del Salto (RI)


Fare un giro in moto durante un giorno feriale è ciò che ogni rider desidera ardentemente. È vero che alla fine anche la domenica va bene per consumare il proprio intimo rapporto con le due ruote, ma il senso di libertà della guida infrasettimanale su strade scorrevoli, senza ore di punta, senza incubo rientri, mentre la maggior parte degli altri sono costretti a produrre, è obiettivamente un privilegio impagabile.
Imbacuccato in vista delle alture reatine, in partenza soffro un po’ di caldo ai semafori, ma uscire dal centro di Roma è agevole e anche alcuni obbrobri urbani sembrano meno squallidi: il Tevere ancora avvolto dalla foschia, la tangenziale Est con i lavori in corso mai conclusi, piazza Bologna ristretta a un buco dalle auto parcheggiate in doppia fila, la via Tiburtina con i suoi incroci a rischio morte, con le mega concessionarie piene di auto e deserte di clienti.
Cerco un distributore dove fare il pieno. Un litro di senza pb ormai costa come una bottiglia di Frascati doc, così scelgo un fai da te a buon mercato (uno degli sport preferiti dai centauri, ammettiamolo): ad oggi 1.454 €/litro mi sembra accettabile.


Per vedermi circondato da qualcosa di naturale, al solito devo superare il centro di Tivoli (più caotico del parcheggio di Ikea). Incrocio prima un bmwista con il suo boxer in bella mostra, ma sembra andare in moto come se andasse in taxi. Poi, iniziato il tratto della SS5 verso Subiaco, un anziano Harleysta, con tanto di barba lunga e manubrio a corna di bue, non perde occasione per attendere che mi incolli ai suoi tubi di scarico per sgusciare via a tutto gas e scatenare il rombo brevettato del suo celebre bicilindrico a V liberato dai db killer.
Finalmente la strada si fa piacevole da guidare. Peccato solo che le valli intorno siano a sprazzi abbrutite dal grigiore del cemento armato dei cavalcavia dell’A24: succede quando le esigenze del progresso schiacciano ogni vincolo paesaggistico.


Scorgo la vista del Maniero di Castel Madama (che non è solo il nome di un casello) e del suo abitato arroccato, passo il bivio per Vicovaro (tentato da una sosta anche solo per riannusare la fragranza del rinomato pane appena sfornato…) e mi ritrovo ad Arsoli, grazioso centro che meriterebbe una visita più accurata.


Supero il degrado della zona industriale di Carsoli e sfreccio fino al bivio per Tufo. Nonostante il cielo coperto, il clima è generosamente mite fino a questo momento e viaggio rilassato: solo prima di iniziare la scalata rafforzo il mio equipaggiamento antigelo con sottoguanti e sottocasco. Do un’occhiata alla cartina, poi la incastro nella fessura tra strumentazione e fly screen per facilitare le consultazioni successive.
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Infilo la SP96 e comincia il paradiso del motociclista: strade a traffico minimo, curve, dossi, strettoie, cumuli di legna e neve ai margini della carreggiata e tutto il fascino della natura e dei suoi colori invernali.


È un susseguirsi di piccoli centri e frazioni, silenziosi e sonnecchianti, con case in pietra concentrate fra loro per non disperdere il tepore, i camini fumanti e l’odore della legna accesa che aromatizza l’aria lungo le vie principali. Se spegnessi il motore probabilmente riuscirei a udire il crepitio dei ceppi scoppiettanti dentro le cascine.


Lungo la strada faccio un incontro inatteso: un sacerdote in tonaca bianca e ornamenti sacri, con l’incensiere in mano, torna a piedi a Pietrasecca dopo una processione. Gli domando informazioni sul tragitto. Lui pare più interessato alla Scrambler e, piuttosto che accennare retorici sermoni, mi rivela che da ragazzo guidava una Guzzi Lodola 250: “faceva 24 km con un litro e andava ‘na meraviglia…” ricorda con gli occhi pieni di malinconia. Be’, senza peccare di blasfemia, sono sicuro che, se il bambinello fosse nato qualche secolo più avanti, anziché col bue e l’asinello, Giuseppe l’avrebbe scaldato col tepore di un bicilindrico di Hinkley (o, considerando la geografia evangelica, di un mono Royal Enfield).


Confortato dalla benedizione, proseguo la salita lungo i tornanti della SP26 verso la valle del Salto: supero Leofreni, il bivio per Pescorocchiano e Pace. A destra scorgo le cime innevate di quelli che dovrebbero essere il Monte Fratta e le montagne della Duchessa.


Finalmente, dietro le cime degli alberi salta fuori la sagoma del Lago del Salto, la meta del mio breve viaggio.


Sono eccitato e in poco tempo raggiungo il lungo ponte sull’acqua che conduce a Fiumata.


Arresto la Triumph nel bel mezzo del ponte dalla ringhiera bianca, sospeso sopra l’enorme massa di acqua scura e profonda. Il lago è docile e tranquillo, qualche anatra starnazza, in lontananza distinguo il ronzio delle seghe circolari dei taglialegna. Scatto qualche foto, e ammiro il paesaggio strepitoso. Sospiro e poi semplicemente respiro: il cielo, gli alberi semi sommersi e i nuclei di case arroccate sulle alture sovrastanti il lungolago si riflettono sullo specchio d’acqua, offrendo uno spettacolo speciale. Che inebriante senso di infinito!


Ogni motociclista avveduto lo sa: per ammirarne lo spettacolo, le strade panoramiche che costeggiano mari, fiumi e laghi vanno percorse (con estrema prudenza) lungo la corsia esterna. Così, tolgo il sottocasco, riattraverso a ritroso il ponte e inizio l’esplorazione dell’intero periplo del lago in senso antiorario.


I quadranti sud ed est del bacino artificiale sono avventurosi e selvaggi: la strada perimetrale è totalmente deserta e a motore spento il silenzio intorno a me è inquietante. Le mie orecchie urbane sono talmente abituate al caos metropolitano che, prima di adattarsi alla pace assoluta del lago, percepiscono una specie di fruscio di transizione.
Supero i bivi per Girgenti, per Marcetelli e per Varco Sabino. Mi fermo ancora, non resisto ad immortalare sulla mia piccola Canon il fascino di questi luoghi così isolati. Il giro del lago è un susseguirsi di ponti di sospesi sull’acqua e di viadotti che sorvolano i piccoli fiordi. A memoria ne avrò contati non meno di una dozzina!


Di contro è doveroso segnalare la poca sicurezza dell’asfalto su questa parte del lungolago: buche, smottamenti, greggi bovine e mandrie equine pascolanti, mucchi di sterco fresco (e non), ruscelli di acqua che attraversano la carreggiata, frane e persino fango, quello che se arrivi forte in curva puoi dire addio quanto meno alla leva della frizione… Mi rincuora sapere che su questo tipo di fondo “light mud” le Tourance della Scrambler hanno un pizzico di grip in più. Vecchi fuoristrada Nissan e Lada, sfrontatamente parcheggiati dai cacciatori in mezzo alla strada, completano la gamma dei rischi non segnalati da evitare.


Sbagliare strada è difficile costeggiando il lago: seguo le sponde con la coda dell’occhio destro e mi lascio condurre dai riflessi grigio blu dell’acqua, senza preoccuparmi dei pochi cartelli con le indicazioni.
Giungo alla frazione di Borgo S. Pietro, un antico villaggio di pescatori oggi adibito ad ospitare gli appassionati di sport acquatici durante la bella stagione.


Sono le 14.45, gli effetti della mia notoriamente abbondante prima colazione hanno cessato ogni beneficio già da almeno un’ora, e la Trattoria Miralago, esteticamente la struttura più moderna della zona, affacciata proprio sulle rive del bacino e con una sala che offre una visuale degna del nome prescelto dai suoi gestori, è la mia scelta per il pranzo. Entro dentro zavorrato come fossi Neil Armstrong, i bambini mi osservano incuriositi, gli uomini ammirati, le donne compassionevoli… L’oste mi da il benvenuto e, probabilmente abituato a trattare con forestieri affamati, mi propone subito il piatto del giorno: ravioloni fatti in casa, ripieni di ricotta e spinaci, conditi con un delizioso sugo di pomodoro e verdure fresche! Una golosa panna cotta al cioccolato completa il menu e il rifornimento per lo stomaco è piacevolmente fatto.


In questo periodo la luce solare va via presto, perciò, tornato in sella, a malincuore decido di rinviare l’arrampicata sui tornanti panoramici che uniscono Petrella Salto, Fiamigliano e S. Elpidio.



Completo il lungolago fino a Fiumata, dove mi ricongiungo al ponte dalla ringhiera bianca, raggiungo S. Ippolito, dove scatto le ultime malinconiche immagini panoramiche, ammiro l’imponente diga artificiale e dirigo verso la SS578 Rieti – Avezzano, certamente più noiosa ma celere nel condurmi fino alla cosiddetta autostrada dei boschi, la A24.


Al casello Valle del Salto, l’ultima sosta come da copione: è giunto il momento di indossare di nuovo sottoguanti e sottocasco per sfrecciare lungo quegli stessi enormi cavalcavia, tanto odiosi se osservati a valle, quanto indispensabili per riportarmi nel più breve tempo possibile a casa, lontano dal freddo e dal buio dei boschi lacustri.

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4 commenti:

  1. Che invidia!Il giro nel giorno feriale non riesce a suscitarmi niente di meno. Che invidia!

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  2. Per fortuna esistono i ponti caro Luciano... Anche se nel 2011 mi sa che dovremo accontentarci solo di girare nei festivi... ;)

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  3. Ho seguito le tue indicazioni e stamane sono andato. Giro molto bello, veramente merita un..... salto !
    Da quel lago mi sono diretto anche a quello di Turano attraverso il Parco Naturale dei Monti Navegna e Cervia. Ho casualmente scelto una strada bellissima quanto dissestatissima, che con la mia Honda ST 1300 non è stata davvero una passeggiata di salute. Ma sono intero e soddisfatto. Il Lago di Turano è altrettanto bello, consiglio un giro da quelle parti

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  4. Ottimo giro, Alberto! Se puoi, manda qualche immagine sulla nostra pagina Facebook! ;)

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