domenica 13 maggio 2012

Storia di una zavorrina


Sono le 19 passate di una domenica dal cielo in bianco e nero. Mapi sorseggia una tisana alla malva, stravaccata sul comodo divano di casa. È preoccupata. Il suo Max_Panigale non è ancora rientrato dal giretto con gli amici del motoclub Ducati e non si è nemmeno fatto vivo a ora di pranzo, come da consuetudine, quando lei decide di non andare.
Mapi si fida ciecamente del suo centauro, sa quanto è esperto, prudente ed equilibrato alla guida e nella gestione del potente motore desmodromico. Ad impensierirla sono due o tre turpi membri del club: Pantera, Celhoduro e Giova_82, biker fuori di testa che non temono il rischio e vanno irresponsabilmente su e giù per i passi come fossero a Misano. Una volta il Pantera si schiantò sull’Aurelia su un R1, si rialzò indenne, chiamò il carrattrezzi, salì a bordo della moto di un compare con la tuta tutta raschiata e proseguì il giro tra le colline come se nulla fosse. La settimana successiva aveva già rimpiazzato la sua Yamaha fracassata con un GSX nuovo di zecca.
Racconti come questo, ascoltati sempre a mandibola serrata, durante le riunioni, i raduni o le cene del club, provocano angoscia in Mapi. Teme che Max prima o poi possa perdere l’aplomb alla guida e spingere forte sul gas all’inseguimento di quei tre forsennati. Questa domenica non ha avuto la forza di indossare casco modulare, guanti e paraschiena - oggetti di cui fino a pochi anni prima non era neanche a conoscenza - per accompagnare il suo uomo lungo le adrenaliniche cavalcate tra i tornanti. Ma sono tanti i chilometri percorsi fino ad oggi con gran dignità nei panni di zavorrina. Ormai è una veterana: dai gesti di Max capisce quando e come saltare in sella, se in fretta o delicatamente; quando è il momento di tirare fuori il telepass o il bancomat; quando accovacciarsi dietro la schiena del pilota, per agevolare l’aerodinamica; quando chiudere gli occhi, per non patire l’effetto montagne russe durante le fulminee scalate verso i passi.
Nei noiosi trasferimenti autostradali chiacchiera a lungo in interfono: per ringraziarla della pazienza, lui le tiene la mano sul ginocchio e le promette un’altra cena al lume di candela, un weekend al mare o un regalo speciale. Così lei lo abbraccia fino a sentire lo stridere delle giacche di pelle. Se invece viaggia nel silenzio dentro il casco, pensa a quanto sarebbe romantico e confortevole trascorrere un paio di giorni a Firenze ogni tanto, magari arrivando in treno e portando con se tutta la sua roba, senza rinunce, dentro un supercapiente trolley a quattro ruote piuttosto che dentro una borsa laterale Givi o ancora peggio dentro un microscopico zainetto appiccicato alla schiena. Quanti sospiri, sotto la visiera, sognando un finesettimana di primavera lontani dall’asfalto, immersi nella quiete rassicurante di un resort. Una sauna, un idromassaggio, un trattamento benessere. Sdraiati sui lettini, avvolti da morbidi asciugamani profumati, scambiandosi baci e tenendosi per mano.
“Se Max non avesse la passione per la moto, il pensiero di percorrere 400 chilometri al giorno non mi avrebbe mai lontanamente sfiorato”, si sfoga Mapi con le amiche. Ma in cuor suo sa bene che, pur di stare accanto all’uomo che ama, farebbe questo ed altro. Vedere gli occhi di lui stracolmi di vitalità quando si sfila il casco, sentire il suo entusiasmo durante i discorsi con gli altri biker, percepire la sua spensieratezza tutte le volte che accende il motore del Ducatone. Tutto questo rende serena anche lei.
Ma oggi non sono insieme. Mapi non aveva voglia di svegliarsi ancora una volta alle 8.30 di domenica mattina. Voleva godersi un’eccitante colazione con le amiche al centro, parlare del più e del meno senza orari e senza freni, godere del primo tiepido sole primaverile, sfogare le sue ansie, scambiare consigli di salute, di bellezza, di vita. E ridere senza limiti.
L’agitazione per il silenzio e il ritardo di Max adesso crescono, la luce del pomeriggio si fa fioca, non c’è più tisana nella tazza. Trilla il telefono, ma è solo il tweet di qualche rompiscatole. Mapi butta uno sguardo in cortile dalla finestra, drizza le antenne per captare il rombo sordo di un motore, digita il numero di Max: “il cliente da lei chiamato non è disponibile”.
E se gli fosse successo qualcosa? “Proprio oggi che non sono con lui. Se avesse bisogno di me?”. Inizia a cercare sul notebook di Max i numeri della cricca del motoclub. La batteria è scarica, non ricorda la password, passano i minuti. I pensieri si rincorrono tra un’ipotesi e l’altra e, proprio mentre l’iperattività cerebrale tipicamente femminile è al suo massimo, un rumore di serratura che si apre frantuma ogni sospetto. Quel mellifluo di Max_Panigale entra in soggiorno sorridente e, come un bambino con le mani sporche di marmellata, si tuffa sul divano per abbracciare Mapi. Senza neanche togliere gli stivali, ancora bardato nella corazza da centauro. Lei, con il volto atrofizzato, sfoggia una tipica smorfia alla Mr. Bean e vorrebbe buttarlo giù dalla finestra con tutta la moto. Lui si affretta a sciogliere il gelo: “Amore scusa, a pranzo non ho fatto in tempo a chiamarti perché quel nerchione del Pantera ci ha fatto mangiare un panino al volo… Ho anche dimenticato di caricare il cell, mi si è spento stamattina dopo due foto: per caso avevi provato a chiamarmi?”.

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4 commenti:

  1. sicuramente la mia Zavorrina dovrà leggerlo!!!!!!

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  2. sei fortunato ad avere una donna cosi...la mia ogni volt che torno ...è dispiaciuta..... ciao nico

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  3. La mia di zavorrina mi aveva già sparato dalla finestra a mo' di cecchino.....

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  4. Mi è venuta voglia di continuare a leggere e sapere altro di questa storia. Proprio quello che mi succede sfogliando i libri dei miei autori preferiti.

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