sabato 19 febbraio 2011

Lazio: Sulle cime innevate del Monte Livata


“A che ora parti domani Albe’?”. Troppo facile leggere nei miei occhi quello che penso la sera prima delle mie avventure con la moto. Ascolto poco i discorsi intorno a me, già immerso nei riti e nelle operazioni del giorno dopo, quando per parecchie ore di fila posso svuotare la testa dalle tensioni della settimana per riempirla solo con il suono elegante dello scarico alto della mia Triumph e con gli odori umidi ed i colori timidi della natura d’inverno, così poco distanti dalla metropoli. Della serata di ieri ricordo il ronzio degli elicotteri sopra lo Stadio Olimpico fino a tarda notte: la Roma giocava in casa. E la mia risposta: “Non partirò presto, è sufficiente puntare la sveglia alle 08.45”. Non sono poche centinaia di chilometri a farmi perdere la fama di dormiglione comodista. Per di più oggi è domenica, le giornate cominciano già ad allungarsi e la luce mi accompagnerà fino a metà pomeriggio.  

Gli itinerari che avevo in mente per oggi erano come al solito due o tre. Chi va in moto, dà priorità sempre a quello più impegnativo ed esagerato. Siamo fatti così, accecati dall’entusiasmo del viaggio al limite dell’avventura. Finché non subentra un briciolo di lucida esperienza che spinge a valutare tutti i fattori contingenti. Lo spunto che oggi mi ha convinto ad arrivare fino ai Monti Simbruini è un’indicazione (sulla cartina in scala 1:200.000 del Lazio) di “strada praticabile con difficoltà”, quella che porta da Jenne a Monte Livata. Che ci sarà mai di così particolarmente difficile?


La consolare prescelta oggi è la Prenestina. Il tratto urbano è avaro di sorprese ma un occhio ispirato può cogliere sfumature inaspettate. Come i campi di calcio di periferia, quasi sempre in terra battuta, solcati da ragazzini intirizziti dal freddo umido della domenica mattina. Gli unici luoghi popolati, mentre il resto della città è ancora rifugiata sorniona in camera da letto. O come gli spiazzi davanti le chiese, affollati da bambini scalpitanti e da uomini e donne di mezza età alla ricerca di amici e conoscenti.

Lungo la prima parte della SS6 scruto un’imponente Harley Davidson Road King Classic tirata a lucido per la passeggiata della domenica, comodamente condotta da uno tipo smilzo griffato Harley dalla testa ai piedi. La larghezza della sua moto è un handicap per certi desideri di agilità nel traffico e un paio di volte si prende le imprecazioni delle auto provenienti in senso opposto. L’assordante rombo del Twin Cam da 1.600 cc stordisce chiunque si trovi nel raggio di 500 metri, ma capisco di che pasta è fatto il manico solo quando, alla prima rotonda, fa inversione ad U, forse per essere a casa in tempo per Studio Aperto...
A uno stop invece, riconosco con ammirazione un suono inconfondibile di strofinio metallico che non lascia dubbi: sullo specchietto inquadro l’anteriore di una fiammante Ducati 1098 rossa. Mi aspetto un centauro incellophanato in una tutta di pelle Dainese, magari diretto verso le curve del Guadagnolo, e invece chi mi sorpassa, facendo il figo tra un semaforo e l’altro? Il classico smanettone col Momo Design, il piumino verde lucido, i Roy Rogers e le Adidas L.A. Trainer…


Le curve del Livata sono ancora lontane e, lasciata la via Prenestina, il primo scenario che cattura la mia attenzione è l’antica strada romana che, sulla sinistra, prima di giungere a Palestrina, costeggia la SP55/a. Immagino carri e bestie che, su quella antica arteria, un tempo facevano avanti e indietro da e verso la Capitale dell’Impero. E centurioni e mercanti, dalle vesti rosso porpora, che con i loro sandali in cuoio calpestavano il resistente selciato.

Entro a Cave e vengo rapito dall’architettura dell’edificio rosso sorretto proprio in mezzo alla piazza principale: alto e stretto, taglia in due il centro del paese come una scure.


La strada si fa più libera e divertente, gli edifici si diradano e la natura inizia a riprendersi il suo spazio. Le temperature della moto scendono e, nonostante il casco integrale, inizio anche a “sentire” il motore non solo con il corpo ma anche con le orecchie.
Sorrido di fronte al panorama “modernizzato”di Genazzano: quello che un tempo era uno skyline caratterizzato da torri, bastioni e campanili medievali, adesso si fa notare per una distesa di parabole televisive, luccicanti al sole, che ricoprono gli edifici come api sul miele. Da sempre per l’uomo, il progresso tecnologico è più importante della sua stessa storia.
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Prima dell’incrocio con Paliano, mi viene lo sghiribizzo di avventurarmi lungo una stradina bianca che si arrampica su una collina rigogliosa. Scimmiottando Steve McQueen, mi alzo sulle pedane della Scrambler godendomi la prateria, verde come la bandiera padana. È il primo attimo di relax a motore spento, ma mi costa caro: in lontananza scorgo un cagnaccio rabbioso galloppante verso di me. Rimonto subito in sella, pigio il tasto dell’accensione e riparto prima che la bestiaccia faccia di me il suo stuzzicadenti. Ho ancora la Canon tra le mani e, mentre evito di farmi addentare il braccio sinistro, rischiando di perdere il controllo della moto, riesco ad immortalare il suo sguardo aggressivo e le sue zanne poco rassicuranti. Nonostante tutto, non riesco a volerlo chiuso in un canile, anzi, quasi mi sento in colpa di averlo turbato.


Consulto la mappa. Accosto davanti al cancello di una tenuta. Alle mie spalle, una straordinaria vista di Serrone, sormontata dal maestoso profilo del Monte Scalambra. Sento una voce chiamarmi, un uomo si avvicina e mi chiede gentilmente se ho bisogno di qualcosa. Facciamo due chiacchiere e mi confida di chiamarsi Rizziuto (è il nome proprio!), di amare anche lui le moto e di avere un figlio promessa dell’enduro che, a bordo di una Beta nuova di zecca, si allena lungo gli sterrati fangosi intorno alla tenuta: “prima girava su una Husqvarna, ma quelle moto lì vogliono troppa manutenzione” rivela. Infine mi conferma che per arrivare a Jenne la strada più spettacolare è quella che passa per Piglio: “Non arriva’ a Fiuggi che là ce sta solo l’acqua frisca”… Le persone incontrate casualmente per strada sono una fonte di umanità insostituibile per l’anima.


Al bivio per Piglio mi fermo sgranchirmi un po’ dall’umidità e realizzo che il bramato sole, dato per probabile da Meteo AM, è invece rimpiazzato da minacciose nuvole brune. Può essere un rischio salire sino al Pratone: so quanto i cambi climatici possano essere repentini e violenti in prossimità delle zone montuose. Le mie riflessioni meteo sono bruscamente interrotte dal boato prodotto da un trenino di maxisportive di ritorno verso Roma: CBR RR, Ninja, GSX-R ed R1 sfrecciano in fila indiana davanti a me, lampeggiandomi al loro passaggio. Mi colpisce riconoscere, dietro le visiere fumé degli Arai, occhi esperti di impavidi cinquantenni, evidentemente ancora accecati dalla passione per le emozioni forti che solo una piega lungo i tornanti di montagna riesce a regalar loro nonostante l’età.


Percorro la SP20, entro a Piglio e il paese è tutto in piazza, in attesa che scatti l’ora di ritrovarsi intorno alla tavola imbastita per la domenica e pranzare con tutta la famiglia. Superato il paese, la salita prosegue e bastano poche centinaia di metri per constatare come il centro urbano si sia distribuito lungo la strada formando esso stesso una sorta di ferro di cavallo intrecciato di tetti, mura ed edifici.


Più avanti, dopo una serie di tornanti antigravità, la SP193 mi porta all’incontro casuale con tre meravigliose bestie, inaspettatamente attratte dalla Scrambler (forse per divorarne la sella?!) e desiderose di lasciarsi carezzare il muso con tenera docilità.


Evitando di arrivare fino al centro di Trevi nel Lazio, svolto a sinistra, lungo la SP45/a, in direzione Jenne, altro borgo incantato dove ho il piacere di incontrare Marino, il quale ha la nobiltà di fornirmi alcuni utili suggerimenti nonostante in quel momento stia scaricando un paio di cestelli di ricotta fresca dalla sua R4 beige: “Co’ quella ce poi arrivà lassù”, mi conferma indicando la Scrambler. “Sta’ attento solo a li massi, ‘chè mo’ de ghiaccio nun ce n’è più pe’ la strada”. Le sue parole autorevoli mi confortano. Un po’ meno la toponomastica: la parte iniziale della SP36, che unisce il paese con Monte Livata, è sarcasticamente denominata “via del Cimitero”…


Come prevedevo, è il tratto di strada più bello della giornata, più di quanto immaginassi. In questa stagione poi, con la neve intorno, è superlativo: l’asfalto è scuro ma non ghiacciato, i faggi spogli ma non assenti, l’aria frizzante ma mai tagliente. Le valli imbiancate e deserte sembrano protette dalle staccionate di legno che rimpiazzano i guardrail metallici.


Sono sui 1434 mt. del Monte Pratiglio. Guidare lungo queste curve innevate è una gioia, come correre per un bambino o cantare per un innamorato. Zero auto, solo una pattuglia della Forestale che mi guarda con rispetto. E un turista austriaco, che mi chiede dove trovare l’accesso a un sentiero e che mi domanda di che anno è la Triumph.


È ora di pranzo, ma sono ancora distante dalla trattoria scelta per appagare il mio stomaco. Comincia a scender giù del nevischio, non ho molto tempo per fermarmi a Monte Livata, ma non voglio rinunciare ad un altro po’ di off road in prossimità della stazione sciistica, oggi chiusa per assenza di neve sulle piste: quasi dimentico di aver sostituito gli Yokohama tassellati con i Metzeler Tourance e a momenti rischio di stendermi a causa del ghiaccio e dell’erba scivolosa.


Mi lascio alle spalle i tetti spioventi tipici dell’architettura di montagna. Sotto la pioggia di neve, squadrato come un marziano dagli automobilisti tarpati dentro le loro scatolette a motore, discendo il più rapidamente possibile le ripide curve strette che mi portano a Subiaco. Sono le 14.30 e ho una gran voglia di cucina tipica. Lungo le vie sublacensi, gli aromi provenienti dalle osterie del paese rendono ancora più frequenti i crampi allo stomaco. Anche il fondoschiena inizia ad intorpidirsi. Trovo una area relax naturale in prossimità degli Altipiani di Arcinazzo, un’enorme distesa pianeggiante alle falde dei Monti Simbruini. Qui in primavera la gente organizza appetitosi picnic o prende il primo timido sole sdraiata sui plaid.


Poco più avanti, finalmente la sospirata sosta ristoratrice alla Trattoria da Silvana. Quando entro la sala è completamente vuota. Guardo l’orologio, sono le 16! Panico: la padrona di casa e le sue figlie sono sedute a banchettare intorno a una lunga tavolata. Il locale sembra ormai irrimediabilmente chiuso. Chiedo la cortesia anche solo di un piatto caldo e, quando ormai la risposta peggiore sembra scontata, un generoso cenno con il capo di Silvana in persona fa scattare in piedi cuoca e cameriere, che si mettono subito al mio servizio con genuina disponibilità e in quattro e quattr’otto la tavola è bella e pronta! La casa suggerisce: fettuccine fatte in casa con ragù familiare a base di carne di vitella, broccoletti freschi ripassati in padella con aglio e peperoncino e, per concludere, gelato artigianale alla castagna, preparato dalla figlia di Silvana in persona. Sublime.


Come al solito, i tempi del dolce viaggiare e dello slow food si sono dilatati e mi resta margine sufficiente solo per una variante, rigorosamente non alcolica, dell’ammazzacaffè: un bel bicchiere d’acqua di Fiuggi appena sgorgata dall’antica fonte di Bonifacio VIII!


Ma appena raggiungo il centro della città termale, l’amara sorpresa: tutte le fonti sono chiuse al pubblico. Delusione. Ancor più incentivata dalla constatazione di trovarmi in mezzo una marea incontrollata ed eterogenea di strutture turistiche, che spuntano come funghi dappertutto nel raggio di diversi chilometri.


È ora di tornare in città: un ultimo sguardo alla distesa di ulivi, baciati dai raggi dorati del sole al tramonto, ai margini della 155c Fiuggi – Anagni e mi ritrovo all’imbocco dell’autostrada. Il fluido bicilindrico Triumph può tornare a respirare in quinta marcia lungo l’asfalto piatto e rettilineo a tre corsie, il fondo ideale per rivivere nella mente, momento per momento, lo spettacolo naturale di cui anche oggi sono stato parte.


Informazioni utili:

Dove mangiare: Trattoria da Silvana, via Sublacense 32, Altipiani di Arcinazzo – Trevi nel Lazio (FR), tel. 0775 598002.
Costi del viaggio: carburante 16 euro, pranzo e bevande 17,30 euro.
Chilometri percorsi: tot. 279
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3 commenti:

  1. Livata ormai qui non vuol-dire niente ma tu immagina livathè-dha cioè verdi-pascoli, verdi-alpeggi,prati

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  2. Un altro bel giro. Ma la cosa che apprezzo di più dei tuoi racconti è la capacità di cogliere (e trasmettere con semplicità a chi legge) quelle sfumature che solo chi "viaggia con il cuore" riesce a cogliere. In alcuni casi, come anche stavolta, parli di luoghi che ho già visitato e che quindi già conosco, ma il tuo modo di raccontarli mi fa venire un'irrefrenabile voglia di riandarci!
    P.S. alla faccia del reporter...ma come hai fatto a fare la foto del cane???

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  3. @ Luz: perfetta esegesi... In effetti sul Livata la natura è padrona dello spazio.
    @ Luciano: so che tu mi capisci... La foto al cane è stata pura fortuna! :)

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