domenica 30 ottobre 2011

Classic Top 5 Chart

Photo: Charlie M Francis

Questa storia della chart mi ha fatto entrare in fissa già dal mese scorso e stilare la Enduro Top 5 con le tassellate più belle degli ultimi anni è stato un bel trip. Fantastici i feedback dei lettori: molti d’accordo, altri hanno rimescolato le posizioni, altri ancora hanno segnalato l’assenza di modelli degni di far parte delle prime 5 (in particolare la mitica Honda Africa Twin). Quello delle classifiche è un gioco che per qualche istante fa vivere meglio e distrae dalla realtà sempre più incomprensibile del mondo esterno. Un modo per non perdere l’abitudine puerile di entusiasmarsi, come quando da bambini ammiravamo la Guzzi dello zio paterno o la Vespa del nonno.
Con queste ultime nostalgiche parole siamo già entrati in clima amarcord, quindi la categoria su cui sproloquiare questa settimana non può che essere quella delle classiche! Essendo fiero e felice possessore di una Triumph Scrambler, sarei di parte, perciò la lascerò fuori concorso, se no la prima posizione sarebbe senza dubbi sua… 
Lascerò fuori concorso – sono rimasto indeciso fino all’ultimo – anche un’altra moto che avrebbe meritato un posto al sole in questa personalissima graduatoria, l’Harley Davidson 883. So che qualcuno storcerà il naso: è vero, è al limite del borderline, c’entra poco o niente con le altre in lizza, ma secondo me pensandola, ammirandola e guidandola, magari immaginandosi con il vento tra i capelli sulla Route 66, senza far caso a quelle pedane basse che grattano l’asfalto ad ogni curva, non si può fare a meno di esclamare: “è un classico”.

05. Kawasaki W 800


È l’unica jap che cerca di andare dietro alle europee nel mercato di nicchia delle classiche. Per qualche anno in commercio c’era la 650, amatissima dai suoi estimatori. Poi l’anno scorso all’Eicma è arrivata la W 800: ammiratissima, cilindrata più elevata e finiture migliorate. Molto eccitante la recente Special Edition, tutta nera (compresi motore e scarico), con superfici lucide e opache, e cerchi a raggi di colore oro. La Kawa fa molto “Bad Boy in Tokyo” e quel marcato stile seventies fa subito sentire proiettati lungo le strade della capitale nipponica, a sfrecciare con le gang della città in mezzo ad altre special made in Japan. Wroooooom!

04. Moto Guzzi V7 Classic


Sarebbe più semplice citare la V7 Racer, con le sue cromature, il telaio rosso e la componentistica di primordine. Però il vero spirito Guzzi, almeno quello che più si avvicina alla V7 del 1967, è incarnato al massimo nella versione originale, la Classic, in particolare nei gloriosi colori bianco/nero e nero/oro (recentemente si può avere anche nei colori rosso/oro). Cavolo come pulsa il sangue davanti al fascino di un bicilindrico Guzzi a V. D’accordo, 35.5 Kw di potenza sono pochini, le finiture e la ciclistica restano da migliorare e le “aquilotte” sembrano lamentare piccoli inconvenienti tecnici ed elettrici già dai primi chilometri. Ma, superati i primi risolvibili buchi neri, la V7 Classic ha un suo perché e continuerà sempre ad esprimere un fascino indiscutibile.

03. Triumph Bonneville / Triumph Thruxton


La Bonnie è un cult, è una moto da anni sul mercato con nessuna flessione nelle vendite, scopiazzata dai competitor del marchio Triumph ma immortale e inaffondabile. È regolare come il suo motore bicilindrico. Storia gloriosa, finiture impeccabili, perfetta in ogni situazione: strada bianca o statale, in città per andare a lavoro o la sera a sgasare con gli amici del motoclub, nuova o usata, originale o special. È talmente equilibrata che dal mio punto di vista perde un po’ di appeal verso chi cerca la piccola imperfezione, la sfumatura selvaggia della personalità biker. Forse è proprio per questo che tra i bonnisti più radicali lo spippolamento è praticamente una regola.
Stesso telaio, componenti e motore (con qualche CV in più) delle Bonneville. Manubrio sportivo, carrozzeria e appendici da cafè racer: ecco a voi la Thruxton, la più performante del lotto Triumph Modern Classic. Un rombo che strega, una posizione di guida che riporta subito alle epiche sfide sul circuito del Tourist Trophy, uno sballo anche vederla guidare da altri: indimenticabile quando, di ritorno da Siena verso Roma, davanti a me Gamberetto apre il gas della sua Thruxton grigia su una cunetta in mezzo a un ponte e plana in aria con entrambe le ruote, per poi riatterrare dolcemente sull’asfalto a tutta birra… Adrenalina!

02. Ducati GT 1000


Ero in zona Cascata delle Marmore alla ricerca di un b&b dove passare la notte con la Scrambler. Mentre consultavo la mappa plastificata del TCI, sento alle spalle il suono ferroso inconfondibile di una frizione Ducati. Mi aspetto una Monster o una Multistrada, ma quando volto lo sguardo mi appare davanti una GT 1000 rossa da urlo: il bicilindrico desmodromico a L in bella mostra, le forcelle a steli rovesciati, il grosso disco anteriore e le ruote a raggi. Un vero tributo all’eleganza del modello originale degli anni ’70, una delle classiche più belle che esistano. Ha fatto bene il mio amico Luca “4 Salti in Padella” a prenderne una a km zero, color verde/crema, per girarci il nord Italia quando la nebbia padana lo permette. Peccato solo che Ducati abbia interrotto la produzione delle SportClassic (di cui facevano parte anche la Sport 1000 monoposto e biposto): evidentemente a quel prezzo non se ne vendevano a sufficienza.

01. Royal Enfield Bullet Classic 500

Fonte: royalenfielditalia.net

In questa scelta c’è tutta l’irrazionalità della passione per le moto. Oggi girare su una monocilindrica 4 tempi, che ricalca nel design e nell’impostazione tecnica il modello originale costruito in India su licenza inglese ininterrottamente dal 1956 (!), è veramente essere avanti, essere se stessi senza omologazioni! Lascia perdere il filo della frizione che si rompe, il tachimetro che smette di funzionare, la sella dura come un’asse di legno e la cavalleria modesta. Il bello sta proprio qui. Chi va piano va lontano. In India e in gran parte dell’est asiatico le Royal Enfield continuano a macinare chilometri ininterrottamente, i meccanici di Nuova Delhi le rimettono a posto in un batter d’occhio proprio per la loro semplicità. Sono inarrestabili, certo non affidabili come una Honda, ma fanno battere il cuore. Durano una vita e sono adattissime per la customizzazione: in Italia ci sono gruppi di appassionati, come il Club Royal Enfield Bologna Royal McQueen, che le ama e le trasforma in piccoli capolavori.
Con le dovute differenze, possedere una Bullet Classic 500 oggi, è un po’ come possedere una Norton Commando negli anni ’70, quando a guidarle (e a venderle) in Italia erano in tre.
Come direbbe coach Dan Peterson: mmm mmm… magica Royal, per me numero uno!

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domenica 23 ottobre 2011

Marco Simoncelli 1987 - 2011


Le 10.45 e sono ancora sotto le coperte. Cavolo, devo fare in fretta: alle 11 il garage chiuderà, la moto rimarrebbe bloccata fino a sera e dovrei rinunciare al mio bramato giretto domenicale.
Ce l’ho fatta per un pelo, parcheggio la moto sottocasa, risalgo su a fare colazione. Anziché accendere come al solito la radio, ricordo che la Moto GP oggi corre a Sepang, cerco il telecomando e schiaccio il tasto 6, magari riesco a vedere gli ultimi giri o l’arrivo.

Immagini dal paddock, sembra che il gp sia terminato. Le prime parole che sento, pronunciate in diretta da uno sconvolto Paolo Beltramo, sono: “Il papà Paolo è appena uscito dalla clinica mobile e ha detto che non c’è più niente da fare. Marco Simoncelli è morto”.
Resto immobile, scorrono immagini drammatiche: la scivolata, l’impatto, il casco che rotola via con il cinturino reciso, il corpo inerme che striscia sull’asfalto.
Odio la retorica, un’immagine dice più di qualunque parola.
Questa settimana è per Marco Simoncelli, 24 anni, motociclista.
Oggi la mia Triumph resterà ferma sottocasa.

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domenica 16 ottobre 2011

Esplode la moda bagger


Ebbene si. Credo che sia arrivato il momento di affermarlo: anche nelle città italiane sta esplodendo il fenomeno bagger. Non è più solo una sensazione, ma una certezza. E noi, che preferiamo l’underground e che siamo i cosiddetti prosumer, certe cose le viviamo ben prima che il mercato le trasformi in prodotti di massa. Infatti, quando diventeranno tali, probabilmente ne avremo piene le scatole già da un pezzo.
Bagger è un termine proveniente dagli States. Una delle definizioni disponibili su urbandictionary.com mi ha fatto molto ridere: “A woman that you would only have sex with if a bag were placed over her ugly ass face”… In realtà, nel nostro ambito, la parola bagger indica una motocicletta equipaggiata con comode borse per il trasporto bagagli. Come aggettivo è utilizzata anche per definire quei biker, adulti e danarosi, che guidano la propria moto solo nei weekend. Ciò in cui si trasformano quei motociclisti, attempati e viziosi, stanchi di trasportare bagagli in un ragno elastico fissato sul portapacchi o sulla sella e pronti a rimpiazzare la propria special, appunto, con una bagger. E in effetti è un classico, la domenica mattina, incontrare grosse custom luccicanti ed immacolate, guidate da griffatissimi biker tracagnotti, mentre fanno il giretto della rotonda.


Le bagger più conosciute e diffuse sono senza ombra di dubbio i grossi V-Twin americani. La Harley Davidson ha in catalogo le bellissime (e costosissime) CVO Street Glide e CVO Road Glide Custom: spettacolari. Perfette per le lunghe e rettilinee highway americane, ma per niente a proprio agio sulle nostre strade. Il senso delle Glide, apparentemente pesanti e piene di orpelli, è quello di viaggiare in totale relax e autonomia, senza rinunciare alla potenza garantita dal poderoso Screamin' Eagle 1802cc, al confort delle due enormi e filanti borse laterali, alla musica a tutto volume dell’impianto stereo e ad altre diavolerie tecnologiche racchiuse nel bel cruscottone protettivo. E soprattutto senza rinunciare allo stile.
Altri esempi tipici di bagger sono le big cruiser americane Indian e Victory, diffusissime oltreoceano ma rarissime sulle strade appenniniche, piuttosto che sui passi alpini. E poi somigliano ancora un po’ troppo alla Road King di Bud Spencer in Altrimenti ci arrabbiamo

La possente Victory Cross Country. Fonte: victorymoto.com

Anche i giapponesi di Kawasaki, che insieme agli altri marchi del sol levante da sempre tentano di tener testa agli yankee nella produzione di custom di alta qualità a prezzi più accessibili, si sono accorti recentemente di questa fiammella in espansione e, fiutato l’interesse per le bagger anche in Italia, hanno messo sul mercato l’oscura e possente VN 1700 Voyager Custom: linee larghe e basse che riprendono il look slanciato e scolpito delle auto sportive americane. Un po’ la moto di Batman, chissà se spara l’alabarda spaziale.


Tutta questa premessa, oltre ad inquadrare meglio il fenomeno bagger in generale, porta secondo me a una considerazione più interessante: la tendenza ad equipaggiare la propria motocicletta con comode borse, piuttosto che caricare alla bene e meglio piccoli e grandi bagagli sul portapacchi o sulla sella, si sta evidentemente diffondendo non più solo tra le grosse custom ma anche tra generi e modelli che certo non possono essere definiti bagger puri.
Qualche esempio. A Milano, come a Roma o a Catania, girano centinaia di BMW GS 1200, la moto più venduta in Italia. Fate mente locale un attimo: quanti GS sono puntualmente equipaggiati con mastodontiche borse laterali, tradizionali o in alluminio, originali o Touratech? Sempre di più! E quasi sempre sono vuote! In sella a una tedescona iperaccessoriata, un manager in giacca e cravatta in via Montenapoleone o un carusazzo in bermuda e t-shirt in via Etnea non sono certo mototuristi di passaggio diretti a Capo Nord!

Fonte: quellidellelica.com

Il fenomeno ha contagiato, su tutte, anche altre endurone stradali: Yamaha Supertenerè, Moto Guzzi Stelvio, Ducati Multistrada: guidarle, anche in città, spogliate dei preziosi valigioni, sembra quasi creare frustrazione tra i loro possessori.


Anche tra le stesse Triumph, ad esempio le Modern Classic, o tra le Ducati Sport Classic (ahimè ormai fuori produzione) è sempre più diffusa la necessità di dotarsi di borse in cuoio e valigie in pelle laterali, per sopperire all’assenza totale di spazio a bordo dove trasportare oggetti anche di uso quotidiano.


Sembra davvero che la moda bagger stia invadendo il mercato: chissà se questa tendenza non sia solo il frutto dell’istinto dell’uomo, il quale è solito trasformare un’attitudine poco diffusa in un fenomeno di massa ogni qualvolta il conformismo lo spinge a circondarsi di beni materiali per ostentare e rafforzare il proprio status sugli altri.

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domenica 9 ottobre 2011

A night trip in Rome


Settembre è stato un mese così intensamente vissuto. Vita vera. Crescendo si impara che il tempo è una copertina e nelle ultime quattro settimane ho potuto investire sulla mia Triumph solo pochi centimetri di questa copertina. Già da qualche giorno sento l’impulso folle della moto-astinenza e per stirare le marce lungo un nastro di asfalto fuori città e sentire lo schiaffo forte del vento dovrò ancora attendere qualche settimana. Fortuna che stasera incontro i miei amici biker: si parla di tempi sul giro, di coppia ai bassi regimi, di scarichi traballanti, di eicma, di vecchie tre cilindri. La birra e il vinello scorrono con moderazione, domani non è domenica.
Accendo la moto per tornare a casa: è mezzanotte, una luna camomilla splende sul cielo limpido di Roma, l’aria è quella delle celebri ottobrate capitoline e la città sembra sussurrarmi di non mollarla così. Devo approfittare di questi ultimi sprazzi di estate prolungata, tra poco le nuvole d’autunno renderanno tutto più complicato. E poi, come diceva Marcel Proust, “Il vero viaggio non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”. Già, non serve andare troppo lontano quando sei al centro di una città come Roma.
Sono in riserva, pochi chilometri nel serbatoio e nessuna voglia di passare all’automatico. Ho la fotocamera con me ma la batteria è mezza scarica. Decido di partire dal monumento storico più visitato d’Italia e più invidiato nel mondo, il Colosseo. Qualche auto sfreccia sui sampietrini producendo quel tipico suono tremolante che viene e che va. Davanti all’anfiteatro non c’è anima viva: i turisti sono in albergo, distrutti da infinite camminate quotidiane lungo le strade della capitale, o chissà dove a divertirsi; i romani da queste parti vengono solo per il concertone di Capodanno o per la parata delle Forze Armate. Parcheggio la moto proprio di fronte al Colosseo, nessun pedone, nessun agente, e mi siedo a contemplarlo. Una giovane americana in mini e canotta si avvicina chiedendo informazioni su come arrivare (a piedi!) a Campo de’ Fiori. Via dei Fori Imperiali è illuminata e splende come un gioiello: sotto le ruote della Triumph molti secoli fa il terreno era battuto dagli zoccoli dei cavalli dei soldati romani. Ai miei fianchi scorrono archi, colonne e mura antiche resistite incredibilmente al tempo.


Sono a piazza Venezia: edifici intrisi di storia, come l’omonimo palazzo del discorso di Mussolini, l’Altare della Patria, il Vittoriano. Terminati i lavori per la metro, la piazza è in ordine e ospita un invitante prato verde smeraldo davanti al quale vigila un’auto dei carabinieri con lampeggiante acceso.
Più su, la scalinata che conduce al Campidoglio: vorrei scalarla in piedi sulle pedane della Scrambler e ridiscenderla a tutto gas in assetto bmx, ma finirei di certo a Regina Coeli


Imbocco via del Plebiscito, supero il famigerato Palazzo Grazioli e poi Largo Argentina. Un paio di semafori ed eccomi al centro della movida romana: corso Vittorio Emanuele II taglia in due un continuo serpentone di nottambuli che fa la staffetta tra Campo de’ Fiori da una parte e piazza Navona, piazza del Fico e via del Governo Vecchio dall’altra.
Arrivo al lungotevere e all’altezza di Ponte Vittorio Emanuele II, uno dei tanti che uniscono le sponde del biondo fiume, non posso fare a meno di tirare la leva del freno e di bloccarmi a contemplare lo spettacolo. Sebbene esista un severo divieto di fermata, non resisto alla tentazione di parcheggiare la Triumph sul marciapiede destro, proprio sotto la sagoma luminosa di Castel Sant’Angelo. A quest’ora per fortuna le auto in transito si contano sulle dita di una mano e qui di pedoni nemmeno l’ombra. Sotto di me, il mormorio dell’acqua teverina, per una volta non soffocato dai rumori del traffico, rende tutto ancora più suggestivo.


Più passano i minuti, più la città si svuota. In zona Vaticano una tappa spirituale è d’obbligo. Sfreccio verso via della Conciliazione, normalmente calpestata da masse di pellegrini in occasione di beatificazioni e giubilei vari. Stasera è deserta, sembra tutta mia e mi sento come un Papa. Un mezzo dell’AMA che spazzola i sampietrini mi riporta presto alla realtà.


A pochi metri, il cuore del cattolicesimo, piazza San Pietro, la splendente facciata dell’enorme basilica e il lungo colonnato. Prima che la sicurezza mi inviti a circolare, accosto per qualche minuto davanti all’immensa piazza, recito un Padre Nostro, scatto un paio di foto e mi sento in pace.


Sono le due passate, la giacca in pelle Dainese a vita alta comincia a non difendere più la mia pancia, piena di patate e gelato, dall’arietta inumidita del Tevere, la tanica bicolore della Scrambler è sempre più a secco, mi si appiccicano gli occhi dal sonno. Chi se ne importa, non ho ancora voglia di interrompere questo magico trip notturno nella città eterna.


Sbattendomene della riserva, scateno al massimo i cavali del bicilindrico inglese sul lungo rettilineo illuminato della Galleria Principe Amedeo Savoia Aosta e, prima di incrociare nuovamente il lungotevere, mi immetto sulla via che conduce ad un altro dei luoghi della città più amati dai romani: il Gianicolo. È un lungo belvedere, con vista straordinaria su tutto il centro illuminato di Roma, sormontato dalla statua di Garibaldi a cavallo, recentemente restaurata insieme ai busti dei tanti presunti padri della patria. Nonostante l’ora, i muretti panoramici brulicano ancora di gente con la birra in mano, di innamorati pomicioni e di qualche malinconico ubriacone. A fianco della piazza, un chioschetto, agghindao come un albero di Natale e gestito da un omino pakistano, diffonde musica anni ‘90 e stappa bottiglie di Corona e Moretti a profusione.


Per visitare a fondo questa città generosa non basterebbe una vita. Voglio darle la buona notte in uno degli angoli di Roma che preferisco, il Fontanone dell’Acqua Paola, proprio a pochi passi dal Gianicolo. Qui, sotto l’occhio attento dei militari dell’Esercito, che con discrezione sorvegliano la fontana h24, i novelli sposi sono soliti lasciarsi immortalare dai fotografi nel giorno più bello della loro vita. È un posto che trasmette equilibrio e serenità, non è affollato e caotico a tutte le ore come la più celebre Fontana di Trevi, e le sue acque limpide e spumeggianti sono più rassicuranti di una puntata di Don Matteo.


Guidare la moto in una notte d’ottobre in giro per Roma svuotata e guardarla con occhi diversi è come riprendere fiato dopo una lunga immersione in apnea. Tornando a casa, dentro al casco canticchio una perfetta ninna nanna capitolina: “Quanto sei bella Roma quann'è sera, quanno la luna se specchia dentro ar fontanone; e so' più vivo, e so' più bono, no, nun te lasso mai, Roma capoccia der monno infame”. Domattina aprirò gli occhi fresco come una rosa, con un sorriso a 35 denti e con la stessa sensazione che, appena svegli, si prova dopo aver fatto un bellissimo sogno.
Per la cronaca, ho finito la benzina e il motore si è spento proprio davanti l’automatico. La recita del Padre Nostro di fronte al cupolone è servita pure questa volta.

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Informazioni utili:

Dove mangiare:
Pizzeria Da Baffetto, via del Governo Vecchio 114, Roma, tel. 06 6861617.
Ristorante Bar del Fico, via della Pace 34/35, Roma, tel. 06 68808413,
www.ristorantebardelfico.it
Gelateria Old Bridge, viale dei Bastioni di Michelangelo 5, Roma, tel. 06 39723026.
Chilometri percorsi: 8




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domenica 2 ottobre 2011

Quanto è conveniente spippolare


Fantastico. Se scrivo la parola spippolare su Word, il correttore automatico la trasforma subito in spappolare. Un preludio? Ieri sera ho messo insieme un po’ di riflessioni, frutto di cazzeggio cerebrale degli ultimi mesi, e mi domandavo quanto sia conveniente dedicarsi alla customizzazione della propria moto. Mi correggo, forse il termine “conveniente” non rende bene l’idea, probabilmente perché la prima cosa che fa tornare in mente sono le offerte 3x2 dell’ipermercato sottocasa. Un sinonimo più adatto potrebbe essere “sensato”, oppure “appropriato”. Termini che però racchiudono una sfumatura di razionalità, sentimento che non è molto diffuso tra i biker, specie al momento di fare delle scelte tecniche…

Serbatoi in attesa di finire su qualche special.

Premessa. Secondo il dizionario Hoepli online il verbo spippolare comunemente significa “Staccare a uno a uno i pippoli, i chicchi; sgranare, schiccolare: una pannocchia di granoturco, l'uva”. Secondo l’Accademia della Crusca indica il “Dire alcuna cosa chiaramente e con franchezza”. Per l’Enciclopedia Treccani, vuol dire “Fare qualche cosa (come leggere, comporre, cantare o suonare) con grande disinvoltura e facilità”. Nient’altro, almeno sul web, che ci illustri chiaramente il senso di questa divertente parola nella variante applicata alla nostra passione per le motociclette. Per ovviare a questa lacuna, voglio umilmente immolarmi a vicario del duo Devoto – Oli (sul cui famigerato dizionario tutti quanti abbiamo lasciato gli occhi al tempo del compito d’italiano…) e provare a sfornare un’accezione motociclistica del termine spippolare: “Rimpiazzare, modificare, elaborare, personalizzare – parzialmente o completamente, legalmente o illegalmente – appendici, parti o strutture di una motocicletta secondo il proprio gusto personale”. Può andare?

Due special inglesi al T-Day 2011.

Ma torniamo allo scopo principale di questo post, quanto è conveniente spippolare una moto per farne una special. Negli ultimi anni, negli States, in Inghilterra, in Giappone e in altre parti del mondo, si sono diffusi parecchi specialisti in customizzazione. Anche le riviste di settore italiane se ne sono accorte e ogni mese sulle loro pagine pubblicano le storie e le immagini di piccoli grandi capolavori, prodotti da artigiani capaci di trasformare vecchi cancelloni senza mercato in opere d’arte. Anche in Italia esistono diversi customizer, per non parlare dei tanti siti e blog tramite cui migliaia di appassionati condividono suggerimenti, video e immagini e si scambiano pezzi ed accessori. Non solo classiche Harley e moto inglesi, anche naked, supersportive, sport tourer e granturismo italiane e jap sono entrate in gioco.
Da qui alla realtà delle cose c’è un abisso, perché la stragrande maggioranza dei biker comuni, cioè quelli che non dispongono di budget stellari, né sanno dove mettere le mani al momento di smontare un motore, sono soliti dedicarsi al classico spippolamento basic fai da te:
- cambio lo scarico e metto quello in titanio per far casino quando passo davanti al baretto o arrivo alla punta per il raduno della domenica;
- monto le molle posteriori Ohlins con serbatoietto del gas separato, “che almeno non arrivo a fondo corsa”;
- smanetto la centralina, che “non perdo potenza ai bassi”;
- smembro la strumentazione, “tanto a me mi serve solo il contagiri”;
- metto la carena in carbonio, “che mi s’alleggerisce in uscita” (anche se la moto pesa di suo già 150 chili);
- cambio gli specchietti perchè gli originali “sono proprio due padelle”;
- rivernicio serbatoio e carrozzeria in Dark Black micalizzato, con sfumature in Iron Grey e strisce in Pearl White con il nome della mia donna stilizzato e aerografato in Racing Red, e il telaio total Matt Yellow “che così sta moto è solo la mia”. E chi più ne ha più ne metta.

La EBR 1190RS realizzata da Erik Buell (fonte erikbuellracing.com).

Ecco, sta qui il punto: ognuno vive la sua passione come crede e la esprime attraverso i propri gusti personali, viva la libertà! Ma, riflettendo da un’altra prospettiva, analizziamo il momento in cui la moto, il più delle volte barbaramente spippolata, verrà messa sul mercato dell’usato. Finché si tratta di un capolavoro realizzato da Erik Buell , da Deus Ex Machina o da Pettinari il valore cresce, ok. Ma in caso opposto (il più frequente), il prezzo non dovrebbe scendere? Acquistare una moto usata spippolata, per quanti costosi accessori possa montare, non dovrebbe comportare un maggiore esborso di euro, perché si tratta di un mezzo con un equilibrio tecnico estetico diverso da quello originariamente concepito dalla casa costruttrice, personalizzato secondo gusti diversi (e spesso discutibili) e che comporterà ulteriori investimenti utili a modificare le parti e gli accessori meno graditi e a riportare la moto a uno stadio accettabile. Bene fanno coloro che, quando possibile, al momento della vendita, riportano la moto allo stadio originale e rivendono separatamente tutti i pezzi per la customizzazione.
Concludo con un aneddoto. Espressi l’eterno desiderio di dotare la mia ScrALBler di un nuovo scarico alto Zard al mitico Farinelli di Numero Tre e ricordo ancora risuonare le sue sagge parole: “Lo vuoi davvero? Ormai customizzare è la regola e preservare la moto originale è l’eccezione”. Forse quest’ultimo è il nuovo vero anticonformismo.

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