domenica 17 luglio 2011

Ted Simon: una vita, due giri del mondo in moto


L’anno scorso, proprio in questo periodo, vagando tra gli scaffali della Feltrinelli a Ottaviano, alla ricerca di una valida lettura da lettino selvaggio, scorsi la copertina blu cielo de “I viaggi di Jupiter” di Ted Simon. Ricollegai rapidamente il tomo alle gesta (decisamente più commerciali) di Ewan McGregor in Long Way Round, d’istinto lessi il retrocopertina e immediatamente compresi che il viaggio in moto dell’inglese non fu solamente il solito worldwide trip organizzato da munifici sponsor, ma l’avventura vera di un uomo comune, spinto dalla curiosità alla ricerca di emozioni, conferme, nuovi stimoli ed, evidentemente, di qualche inevitabile rischio. Per una settimana intera rimasi incollato più a quel libro che alla vaschetta di Carte D’Or Triple Chocolate. Me ne innamorai. Io come tanti altri in Italia e nel mondo. E, pensate, stiamo parlando di un viaggio in moto iniziato nel 1973 (quando ancora non ero nemmeno nella mente del Signore…) e di un libro pubblicato nel Regno Unito già nel lontano 1979! Quel libro è li, sulla mia libreria Billy, tra le mie reliquie, accanto al mio vecchio jet Nolan, alle foto della mia famiglia e alla boccetta di cenere vulcanica dell’Etna. Perciò è stata una gran sorpresa quando, dopo pochi mesi dall’apertura di questo blog, la Elliot Edizioni, casa editrice italiana di Ted Simon, mi ha inviato una copia di “Sognando Jupiter, Il giro del mondo in moto trent'anni dopo”, il nuovo libro dell’autore, nelle librerie da maggio 2011, insieme ad un cordiale invito a recensirlo su queste pagine. Wow! Non avrei mai pensato di ritrovarmi così vicino a Ted Simon!
Il fatto è che realizzare un semplice copia incolla del comunicato stampa, accompagnato da una bella immagine della copertina del libro, mi sembrava troppo banale, così ho pensato di riservare ai lettori di conlamoto.it qualcosa di speciale: nientemeno che un’intervista esclusiva con Ted! Una follia? Evidentemente no, dato che la casa editrice ha accettato con entusiasmo e nel giro di qualche settimana mi ha messo in contatto con l’autore! Chiedo perdono per il forse troppo entusiasmo, ma come trattenerlo?

La gloriosa Triumph T100 con cui Ted Simon effettuò il suo primo giro del mondo in solitaria. Il modello è esposto al Coventry Transportation Museum. (Fonte: realclassic.co.uk)

Ted Simon, classe 1931, inizia come giornalista per alcune riviste inglesi. Dal ‘73 al ‘77, sponsorizzato dal Sunday Times, realizza il suo primo celebre viaggio in solitaria (ripeto, in solitaria…) intorno al mondo in sella a un’inarrestabile Triumph T100 bordeaux.  Nel 2001, a sessantanove anni suonati, questa volta su una BMW R80GS, ripercorre lo stesso itinerario, attraversando i continenti e sopravvivendo persino a due incidenti molto seri.
Su jupitalia.com, il suo sito ufficiale, Ted accoglie i visitatori con una frase, che è l’emblema del suo spirito, capace di infiammare anche l’animo dei biker più algidi: “It was going to be the journey of a lifetime, a journey that millions dream of and never make. And I wanted to do justice to all those dreams”.
Ho tentato di porre a Ted Simon domande semplici, a volte ingenue, da serata al tavolino del chiosco della piadina, da nipote a zio, da allievo a maestro. E nelle sue risposte ci sono la semplicità e lo humour di un uomo vero che, prima da giovane e poi da meno giovane, ha sempre saputo essere avanti rispetto ad ogni altro motoesploratore.

Io esordisco diretto, con una domanda che, con un pizzico di sciocca faziosità, ho sempre desiderato fargli: Ted, perché mai nel tuo secondo giro del mondo hai mollato la Triumph per una BMW?
Be’ effettivamente avevo fatto un pensierino all’opportunità di riutilizzare una vecchia Triumph anche per il mio secondo viaggio, ma al giorno d’oggi è davvero complicato trovarne una e rimetterla a punto per affrontare un’avventura del genere. Perciò non ho più preso seriamente questa possibilità.
Il perché del mio passaggio a BMW è presto detto: ci fu un momento in cui mi rivolsi alla casa di Hinkley, chiedendo se fosse seriamente interessata a fornirmi una moto nuova, ma, non so perché, non mi diede mai risposta ne rivolse attenzione alla mia proposta.
Allo stesso tempo, mentre ero alla ricerca di una moto per il viaggio, venne da me Steven Burgess, un fan che aveva letto i miei libri e a cui piaceva cosa avevo combinato in passato. Possedeva questa BMW R80GS splendidamente accessoriata e scrupolosamente preparata per affrontare viaggi lunghi ed impegnativi. Per motivi di salute Steve non era in grado di correre rischi di quel genere, così propose a me di utilizzare la sua moto. Fu un’offerta così generosa che non potei affatto rifiutare.

L’ennesima dimostrazione che la verità spesso è molto più semplice di ogni macchinosa dietrologia…
Allora raccontami qual è la differenza tra percorrere migliaia di chilometri con una vecchia inglesina piuttosto che con una mastodontica tedescona dalla trasmissione a cardano…
Non è facile trovare qualcosa di simile tra i due modelli. Entrambe sono motociclette, entrambe hanno due ruote, un serbatoio per la benzina e un manubrio. La T100 aveva i freni a tamburo e per arrestarla dovevo pensarci qualche attimo prima. Se non ricordo male montava un serbatoio capace di contenere poco più di 12 litri di carburante, mentre la GS ne può contenere fino a 40. La Triumph era molto più leggera, meno sofisticata: i vantaggi di guidare una moto più piccola sono diversi, ero capace di manovrarla perfettamente.

Due epoche a confronto: Ted Simon in posa con le moto più importanti della sua vita. (Fonte cyclecanadaweb.com)

Alla fine di un lungo viaggio in moto, con gli occhi stanchi e il fondoschiena piatto, nonostante le indelebili esperienze vissute, spesso non si vede l’ora di tornare a casa. Serve parecchio tempo per ritrovare la voglia di affrontare un viaggio così estremamente impegnativo per la seconda volta?
Ci sono voluti davvero tanti anni, circa una ventina. All’inizio non volevo affatto ripetere un viaggio così lungo, anche perché nel frattempo ero impegnato in un sacco di altre cose. Non avevo intenzione di spendere la mia vita guidando una motocicletta in giro per il mondo. Poi le cose cambiarono, sono venute fuori un po’ di novità, “I viaggi di Jupiter” divenne improvvisamente un best seller anche in America, così mi è tornato il pallino.

Se servono due palle fumanti per organizzare, affrontare e concludere un giro del mondo in solitaria in moto, figuriamoci cosa ci vuole per realizzarne due!
Hai affrontato con grande coraggio lo stesso viaggio in due diverse stagioni della vita: con quali differenze?
In primis l’età, durante il secondo viaggio ero parecchio più vecchio. Ma non solo. Le differenze sono emerse nella mia visione del mondo e nel mio modo di relazionarmi con il mondo: quando ero più giovane la cosa più interessante ed importante per me era avere relazioni con le donne. Nel secondo viaggio questo impulso si è molto ridimensionato. Naturalmente anche il mio fisico era diverso: me ne sono accorto quando ad esempio ho dovuto sollevare la moto lungo la terribile strada tra il Sudan e Adis Abeba, in Etiopia. È stata davvero dura. Così come in Kenya, quando sfortunatamente mi fratturai una gamba. Guidavo sotto la pioggia lungo una strada su cui già ero passato durante il viaggio precedente in condizioni di asciutto. Ricordo che maldestramente mi convinsi di poter affrontare la stessa strada anche col bagnato e lì accadde il peggio…
Le poche più evidenti differenze dunque sono probabilmente legate a problemi fisici causati dell’età. Di contro durante il secondo viaggio ho preso tutto con molta più filosofia…

Già, la prudenza non è mai troppa. Riguardo al confort, durante questo secondo viaggio avrai goduto di maggiori comodità rispetto al 1973…
Il fatto è che negli anni io stesso sono diventato molto più comodista. Nell’ultimo viaggio non ero più interessato alle stesse cose, ad esempio all’idea di essere completamente indipendente. Così ho rinunciato a trascorrere le notti dormendo all’aperto, preferendo pernottare in hotel economici, spesso molto piccoli. Inoltre non volevo più esporre me stesso agli stessi rischi fisici affrontati durante il primo giro. E poi nel mondo ormai c’è molta più integrazione. È stato un po’ più semplice ma anche meno eccitante: negli anni settanta mi trovavo in luoghi dove assolutamente nessuno avrebbe potuto trovarmi. Dopo vent’anni invece avevo la sensazione di essere sempre reperibile e continuamente in contatto con il resto del mondo. Non a caso ho dedicato molto più tempo ad interagire online tramite il web e le e-mail. Insomma, una situazione completamente diversa.

Il motoesploratore inglese insieme alla sua BMW e al resto dell equipaggiamento approntato per il secondo viaggio intorno al mondo (Fonte: waffender.com)

In questo secondo tour ti è mancato qualcosa del viaggio originale?
Assolutamente no. Non penso proprio di aver desiderato qualcosa di quella prima esperienza.

Allora cambiamo prospettiva: ci sarà qualcosa che hai avuto a disposizione nel secondo viaggio che ti sarebbe stato utile nel primo...
Questa è una riflessione interessante. Negli ultimi tempi per agevolare i raid in moto abbiamo a disposizione un’enorme quantità di cose utili: abbigliamento, accessori, tecnologie come il GPS e chissà quante altre diavolerie che prima non esistevano. Quando effettuai il mio primo viaggio, pur non disponendo di nessuna di queste comodità, quel viaggio fu un gran successo. Secondo me, tutti questi aggeggi in qualche modo rendono un viaggio solo più noioso. Mi spiace ammetterlo, so bene che per chi produce accessori e parti speciali per le moto è grande la soddisfazione per i passi in avanti realizzati e per risultati ottenuti con il proprio duro lavoro. Ma se parliamo di un vero viaggio, quello con la v maiuscola, e non di un esperimento tecnologico o di un semplice itinerario da percorrere in moto, allora penso che il modo in cui affrontai il mio primo giro in moto intorno al mondo fu molto più interessante.

Nel primo libro ho letto decine di storie di persone affascinanti che incontrasti in giro per i continenti. Ne hai rivista qualcuna?
Si, ne ho incontrate molte e nella maggior parte dei casi le ho trovate molto più in forma di prima. Anche se forse è così solo perché sono state le uniche che ho rincontrato vive (ride). Ho il sospetto che per quelle che non sono riuscito a ritrovare le cose non siano andate così bene.
Normalmente comunque, parlando con le persone che ho rivisto, come il cammelliere egiziano, lo spedizioniere di Maputo in Mozambico o il ragazzo brasiliano di Curitiba in Paranà, ho percepito maggior benessere. La vita nella gran parte dei casi ha trattato meglio questa gente, ma la cosa interessante è che nessuno di loro pensa di stare meglio di prima…

In occasione dell’ultimo viaggio, hai sentito la mancanza dei rischi tipici del periodo degli anni settanta, quando, a causa della situazione geopolitica di allora, attraversare le frontiere era un gran casino?
La situazione negli anni settanta era quella che era. In America latina accadevano cose orribili di cui fui triste testimone. Adesso tutto è cambiato, quei paesi oggi sono politicamente molto migliorati.

Ted Simon in sella alla sua R80GS. Da notare la valigia laterale rivestita con l'immagine delle valige del viaggio originale. (Fonte: littlebrown.co.uk)

E in termini di luoghi, hai potuto soffermarti su posti che magari nel primo viaggio non eri riuscito a visitare?
Durante il secondo viaggio non ricordo di aver visto nulla di migliore rispetto alla volta precedente: i posti sono meno interessanti, sono sovraffollati e sporchi, il crimine è in aumento. Molti più problemi di quelli che riscontrai negli anni settanta.

Già, credo che questa sia stata la tua principale fortuna, quella di aver fatto un giro del mondo in moto prima di tutti e in un periodo in cui esisteva ancora qualcosa da scoprire e raccontare. A proposito di buona sorte Ted, ti va di raccontare dei due brutti incidenti vissuti durante l’ultimo viaggio? 
Be’ credo di poter confermare di essere stato molto fortunato durante il primo viaggio piuttosto che nel successivo. Nel primo caso non mi capitò nessun grave incidente di moto, a parte le tante cadute di lieve entità. Fortunatamente la Triumph T100 era piccola e leggera e le cadute non mi causarono conseguenze. Però mi capitò un problema molto grave alla vista in Malesia, dove rischiai persino di perdere un occhio.
Durante l’ultimo viaggio invece, come hai detto ho avuto ben due incidenti gravi e mi sono fratturato qualche osso. Ciò nonostante mi piace definirli due “buoni” incidenti: la guarigione fu complessa ma me la cavai molto meglio di tanta altra gente che per risolvere problemi simili incontrò molte più complicazioni. Mi è andata bene insomma, perciò parlo di “buoni” incidenti.

E dall’alto della tua esperienza cosa ti senti di consigliare a chi ama viaggiare in moto per evitare situazioni pericolose?
È difficile dirlo. Se davvero penso a come evitare un incidente, intendo un incidente serio, capace di far male davvero, penso che la cosa giusta da fare sia quella di non smettere mai di avvertire la paura.
Anche quando si è certi di essere degli ottimi guidatori, sicuri di se e della propria esperienza di guida, penso che per evitare di perdere la concentrazione sia molto importante tenere sempre a mente che qualunque cosa può accadere in qualunque momento come una minaccia inaspettata: un pedone che improvvisamente sbuca fuori dal margine della strada, un animale che attraversa la carreggiata. Chissà cosa. Questo è il punto, non possiamo sapere cosa. Ci sono volte in cui guidiamo lungo strade meravigliose nei luoghi più straordinari del mondo, senza traffico e senza nessuna minaccia intorno, viaggiamo rilassati e forti di un feeling unico e speciale con la moto. Proprio in questi momenti apparentemente senza rischi è molto facile che qualcosa succeda quando non dovrebbe, perciò dobbiamo sempre essere consapevoli di tutto ciò che potrebbe metterci in pericolo. Deve essere un’attitudine mentale. E purtroppo molti motociclisti non possiedono il temperamento adatto, molti si lasciano trasportare dall’entusiasmo e dal piacere della guida, dimenticando che ciò di cui non tengono conto può diventare un potenziale pericolo.

La BMW di Ted Simon al ritorno dal giro intorno al mondo (Fonte: stormforce8.smugmug.com)

Non smettere di percepire le paura… sono parole davvero preziose, uscite dalla bocca di chi, più di ogni altro, ha vissuto certe esperienze in prima persona.
E di consigli Ted Simon ne ha anche per i meno giovani: suggeriresti a un comune biker settantenne di avventurarsi in un viaggio impegnativo come il tuo?
Non mi sognerei mai di consigliare a chiunque di fare una scelta del genere. Penso che sia qualcosa che si sente dentro e che non abbia niente a che vedere con l’età. Ognuno ha la percezione esatta del proprio stato fisico, sa se tutto funziona bene, se i propri occhi vedono chiaramente o meno e se i propri riflessi rispondono correttamente. Per dedicarsi ad un giro del mondo in motocicletta, anche a settant’anni, ognuno deve avere soprattutto lo spirito giusto. La passione e il desiderio sono necessari, permettono di gestire la paura e di essere consapevoli dei rischi. Insomma, occorre sentirsi all’altezza e non scegliere di farlo perché si deve fare. 

Anche in questa seconda occasione, per giungere in Africa hai attraversato l’Italia: hai notato differenze nel nostro paese tra allora ed oggi?
Il mio secondo passaggio in moto attraverso l’Italia è stato molto differente rispetto al precedente. Questo perché a quei tempi stavo per iniziare il mio “viaggio della vita”: tutto sembrava eccitante e vissi e vidi un sacco di cose davvero strane. E comunque tra il mio primo giro del mondo e il secondo sono stato in Italia altre volte. Il vostro è un paese certamente più prosperoso di quello che era allora: a Palermo, per esempio, non sono riuscito ad ammirare le stesse scene e le stesse immagini del primo viaggio. I love Italia! Mi piace l’Italia e mi piacciono gli italiani, mi auguro di imparare presto a parlare italiano e ho promesso a me stesso che lo farò anche se non trovo mai il tempo… Avanti Italia! 

Il posteriore della GS con in evidenza i visti dei paesi visitati sul baule superiore. (Fonte: stormforce8.smugmug.com)

La mia sensazione è che Ted abbia talmente tanti ricordi che distinguere Palermo da Rio o da Nuova Delhi, non gli venga più così semplice. Se per noi motoviaggiatori medi è complicato ricordare tutti i luoghi visitati durante il giro della Val d’Aosta in tre giorni, figuriamoci per uno che ha girato il mondo per ben due volte!
Molti di noi sono sportivamente innamorati delle gesta di Ted e lo considerano un vero simbolo del mototurismo contemporaneo, perciò come ultima domanda gli chiedo proprio cosa pensa di coloro che lo giudicano un eroe…
La gente ha bisogno di idoli, ma io so benissimo di non essere un eroe. Sono solo un uomo dotato di un’enorme curiosità verso il mondo e ciò mi permette di affrontare qualche rischio e di fare quello che forse altri non farebbero. Senza prendere rischi non potrei mai soddisfare la mia curiosità.
Se questo significa essere un eroe, allora ok, è ciò che sono…
 

2011 © Alberto Di Stefano - Conlamoto.it

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6 commenti:

  1. WOW!!! Tanta invidia!! E' il modo migliore e più sincero che mi viene in mente per esprimere la mia ammirazione per te e per il grande Ted Simon.
    Bel lavoro.

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  2. bella storia complimenti!!! comprerò il libro quanto prima

    davide

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  3. la grandezza di un personaggio emerge dall'umiltà con cui si racconta, e con questa intervista sei riuscito a farla emergere. Lodevole iniziativa questa tua intervista che va a colmare una clamorosa lacuna della stampa specializzata di settore.

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  4. Ammirazione, tanta, invidia, più tanta, complimenti, infiniti. Ciao Motocivista

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  5. bella intervista alla grande Ted. Sto leggendo il primo libro "I viaggi di Jupiter" ma ho già acquistato il secondo..

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  6. Sto leggendo il suo libro da poco ....
    Quando partiamo ?

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