sabato 30 aprile 2011

Conlamoto in coppia: follia o privilegio?


Storicamente il mito del motociclista sembra imporre l’immagine del viaggiatore in solitaria duro e puro. Guidare la moto con (minimo) 50 o 60 chili in meno, certo è molto più agevole e divertente, ma quando si manifesta il piacere (o il dovere…) di portare con se una compagnia a bordo, le soluzioni non sono molte e, ammettiamolo, dipendono più dall’ego del centauro che da questioni economiche.
I più irriducibili (fedeli al concetto de “La mia moto” di Jovanotti) si ostinano, quasi volessero lanciare un segnale subliminale alla propria compagna, a non rinunciare al luccichio delle custom, ai muscoli delle urban streetfighter, alla rigidità delle supersportive replica o all’essenzialità dei supermotardoni.
Al contrario, i più innamorati (sprezzanti degli insegnamenti di Marco Ferradini in “Teorema”) e i veri gentiluomini (per niente convinti dei consigli di Elio in “Servi della gleba”), previdenti, scelgono la moto anche in funzione dell’utilizzo in coppia, optando per confortevoli modelli turistici, mastodontiche sport tourer o accessoriatissime endurone stradali.
Per la prima categoria nutro un’inevitabile simpatia: sono gli egocentrici del viaggio in due a tutti i costi, i fautori del “chi se ne frega del confort del passeggero”. Grazie a loro è nata tutta la letteratura delle cosiddette “zavorrine”, una serie di scontate banalità e stereotipi, tipo: le malcapitate si sparano 500 km con le chiappe su un coriandolo di sella posto sopra gli scarichi bollenti; almeno ogni 20 minuti costringono il gruppo a una sosta solo per fare pipì; fanno di tutto per ostacolare i raduni domenicali organizzati per “scaldare” le gomme sulla Mille Curve; si caricano pericolosamente 20 kg di zaino in spalla per non contraddire la filosofia purista del moroso, restio ad applicare appendici portabagagli sulla moto per non rovinarne l’estetica; e via dicendo. Storie trite e ritrite, spesso orgogliosamente alimentate dalle dirette interessate, le quali poi, però, per fronteggiare le prepotenze degli inflessibili partner, costituiscono gruppi di protesta sui forum o acquistano una moto tutta per loro per ritorsione. E chi si è visto si è visto.


Una rassegnata "zavorrina" costretta a sobbarcarsi pericolosamente il suo fardello a bordo di una Ducati Monster (fonte: www.motoclub-tingavert.it)

Lo scorso anno, bloccato da un’inattesa giornata di pioggia e temporali in un bar di Corte, in Corsica, riempii la (vana) attesa del sereno in compagnia di una coppia di lumbàrd d.o.c. over 50. Giunsero presso il ristoro, per ripararsi dal muro di pioggia, in sella a una splendida BMW R80 GS bianca con sella rossa. La loro armonia era decisamente sui generis: lui, il tradizionale commenda indomito e capriccioso, inseparabile dalla sua giacca in pelle Dainese anni ’80, consumata come uno zerbino e ormai incapace di contenere quel giro vita esponenzialmente cresciuto negli anni, era assolutamente insensibile verso le rimostranze della sua signora. Lei, nell’atto di liberarsi in fretta di un risicatissimo k-way bianco, totalmente zuppo e insufficiente a isolarla dalla tempesta tropicale, inveiva contro il marito e la sua stupida fissa per le moto e rimpiangeva le sue amiche del club di via Montenapoleone, in quel momento probabilmente sdraiate su un comodo lettino nel più prestigioso stabilimento balneare delle Cinque Terre o dell’Argentario. Tuttavia, ricordo ancora quanta responsabilità dimostrò nel momento in cui, temendo gli effetti negativi che il diluvio potesse provocare alla meccanica della GS, unico mezzo di trasporto a loro disposizione in quel momento sull’isola, in un vano tentativo di contenere la strafottenza dal marito, gli urlò contro “Gian Filippo, perché non la metti al coperto questa moto qui?”. Per placare la comprensibile isteria della sciura, al commenda bastò ordinarle un cappuccino bollente e apostrofarla con un intimo “Ma non romper le balle”.


Tutta la comodità e il confort e di viaggio in coppia a bordo di una accessoriatissima tourer Bmw K1200GT del 2007 (fonte: Bmw Motorrad USA)

Verso la seconda categoria, le coppie dei viaggi in armonia, nutro profonda stima, perché trasmette equilibrio, rispetto reciproco, condivisione, sintonia. Nel 2009, di ritorno dalla Puglia, in una stazione di servizio lungo la A14, incontrai una sprintosa coppia di 40enni, fieramente in sella a una possente Guzzi California nera e gialla, di ritorno nientemeno che dal Motoraduno dell’Etna, in direzione Liguria. Avevano macinato felicemente centinaia di chilometri insieme ed altri dovevano ancora percorrerne. Avevano scelto l’asfalto sotto il sole d’agosto piuttosto che il confort di un traghetto Moby. Erano in simbiosi totale, protetti e coesi dietro il parabrezza della Guzzi, con le bandane svolazzanti, il cuoio domato dei giubbotti cucito sulla pelle e l’espressione di chi si nutre respirando la libertà.
La moto è un ambito, certo meno confortevole e “flessibile” dell’auto, su cui anche l’amore nasce e si sviluppa. Soltanto così posso spiegarmi perché una giovane coppia, lui in canotta, bermuda, infradito Havaianas e casco integrale Arai, lei in canotta, short, Birkenstock e casco jet Momo, anziché vivere i primi intensi giorni di infatuazione reciproca pomiciando in riva al mare o reclusa in hotel, percorresse nel bel mezzo di agosto il periplo della Costa Smeralda, in Sardegna, rischiando di sbucciarsi gomiti e ginocchia, in sella a un’impacciata Yamaha R1 blu con la lancetta della temperatura sul rosso e le ventole di raffreddamento in rotazione massima.

Conflitti e tensioni o entusiasmo e affiatamento: insomma, una coppia finisce per esprimere l’intensità del proprio equilibrio anche su due ruote. In questo senso, la moto è a tutti gli effetti uno specchio della vita, un’estensione della quotidianità, serena o burrascosa che sia.

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sabato 23 aprile 2011

Francia: viaggio di nozze (per caso) in Provenza


di Luciano Paglia

Premessa: non avrei mai pensato che il mio viaggio di nozze potesse essere un viaggio transeuropeo in moto. Ma ancor meno mai avrei potuto pensare che potesse essere la mia Ninalucia a proporlo. Che vi devo dire... sarà che certi uomini nascono fortunati!

Giorno 1 - 16/06/2010: Catania - Palermo - Genova.
Il primo giorno di viaggio comincia con la frenesia che accompagna la preparazione dei nostri bagagli. Non avevamo preparato assolutamente nulla, confidando sul fatto che avremmo replicato quanto predisposto per lo scorso viaggio in Austria. Nel primo pomeriggio, di dritto o di storto, moto e bagagli erano pronti e allora via... si parte alla volta di Palermo!
Al porto di Palermo facciamo conoscenza con simpatici personaggi che girano l'Europa a bordo di simpatici mezzi a due o a tre ruote... La domanda che io e Ninalucia ci siamo rivolti all'unisono era: " ma anche noi alla loro età viaggeremo così?". Beh forse meglio così che in camper…



La traversata procede serenamente, a bordo di una nave (complice la non altissima stagione) pressoché deserta e quindi molto comoda. La sera iniziamo ad captare notizie sull'alluvione in corso in Provenza... E ti pareva! Le telefonate della famiglia confermano che tutta la regione che cinge la Cote d'Azure è alluvionata. Che fare allora? andare verso il Nord della Francia? dirigersi verso la Croazia o prendere la nave per la Corsica? Sembrerà strano ma l'imprevisto problema meteo ci lascia comprendere ancor di più la bellezza del viaggio che abbiamo appena intrapreso, un viaggio senza tappe prestabilite, senza hotel da raggiungere, all'insegna della pura libertà e della condivisione. Il nostro viaggio di nozze.

Giorno 2 - 17/06/2010: Genova - Torino.
Lo sbarco a Genova avviene intorno alle 18 sotto un cielo sereno, puntiamo la moto verso nord e ci dirigiamo alla volta di Torino, dove faremo visita persino agli zii. Attendendo gli sviluppi del meteo, decidiamo di fermarci un giorno più del previsto nella città sabauda. A Torino arriviamo all'imbrunire. Troviamo l'hotel, ceniamo dai cugini a lume di candela (mancava l'elettricità nello stabile…) e poi a nanna.

Giorno 3 - 18/06/2010: Torino.
Il centro di Torino è davvero imponente e monumentale, una vera città reale che merita la visita. La mattinata scorre veloce e, dopo pranzo, l'amletico dubbio tra la visita al museo egizio e quello del cinema si scioglie a favore di quest'ultimo. Trascorriamo davvero un paio di belle ore, per noi patiti di cinema è una vera manna... Prendiamo anche l'ascensore che ci porta in cima alla Mole (al cui interno è ospitato il museo). Dall'alto scorgiamo Superga ma non vediamo l'ora di ribaltare la prospettiva ed ammirare la Mole dal celebre colle piemontese! La Basilica di Superga domina tutta Torino, è un posto davvero suggestivo. Non possiamo non fermarci davanti alla lapide che ricorda la tragedia che colpì il grande Torino. L'aereo su cui viaggiava la squadra che componeva i 10/11 della nazionale italiana di calcio si schiantò nottetempo sulla collina di Superga causando un lutto straordinario per tutto lo sport italiano. Andiamo a cena e poi a dormire, domani ci aspetta il passo del Monginepro!

 
Giorno 4 - 19/06/2010: Torino- Olux- Sisteron.
La sveglia suona intorno alle 9, il tempo di fare colazione e caricare la moto e si parte. Torino è illuminata da uno splendido sole, ma il cielo sulle Alpi... beh direi proprio di no. Prendiamo la A32 che da Torino arriva fino alla Francia e la percorriamo fino a Susa. Ci troviamo sul territorio dove passerà la contestatissima Tav, il treno ad alta velocità, che collegherà Torino a Lione. E' una valle stretta, servita da un'autostrada trafficata che si biforca fino all'innesto con il traforo del Frejus. Non riusciamo a contare le scritte "No Tav", tanto sono numerose. I paesini che incontriamo da qui in poi, iniziano ad avere la doppia denominazione Italiano - Francese, il confine è vicino!
Ad Olux iniziamo a salire verso il passo. La strada si increspa di curve, l'aria si fa più leggera e i motociclisti che incrociamo più numerosi.
Di curva in curva arriviamo a Claviere, primo centro oltre il confine di Stato: la foto è d'obbligo. Pochi chilometri ed arriviamo al passo del Monginepro - Montgenevre che archiviamo mentalmente con una spunta nella nostra lista dei passi alpini.


Si scende. C'est la France, bellezza. Sul nostro tragitto castelli e roccheforti medievali mostrano i segni di una linea di confine, ricordo di tempi lontani.
Incontriamo Briacon, bella cittadina con un centro medievale patrimonio dell’Unesco. A Embrun facciamo la pausa pranzo e ci cimentiamo con il nostro francese... Come penso sappiate, in Francia NON si parla null'altro che francese. I tentativi di utilizzare l'inglese fallivano miseramente. Durante le nostre letture pre-viaggio avevamo letto che in Francia si può ordinare o "a la carte", cioè scegliendo una o più pietanze di proprio gradimento, o "a menu", cioè prendendo le due o tre pietanze del giorno. Con il secondo metodo, ovviamente, si risparmia e si è certi di mangiare qualcosa di fresco.
Approfittiamo del pranzo per far passare via i nuvoloni che avevano lasciato qualche goccia sulla moto e ripartiamo. La pioggia non è più un rischio perché i famosi nuvoloni sono spazzati via da un forte vento.
Il tempo incerto ci spinge a fermarci a Sisteron. Sono già le 18, la fatica si fa sentire e vogliamo trovare alloggio per la notte. Qui passerà il Tour de France e la città attende i corridori con una grande festa. Andiamo all'ufficio turistico: qui parlano inglese, evviva!


Verifichiamo la lista degli hotel del paesino (sono solo 5) e scegliamo il nostro. Il primo non va bene, al secondo troviamo una signora molto cortese che conferma (in francese) di disporre di un garage (imprescindibile per i motociclisti) compreso nel prezzo della camera. Accettiamo sorridendo.
La sera ceniamo con delle ottime crepes in un tipico localino, caratteristico ed accogliente. Chiacchieriamo con il gestore che sentendo che a) veniamo dalla Sicilia, b) viaggiamo in moto, c) siamo in viaggio di nozze, quasi si commuove e ci racconta che la sua mamma era di Bagheria (in provincia di Palermo). Strabuzzando gli occhi ci rendiamo conto che noi siciliani siamo diffusi nel mondo come un virus! È un vero peccato che il signore non parlasse neanche una parola di italiano (qualcuna di siciliano sì però…). Gustata la magnifica grappa offerta dalla casa, ci dirigiamo in hotel un po' storti... ma siamo a piedi e ci sta tutta! Buonanotte!

Giorno 5 - 20/06/2010: Sisteron- Aix en Provance
Appena svegli e “colazionati” (un pessimo cappuccino latte - caffè - panna al modico prezzo di 5 euro…) ci dirigiamo verso Mousters Saint Marie, da dove inizieremo il giro delle Gole del Verdon. Qui la strada si fa davvero suggestiva. Lasciamo la statale per strette provinciali che costeggiano il canyon scavato dal fiume. E' una vera goduria per motociclisti che, da tutta Europa, transitano da qui. Le immagini parlano da sole.


Arriviamo a Riez e ci fermiamo per il pranzo. Qui è in corso una festa della transumanza e il paesino brulica di vita. Un mercatino attira la nostra attenzione e non possiamo non comprare una quantità industriale (considerato lo spazio a nostra disposizione) di saponi dai profumi più diversi: cacao, cocco, vaniglia, muschio...
Dopo pranzo facciamo rotta per Aix, dove decidiamo di trascorrere due notti. Arriviamo in città, individuiamo l'ufficio del turismo e ci facciamo dare l'indirizzo dell'hotel che risponde alle nostre esigenze. Indirizzo sul GPS e siamo in camera!
Aix è una bella cittadina, piena di universitari e di giovani. Facciamo un giro per il centro molto vitale e andiamo a cena, cimentandoci ancora una volta con il nostro francese: "Si vois ples du cop de sciampagn"…

Giorno 6 - 21/06/2010 : Aix en Provance- Avignon- Arles- Aix
Finalmente con la moto scarica partiamo alla volta di Avignon, la città dei Papi. Durante il medioevo fu residenza dei Papi che abbandonarono Roma per stabilirsi in questa maestosa fortezza della Provenza. Le mura medievali sono uno spettacolo, ma la visita al Palazzo dei Papi è ancora più emozionante.
Accompagnati dall'audioguida in italiano ci addentriamo per le grandi sale, immergendoci nella vita dei Papi del medioevo. La giornata è soleggiata, ma il vento è davvero fastidioso, e crea effetti inaspettati...


Dopo aver passeggiato per il centro ed esserci pentiti di non aver previsto una notte qui, pranziamo e decidiamo di visitare anche Arles, cittadina famosa per il suo anfiteatro romano (un vero piccolo Colosseo), perfettamente conservato e utilizzato per le corride incruente. Qui, come in Spagna, infatti, hanno luogo las ferias, ma alla fine del combattimento il toro (buon per lui) non viene ucciso. Prendiamo un ottimo gelato, e in un internet point prenotiamo l'hotel per l'indomani.


La giornata non è ancora finita, la voglia di chilometri è ancora molta e allora decidiamo di fare un salto in Camargues, un parco naturale, palustre, fermata per le specie migratorie e famose per i cavalli e per il buon pesce.
Ci dirigiamo verso Sant Marie de la Mar. Qui prendiamo un aperitivo e ci godiamo la vista del mare. Il vento si fa sempre più forte, specialmente in aree libere da costruzioni e vicino al mare.

Sono già le 19, manca oltre 1 ora di moto per rientrare ad Aix, e nei nostri programmi, visto che siamo in solitaria, abbiamo escluso la possibilità di tratte serali. Decidiamo così di sfruttare tutta la luce pomeridiana residua e ci mettiamo in marcia. Il vento ci costringe ad una gran fatica per tenere la moto dritta (scopriremo poi che soffiava ad oltre 60 km/h!).
Al rientro ad Aix siamo vittime (fortunatamente senza conseguenze) di una delle peggiori disavventure mai capitateci in moto. I caselli dell’autostrada sono praticamente deserti, ci accodiamo ad un grosso tir e mentre preparo le monete per il pagamento, mi accorgo che l’autista ingrana la retro. Non so descrivere il sentimento di impotenza che in quel momento mi assale.
Il camion retrocede e nonostante il mio pollice sia inchiodato al clacson, nonostante le mie gambe tentino a più non posso di andare indietro, vedo il paraurti del tir avvicinarsi sempre più alla mia gomma. Semplicemente l’autista non ci vede, e non c’è verso. A quel punto Nina, con uno scatto a dir poco felino, sale sulle pedane e si sporge verso sinistra per farsi notare dallo specchio retrovisore.
Ci vede, si ferma, avrà fatto 3 metri in retromarcia. Apro il cavalletto lascio Nina seduta sulla moto, arrivo alla cabina, apro lo sportello ed vi risparmio ciò che proferisco in inglese all’autista bulgaro…
Arriviamo in hotel abbastanza scossi, ma l’abbiamo scampata. Cena e a nanna, domani ci aspettano i Pirenei Francesi!


Giorni  7 e 8 - 22-23/06/2010: Aix en Provance- Carcassone 
Preparati i bagagli ci avviamo ad una lunga tappa di trasferimento che attraverserà il sud della Francia per dirigerci a Carcassone. Il sole è piuttosto caldo, il vento si è fortunatamente placato e procediamo lungo l’autostrada in direzione Barcelona.
L’autostrada è molto trafficata e approfittiamo delle pause per concederci tratti sulla statale che permettono di spezzare il ritmo e la noia.
Arrivati a Narbone imbocchiamo la E80. Si inizia a salire ma il caldo è intenso. Arriviamo a Carcassone intorno alle 16. Ci rechiamo presso il Mercure, che si trova fuori dalla città medievale ma in posizione davvero strategica, permettendoci di parcheggiare agevolmente e raggiungere agevolmente il centro a piedi.
Al cospetto della città fortificata restiamo letteralmente senza parole. Carcassone è un miracolo della storia e della volontà umana. Costituita da ben due cinte murarie che attorniano una città a base circolare, custodisce al suo interno una magnifica chiesa in stile gotico ed una fortezza, a sua volta circondata da fossato e mura. E’ davvero un capolavoro di architettura medievale e frutto del più grande restauro di inizio novecento: l’inserimento tra i capolavori tutelati dall’Unesco è anche troppo poco..


Andorra è vicina ma rinunciamo a visitarla. Il viaggio fin qui è stato lungo, quello di rientro verso Ventimiglia lo sarà altrettanto, decidiamo per una pausa “stanziale”.
Trascorriamo a Carcassone due giorni, coccolati dal servizio dell’hotel e dalle bellezze dei luoghi. Ceniamo magnificamente entrambe le sere: in un elegante bistrot la prima, in un ristorante medievale (senza la forchetta!) la seconda. E ci dedichiamo anche allo shopping, decidendo di inviare tutti i souvenir in Italia tramite pacco postale. E così tra bottiglie di vino, magliette, poster, calamite da frigo, i 15 kg del pacco internazionale sono pronti ad approdare in Sicilia!


Giorno 9 - 24/06/2010: Carcassone – Venasque
Lasciamo Carcassone con ancora negli occhi la bellezza delle imponenti mura e ci riavviciniamo alla Provenza. Degli amici ci avevano parlato di un paesino incastonato nel cuore delle distese di lavanda, Venasque. Forse è la volta buona. Forse scorgeremo un po’ di quella lavanda dal viola inteso che campeggia su ogni copertina di ogni guida turistica della Provenza.
Affaticati dal tappone autostradale, arriviamo al b&b prescelto, dove incontriamo una distinta signora che ci mostra le bellezze di casa propria e che ci comunica che – purtroppo – è al completo. Non ci perdiamo d’animo e ci facciamo suggerire un altro grazioso b&b in campagna. Alberi, stradine isolate e tanto verde: ci sentiamo a casa! Arriviamo giusto in tempo per assistere al secondo tempo di Italia - Slovacchia e siamo contenti di aver perso il primo…
Dopo un pomeriggio all’insegna del relax, cerchiamo un ristorantino in cui cenare e la nostra scelta cade su un localino giusto sulla piazza principale. Gustiamo le delizie dello chef, che subito dopo abbiamo il piacere di conoscere, e del buon rosso.
Non è che dopo cena ci sia molto da fare, così dopo una passeggiatina per il borgo torniamo al b&b.


Giorno 10 - 25/06/2010: Venasque - Cote Azure
Buongiorno! Oggi è il mio 33^ compleanno, siamo in Francia, in moto ed in viaggio di nozze: meglio di così.
Dopo una bella colazione, baciati dal sole, ci mettiamo in marcia. La destinazione della mattina è l’Abazia di Senanque: non possiamo sbagliare, ci hanno assicurato che qui la lavanda c’è. Arriviamo percorrendo strade secondarie molto suggestive e pressoché deserte. L’Abazia è davvero maestosa, ma non abbiamo il tempo di una visita approfondita all’interno. Ci accontentiamo del periplo e degli esterni. E del viola della lavanda…Se sia intenso o meno, giudicatelo da soli…


Rivolgendo un pensiero "affettuoso" al sig. Lonely Planet, al sig. Mondadori ed anche al sig. Touring Club per la consulenza fornitaci sulla presenza della lavanda durante il giugno provenzale, inforchiamo la moto verso la Costa Azzurra. Puntiamo a seguire la statale che tra qualche giorno ci porterà a Ventimiglia, toccando le località dei ricconi in vacanza.
Saint Tropez è la prima tappa, dove festeggiamo il mio compleanno concedendoci il lusso di un grandioso ristorante dotato di ampio parcheggio vista moto: Mc Donalds!
Tutta la statale è un interminabile susseguirsi di barche da sogno e bisarche cariche di auto sportive. Entriamo a Cannes e sulla Croisette incrociamo i negozi “per-gli-uomini-che-si-augurano-che-non-glielo-si-chieda-mai”.
La statale ci regala paesaggi belli…ma vuoi mettere con la riviera di Taormina?!
Prenotiamo una camera in un residence ad Antibes. E questa volta il nostro GPS toppa: impieghiamo oltre un’ora per trovare l’indirizzo e solo grazie alla cortesia di un motociclista locale riusciamo a trovare la via giusta. Arrivati al residence ci viene detto che la struttura è nuova, la strada di recedente denominazione e che erano consapevoli delle difficoltà di reperimento. In compenso la struttura è davvero accogliente: abbiamo a disposizione un miniappartamento con cucina, salottino, bagno e camera. Andiamo a cena abbastanza stremati perché dobbiamo festeggiare, no?

Giorno 11 - 26/06/2010: Antibes- Genova.
E’ ora di andare a prendere la nave per Genova. Dobbiamo essere al porto per le ore 19. Colazione, bagagli e giù in garage (pagato extra…) per caricare la moto. Ma la moto non c’è! Nonostante ricordassi benissimo il box all’interno del quale l’avevo ricoverata ieri sera, la moto proprio non c’è. Da nessuna parte. Sparita, da dentro il garage, pagato extra! Inizio a pensare a come arrivare a Genova senza moto per prendere la nave. Penso di salire in reception per chiedere informazioni. Entriamo in ascensore e solo lì mi accorgo che il garage ha 2 piani sottoterra… Sono al -1, schiaccio lo 0 ed eccola: è lì dove l’avevo lasciata ieri sera. Che sudata!
Con un sorriso a 32 denti usciamo da Antibes e ci dirigiamo verso il Principato di Monaco. Entriamo a Monte Carlo e non possiamo che cercare il mitico tunnel della Formula 1, che percorriamo con profonda soddisfazione. Una foto davanti al Casinò e al monumento a Fangio e saliamo su sul promontorio a vedere dall’alto uno splendido paesaggio. Bello davvero.


Varchiamo i confini patri. Ci fermiamo a Sanremo per il pranzo e poi a Genova per imbarcarci: siamo nuovamente sulla nave che ci porterà a Palermo e poi da lì fino a casa.
E’ stato un viaggio bellissimo, è stato il “nostro” viaggio di nozze, fortemente voluto ma al tempo stesso quasi improvvisato.
La mente è piena di luoghi, di odori, di sapori, di volti e sentiamo l’esigenza di dare un ordine questa “nube” di ricordi. Di legare i luoghi alle emozioni del momento, di condividere con le persone a noi care la nostra gioia, di regalare a chiunque spunti utili ad un viaggio (per caso) in Provenza.
A proposito… ma la lavanda?

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L'autore di questo report di viaggio, Luciano Paglia, vive e lavora a Catania, dove è facile incontrarlo in sella alla sua fedele BMW R1150 GS. Per ulteriori info sul suo viaggio in Provenza potete contattarlo all'indirizzo e-mail il.capro@hotmail.it.

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domenica 17 aprile 2011

Fuoriserie 2011: think vintage


E che caspita! Erano 2 anni che tentavo invano di partecipare a questa rassegna dedicata agli appassionati di auto e moto d’epoca e pure stavolta ho rischiato di saltare l’appuntamento per causa di forza maggiore: stamattina in casa mi è crollato il mensolone dello sgabuzzino e con esso gli scatoloni straripanti del cambio stagione… Fortuna che, grazie al fedele avvitatore Black & Decker e al cemento a presa rapida, residui del trasloco, in un paio d’ore sono riuscito a metterci una pezza e ora sono pronto a salire in sella alla mia Scrambler per andare a visitare l’edizione 2011 di Fuoriserie alla Nuova Fiera di Roma!


Dopo le voci di pericolo di furto nei parcheggi incustoditi della Fiera, porto con me il catenone in acciaio, compreso di catenaccio a prova di fiamma ossidrica: solo per “legare” per bene la moto al palo, impiego almeno un quarto d’ora, subendo passivamente lo scherno degli scooteristi che lì accanto parcheggiano i loro SH e Burgman in meno di un minuto. Poco male, meglio spendere qualche secondo in più a incatenare la moto piuttosto che perderli dentro una caserma dei caramba a raccontare tutto al brigadiere.
Oggi la buona sorte sembra essere dalla mia: alla cassa i 13 euro del biglietto di ingresso si trasformano in 10 euro, cifra riservata solo ai ragazzini e ai militari in divisa, una “carezzina” che non è certo merito del mio fascino nei confronti della procace cassiera, quanto della carenza di resto per la banconota da 50… A buon rendere! Certo, 13 euro di biglietto non favoriscono partecipazione di massa alla rassegna, di suo già abbastanza di nicchia, ma rappresentano un ottimo filtro per il livello socio-culturale del pubblico presente. L’atmosfera infatti si presenta equilibrata, a metà tra il radical-chic del collezionista con maglioncino Lacoste sulle spalle e il carburatorista con salopette blu e mani unte di grasso.


È tutto molto ordinato: lo spazio è abbondante e ben gestito, non ci sono hostess svestite che spostano il focus su ben altri tipi di curve, non c’è quel casino che ti impedisce di ammirare per bene i pezzi in mostra e persino i bambini urlanti oggi sembrano essere tutti a Ostia a mangiare il gelato al pistacchio sul lungomare.
Ero a conoscenza del fatto che la categoria delle auto d’epoca fosse maggiormente rappresentata in fiera, tuttavia sono parecchi gli stand dedicati alle due ruote davvero interessanti.


Il primo padiglione è un enorme mercatino, un trionfo di bancarelle ricolme di pezzi di ricambio e accessori: ferraglia, plastiche, leve freno, pedane, testate, pistoni, carburatori, manubri, maniglie, cerchi, selle, serbatoi, fregi, utensili, pneumatici, gommini e ammennicoli di ogni genere. C’è persino un artigiano napoletano che in tempo reale è in grado di riprodurre targhe, magari per rimpiazzare le vecchie, sbiadite o danneggiate nel tempo, replicandole perfettamente in quattro e quattr’otto.


Il secondo padiglione è dedicato alla mostra statica di auto e moto d’epoca. Ammirare modelli dei decenni passati è un rapido viaggio nell’evoluzione della tecnica, nella sperimentazione e, perché no, anche nelle interpretazioni meno riuscite dei progettisti. Ognuna di quelle vecchie moto, piena di ruggine o restaurata che sia, ha offerto il suo contributo allo sviluppo tecnologico delle due ruote. Tra gli esemplari meno comuni, da segnalare: un paio di Bianchi degli anni ’40 (non ne avevo mai vista una di presenza prima d’ora), di cui una verde acqua in condizioni da vetrina; una Triumph originale del 1929, ancora tutta arrugginita, ritrovata da un restauratore in un vecchio capanno nella campagna romana; un’Aermacchi – Harley Davidson Sprint, che tanto somiglia alle vecchie Cagiva SST 125 dei miei fratelli. E poi vecchie BSA, Moto Guzzi, Gilera, Moto Morini e persino una SWM (o come mi piace dire, Svuom) gialla degli anni ‘70. Naturalmente non passa inosservata la miriade di Vespa, di ogni colore, forma, genere ed età, emblema della passione degli italiani per la mobilità.


Ma a rubarmi almeno 15 minuti di batticuore ci pensa una Norton Commando 750 rossa! Finalmente posso ammirarne una dal vivo in tutti i suoi dettagli: il basamento tondeggiante del motore, il tanto lodato telaio, la coda dal disegno rettilineo e l’originale, leggendario logo dorato sul serbatoio. Quanto vorrei poterne sentire anche il rombo…


Uno stand degno di nota è quello di Motostar 2000, che con passione restaura e rivende BMW d’epoca, alcune delle quali sono qui in bella mostra: una rarissima R 100 Mystic, una vecchia e fascinosa R100/7 blu del ‘77, una superlativa R100 T nera del 1980 customizzata (e immediatamente venduta) e, oltre ad altre gloriose bicilindriche boxer, il pezzo forte della collezione, la mia preferita: una bellissima R80 GS Basic del ’93 che mi manda totalmente in estasi! Certo, 9.500 euro e oltre 93.000 km percorsi sono numeri su cui riflettere anche per un malato di cuore come me…


Infine, l’ultimo padiglione, dedicato agli auto e moto club d’epoca e all’editoria di settore. Le quattro ruote non mi appassionano come le due, ma certi esemplari sono davvero pieni di fascino. Per non parlare poi di quel tipico odore che si respira solo dentro gli abitacoli delle vecchie auto: per alcuni nauseabondo, per altri elisir. Tra le centinaia di marchi e modelli in mostra, mi sono soffermato sulle Triumph TR3, sulle Jaguar E Type, sulle Porsche 911 degli anni ’70 e sulla più datata 356 Sporster, sulle Alfa Romeo Duetto “Osso di seppia”, sugli immancabili Maggioloni e sui coloratissimi VW Van, che fanno così tanto Beach Boys. Tantissimi, inoltre, gli esemplari storici di auto italiane che hanno contraddistinto la nostra infanzia: 500, 600, Giulietta, Ritmo, 126, Delta, Mini e un’Alfasud che mi ha ricordato le mie vacanze estive da bambino a Vietri sul Mare.


Nel giro di tre ore sono riuscito comodamente a visitare con calma tutti i padiglioni e a trascorrere un bel pomeriggio. Ho conosciuto appassionati specialisti come Marcello, che rinuncia alle ferie estive per restaurare e mantenere le sue Guzzi; isteriche signore rompiscatole come Ofelia (nome d’immaginazione, nda), che mi ha costretto a cancellare le foto scattate al suo stand di t-shirt; e collezionisti come Fausto, che non avendo più spazio per le sue auto vintage nel garage dei Parioli si è trasferito con tutta la famiglia in un casale sulla Flaminia, dove può disporre di una rimessa di oltre 200 mq.


Prima di riprendere la Triumph e scioglierla dalle catene per tornarmene a casa, non posso fare a meno di notare uno stand che ci mette poco a rapirmi: la simpatia di Nino e Ciccio, i due banconisti siciliani con camicia bianca e coppola e gilet neri, e la loro vetrina di fumanti arancini al ragù, di croccanti e deliziosi cannoli di ricotta riempiti al momento e di bottiglioni di profumato Nero d’Avola di produzione propria, esercitano per me un irresistibile canto delle sirene: se dopo aver visitato Fuoriserie i miei occhi sono temporaneamente sazi, è arrivato il momento di colmare anche quello spazietto da merendina che mi si è testé aperto nello stomaco…


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sabato 9 aprile 2011

Dimmi quale casco indossi e ti dirò chi sei...


Da quando diventò obbligatorio anche nel nostro paese, il casco è entrato prepotentemente a far parte della vita di ogni motociclista italiano. Non solo, il casco rappresenta nel contempo l’essenza e l’emblema di un centauro. Prima per obbligo di legge, poi per effetto delle strategie di marketing dei produttori, il casco è parte integrante ed inscindibile dell’andare in moto: non indispensabile come una parte meccanica, che ne so un carburatore, ma di certo rilevante. Una spanna avanti rispetto ad altri accessori altrettanto importanti per la sicurezza, ma non ancora così diffusi ed imprescindibili per gli standard di qualsivoglia genere di centauro.
In questo contesto, parlare di sicurezza sarebbe certamente onorevole ma fin troppo retorico. Per questo, stamattina, immerso nel vortice nel mia follia monotematica, mentre mi rigiravo pigramente nel lettone, dopo essere stato svegliato dall’antifurto di qualche maledettissimo scooterino, pensavo alle tante sfumature, per niente scontate, che possono caratterizzare un oggetto così comune ma così personale.


Ricordate il vostro primo casco?
Il mio era un jet Bieffe bianco anni ’80 con aletta parasole in plastica e grafiche grigio nere. Me lo regalò il mio generoso papà quando, compiuti 14 anni, ereditai l’indimenticabile Garelli Eureka Flex 50 bianco di famiglia. Andammo ad acquistarlo, scegliendolo tra tanti, da Manganaro, uno piccolo rivenditore di ricambi (ora evoluto in un maxi concessionario) di Picanello, il vecchio quartiere al centro di Catania. È quello il casco che ricordo con più batticuore: con quello in testa, mi sentivo un provetto Edi Orioli alla conquista delle polverose strade etnee!
Dopo soli due anni - erano i tempi delle scuole superiori - stravolsi la grafica del casco, adattandolo alla mia Aprilia da enduro e personalizzandolo dipingendo con gli Uni Posca un grande fiore colorato (tratto dalla copertina di 3 Feet High and Rising dei De La Soul) sul lato destro e incollando il simbolo della pace, ricavato da un foglio di plastica adesiva rossa, ritagliata accuratamente con le forbici, sul lato sinistro.

Il secondo casco impresso nella mia memoria, fa parte della discussa categoria, ormai fuorilegge, delle cosiddette “scodelle”, dal punto di vista della sicurezza assolutamente inutili. Era un semplicissimo Bieffe Bi2 bordeaux, con aletta parasole nera sganciabile tramite tre automatici, cedutomi ancora nuovo da mia sorella. Leggero, ottimo per non friggersi il cervello durante le roventi estati siciliane, malgrado la tonalità scura del colore, e pratico da riporre nel bauletto della Vespa o da infilare nello zaino Invicta. Lo sfruttai fino all’estremo: il rivestimento interno si sgretolò producendo una pruriginosa polverina nera, la testa era pericolosamente a contatto diretto con la calotta esterna e il metallo degli automatici si arrugginì a causa dei tanti acquazzoni ionici affrontati in sella e dei gavettoni estivi subiti dagli amici. Oggi, cavalcando lo spirito eco friendly dei giorni nostri, il Bi2 potrebbe riciclarsi in un cestino per la frutta da fare invidia a Philippe Starck, kitsch quanto basta e perfetto per la composizione di un'originalissima natura morta contemporanea…


C’è un altro casco per me unico e speciale: una volta arrivato alla pensione l’ho addirittura esposto in soggiorno tra i miei memorabilia! È un jet Nolan N30 grigio, con visiera e aletta parasole nera, neanche troppo anziano ma profondamente vissuto e complice delle mie esplorazioni verso l’incontenibile passione per la moto. Mi ha accompagnato per anni nella vita di tutti i giorni, nel traffico opprimente della capitale, di ritorno dalle serate con gli amici, negli spostamenti da e verso il mare, nei tranquilli weekend fuoriporta, nei viaggi estivi spensierati e senza meta. Mi ha protetto dal freddo e dal vento, dal sole e dall’acqua, ha nascosto lacrime ed incorniciato sorrisi, ha ospitato teste di ogni genere, non è mai stato fermo per lunghi periodi, ha stazionato sugli scogli e sopra il letto, sulla neve e su una barca e più di una volta si è pure sacrificato a fungere da scomodo sostegno per il mio fondoschiena. Ha resistito a lungo ma è crollato di schianto: l’imbottitura interna si è afflosciata all’improvviso e lo strato di colore della calotta esterna ha iniziato a perdere pezzi come un vecchio muro scrostato.
Finalmente è lì, riposto accanto ad una cassa Bose ad ascoltare buona musica in prima fila, a guardare tutto e tutti dall’alto in basso e a ricordarmi che è sempre meglio avere qualcosa di buono per la testa…


Mi piacciono molto i caschi leggeri. Esteticamente preferisco i jet, che permettono anche di percepire più nitidamente il rombo del motore. Adoro quelli dalle forme vintage, meglio se monocromatici e senza sgancio rapido. Per viaggiare scelgo sempre un integrale. Oggi ne posseggo diversi ed è forse proprio questa scelta che mi rende meno affezionato a ciascuno di loro. Quello che prediligo tuttavia è l’X-Lite X901 rosso fuoco, un colore che inizialmente non mi convinceva e che poi ha finito per conquistarmi proprio per la sua originalità. L’unica volta che chiesi a una persona di reggermelo per un istante, passarono pochi secondi prima che precipitasse a terra proprio sopra un cumulo di piccole pietre affilate, da cui ha per sempre ereditato due bei segni profondi proprio sopra la visiera.


Negli ultimi anni ho maturato la certezza che un casco non è solo un amico e che indossarne uno, integrale e di ottima fattura, sempre e comunque, senza temere per la pettinatura, senza soffrire il caldo, senza domandarsi “e poi dove lo metto?”, può fare davvero miracoli. E presto spero proprio di riuscire a raccontarvene uno…

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sabato 2 aprile 2011

BMW R80/3: la Monolever Cenerentola

Quasi 95.000 km e una forma perfetta. Quale sarà il segreto di questa BMW R80/3 bianca con bandine blu?

Una vecchia canzone degli OTR di Esa diceva “Quando meno te l’aspetti, come una bomba”… E così è capitato a me anche questa volta.
Crucciato, affamato e con la testa ancora invasa da un turbinio di claim, playlist e palinsesti, mi appresto a godermi la mia mezz’oretta di pausa in una tiepida tarda mattinata primaverile qualunque. Proprio mentre inizio a immaginare gli involtini di pesce spada di Carmelo, lo chef del ristorantino siciliano dietro l’angolo, a 100 metri da me, lungo il marciapiede, intravedo una macchia bianca lì per lì definibile solo grazie alla presenza dell’inconfondibile elica azzurra sul serbatoio.
Accelero il passo e inizio a mettere a fuoco: sembra una “vecchia” naked bavarese, molto simile alla R45 rossa che vedo spesso passare accanto al Teatro delle Vittorie, condotta con fierezza dal centauro dal casco vintage verde chiaro. Sarà questo accostamento sgargiante dei colori, saranno le condizioni perfette della R45 rossa nonostante gli anni, sarà il rombo elegante del boxer, fatto sta che da qualche tempo mi stuzzica insistentemente il desiderio di possedere un bicilindrico BMW con almeno 20 anni sui cilindri.
Per questa ragione, rischiando di passare per il classico palo dal fare sospetto o per un malintenzionato armato di cesoie e piede di porco sotto la giacca, non appena raggiungo quella che prima sembrava solo una macchia bianca, mi fermo ad ammirare ed osservare con cura una fantastica BMW risalente probabilmente alla metà / fine degli anni ‘80. Una delle cosiddette (dagli amanti del genere) “obsolete”.
 

In evidenza, la sospensione Monolever dello stesso colore della carrozzzeria e i cerchi in lega a Y.

Bloccato per almeno 10 minuti, a scapito del mio meritato pranzo, a godere dell’essenzialità estetica e della modernità delle intuizioni tecniche di allora espresse dalla naked tedesca, mi salta in mente che in tasca non ho più il vecchio Motorola Startac “apri e chiudi”, ma un nuovo smart phone con tanto di potente fotocamera digitale integrata. E così inizio a scattare.
Di quale modello si tratta? Difficile dirlo, sui fianchetti laterali della moto non compaiono più le scritte originali riportanti il modello e la cilindrata. In più, la mia esperienza con le moto tedesche è ancora troppo timida e negativamente influenzata dal profilo eccessivamente “trasversale” dell’odierno target BMW.


In primo piano, l'inconfondibile motore boxer, il logo dell'elica su serbatioio e strumentazione e la maniglia sul fianchetto laterale sinistro.

Solo quattro giorni dopo ne saprò di più. È una BMW R80/3, detta anche R80 o R80 Monolever. Rappresenta uno dei primi modelli della casa bavarese, su base R80 (quelli dopo la ricercatissima R80/7 degli anni ’70), dotati dell’esclusiva sospensione posteriore BMW Monolever ed è riconoscibile dai caratteristici cerchi in lega scura a razze con disegno a Y e dall'attacco pinze davanti alla forcella anteriore. Altre caratteristiche distintive sono il manubrio stretto, i dischi freno anteriori forati, il freno a tamburo posteriore, le forme del parafango anteriore e della coda, il portapacchi posteriore, i telaietti per le borse laterali, le bandine colorate di blu sul serbatoio e sul posteriore, la maniglia sul fianco sinistro per favorire un più comodo utilizzo del cavalletto centrale e i due scarichi laterali bassi.
La R80/3 è stata prodotta in ben 13.815 esemplari dal 1984 al 1995 ed è la versione stradale di una famiglia di modelli di successo, strettamente imparentati tra loro, di cui, tra le altre, fanno parte le celebri R80ST, R80G/S, R80GS e la R80RT. È dotata del bellissimo motore due cilindri boxer a quattro tempi raffreddato ad aria, in grado di produrre, con i suoi 797,5 cc, una potenza massima di 37 kW. La trasmissione come da tradizione è a cardano e il cambio ha 5 marce. La R80/3 pesa 205 kg.
 
La linea assolutamente moderna della R80/3 nonostante i 25 anni di età!

Da quanto recuperato online, chi la possiede decanta una guida spassosa e un'agilità che pare superi quella della più blasonata R100. Gli inconvenienti lamentati si limitano alla ciclistica: usura dei cuscinetti al cannotto di sterzo, allentamento dei dadi delle piastre di sterzo, rigidità delle molle della forcella. Il valore di un esemplare in ottime condizioni, infine, equivale pressappoco al prezzo di un LML Star 150 nuova di zecca (!): 2000 / 2500 euro.

Le frecce vintage e le barre paramotore caratterizzano l'anteriore della R80/3. Sulla ruota è visibile l'antifurto meccanico prudentemente inserito dal possessore: a Roma non si sa mai...

È già tardi e quando arrivo al ristorante gli involtini di Carmelo sono già finiti: devo “accontentarmi” di una caponatina di verdure… Mentre al mio palato regalo il gusto del sapore agrodolce delle melanzane, alla mia mente destino martellanti interrogativi sulla R80 bianca: perché sono scomparse le scritte sui fianchetti laterali? Forse una riverniciatura? Quanti di quei 13 mila esemplari prodotti saranno ancora circolanti? E perché BMW 25 anni fa aveva scelto di frenare un motore 800 con un potente doppio disco anteriore ma con un obsoleto tamburo al posteriore?
Sono le 15 e il rinfrescante sorbetto al limone è il segnale che è il momento di tornare a lavoro. Ripasso dal marciapiede del sospirato incontro per un ultimo intenso sguardo, ma l’R80 è andata via: dopo oltre 90.000 km, non si è certo lasciata incantare dal primo cascamorto di passaggio… 

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