domenica 26 febbraio 2012

Giorgio Serafino: la Route 66 su Vespa 50 Special


Quando penso alla Vespa mi vengono in mente un’infinità di aneddoti. A 11 anni rubai la PK 50 a mia sorella e ingranai le marce in senso contrario, convinto che si facesse così. Finii spiaccicato sul muretto del cortile ma il parafango anteriore si deformò appena. Ai tempi del liceo, un amico, Enzo, gran tifoso del Catania Calcio e celebre per i suoi stivaletti neri, mi raccontò che partì dalla Sicilia e arrivò addirittura fino a Milano su una Vespa Special 50 (elaborata 75). Non ci ho mai creduto, la distanza mi pareva enorme per uno scooter così poco confortevole. Anni dopo, la mia convinzione si fece più forte: una sera andai da Catania a Taormina sulla mia Bajai 150, andata sulla A19, ritorno sulla SS114, un esperienza drammatica. Ma allora non viaggiavo, piuttosto mi spostavo.
Eppure c’è chi su una Vespa 50 ha coperto distanze impensabili, realizzando il sogno di generazioni di viaggiatori e appassionati del celebre scooter italiano.
Giorgio Serafino, marchigiano 36enne, e Giuliana, sua moglie e zavorrina, nel 2010 hanno percorso la Route 66 da Chicago a Los Angeles in sella a una Vespa 50 Special restaurata del 1978. Chapeau! Da quell’avventura è nato un libro che - vi avviso, se siete sensibili al tema - accende l'entusiasmo: L'America in Vespa - Da Chicago a Los Angeles sulla Route 66. Ne avevo sentito già parlare nei mesi scorsi su numerosi siti e riviste specializzate e, giorni fa, l’ho anche visto in bella mostra in libreria nella sezione “Racconti di viaggio”. Finalmente ho avuto il piacere di scambiare due chiacchiere informali con Giorgio, il quale, molto simpaticamente, ha snocciolato deliziosi aneddoti e retroscena sul viaggio, concedendosi senza risparmiarsi alle mie domande tartassanti. 


L'inizio della Route 66 - Chicago, Illinois. Fonte terraeasfalto.it

La sua carriera di esploratore non iniziò su due ruote: “Primo viaggio in Olanda, 1998, siamo andati in Panda. Subito dopo il Canada (dove ho ottenuto la cittadinanza), macchina e in canoa. Poi il nord est del Brasile, ancora in auto”. Primo vagabondaggio in moto lungo l’Italia su una Honda Shadow 600 con telaio rigido: “Lì ho iniziato a capire che Giuliana poteva essere la ragazza giusta: seduta sul parafango di ferro senza ammortizzatore non si lamentava mai… Poi la costa del Marocco su un motorino affittato (mi sembra fosse un Motobecane). Volevamo raggiungere anche la Mauritania, però ci hanno fermato perché eravamo in una zona minata”. 
Il sogno di Giorgio è sempre stato quello di viaggiare su due ruote, ma qualcosa gli faceva pensare che fosse molto difficile se non impossibile. Fino a quando non arriva la Cambogia: “Appena arrivati affittiamo una Honda 250 enduro e via. Niente di organizzato, niente orari o tappe, niente tenda, niente tanica di scorta o ricambi. Polvere, terra, guadi e giungla, tutto tra sorrisi e un ospitalità incredibile. Ci siamo persi nella vegetazione di notte e, dopo un paio d’ore di buio totale, vediamo un fuoco acceso: scorgiamo tre donne che cucinano e ridono, appena ci vedono capiscono che ci siamo persi, prendono Giuliana per mano e ci accompagnano sotto una palafitta. Esce una ragazza bionda e chiara di carnagione, un’olandese che viveva li da 6 anni, con la figlia di 6 anni, senza luce ne acqua. Monta due amache sotto la palafitta, ci copre con la zanzariera e quella che poteva essere la notte peggiore si trasforma nella più bella, quella della nostra vita: perderci nel mezzo del nulla ci ha fatto ritrovare l’anima. Proprio quella notte ho capito che viaggiare in quel modo e su due ruote era quello che volevo fare”.
Il più delle volte i motoviaggiatori che scelgono avventure così impegnative preferiscono partire in solitaria, ma – ecco un altro aspetto che mi affascina – in tutti i suoi viaggi in moto Giorgio ha accanto Giuliana: stiamo insieme dal ’98, non potrei andare da nessuna parte senza di lei”. Certo, una compagna così speciale rappresenta un punto di riferimento importante, il piacere di condividere, di fare scelte comuni e, perché no, una seconda guida utile in caso di necessità: “In realtà Giuliana non sa guidare una moto e, fino allo scorso settembre, quando in occasione del 150esimo abbiamo girato tutte le regioni d’Italia, non sapeva nemmeno guidare la Vespa. Dato che da noi in Italia non si può andare in 2 su un 50cc, qualche giorno prima della partenza ci è stata prestata un’altra Vespa 50, così senza fare troppa pratica siamo partiti, percorrendo più di 6000 km: per due mesi ha guidato per 8/10 ore al giorno, spesso senza luci (usava la lucina del cellulare!) e senza freni (si consumavano subito)”. Donna speciale e zavorrina efficiente. 


Giorgio e Giuliana con i ragazzi di Moto Italia - Edwardsville, Illinois. Fonte terraeasfalto.it

Godersi la libertà di avventure come questa presuppone un’innata autonomia da vincoli e certezze nonché una notevole (e invidiatissima) disponibilità di tempo libero: “Non abbiamo un lavoro fisso, è una scelta. Per vivere così cerchiamo di tagliare ogni corda da ciò che ci può bloccare, ogni volta dobbiamo ricominciare da capo. Io per tanto tempo ho lavorato come muratore, Giuliana ha fatto vari mestieri, dalla barista alle colonie estive con i bambini”. E naturalmente, dopo l’America, per Giorgio sono arrivati la scrittura e i libri. Peraltro è anche autore dei reportage dei viaggio per la rivista In Moto. E, grazie al racconto della sua avventura sulla Route 66, ha pure vinto il prestigioso premio nazionale di letteratura e giornalismo di viaggio “Il viaggiautore”. Ecco a cosa portano la passione e il talento. 
La caratteristica unica di questo coast to coast americano è senza dubbio il mezzo utilizzato. Non una Gold Wing, non una Harley, non una GS 1200, ma una Vespa Special 50: “Mi è stata regalata, era buttata in un fienile. Poi è rimasta “abbandonata” nel mio giardino perché io e Giuliana stavamo ricostruendo casa completamente da soli: abbiamo vissuto 5 anni in una roulotte e non c’era tempo per rimetterla a posto. Ma a tutti quelli che mi dicevano “Buttala via, ma che ci fai?! È un ferro vecchio, non serve più a niente…” io rispondevo che, finita casa, avrei dipinto la Vespa come il Generale Lee (la mitica Dodge Charger protagonista delle serie cult Hazzard, nda) e ci avrei percorso la Route 66. Guardavo sempre quel telefilm ed ero innamorato di quella macchina: poteva succedere di tutto ma il Generale non moriva mai!”. E Giorgio è stato di parola: “Il restauro è durato un paio di mesi. L’ho smontata, ho tolto la vecchia vernice e l’ho colorata di arancione. Non l’avevo mai fatto e, per evitare che all’aperto si attaccassero i moscerini, ho dato la vernice dentro la Panda di Giuliana! Non ho fatto da solo: mio cognato Simone ha rimontato tutto e, prima di partire per la 66, Salvatore, un amico meccanico di Bologna, ha dato una controllata al motore e cambiato gruppo termico, cavi, puntine e condensatore, sostituendoli con quelli della RMS Performance Parts, azienda che da li in poi mi ha sempre sostenuto. Per il resto la Vespa era tutta originale”.


Il Generale in Texas. Fonte terraeasfalto.it

Il sogno di Giorgio e Giuliana si concretizza, spediscono il Generale in aereo: “Sicuramente è più conveniente affittare o comprare una moto direttamente negli States, ma se penso al sogno… la scelta non ha prezzo!”. Portano con se lo stretto necessario: “Un ricambio, qualche maglietta, un paio di felpe e due giubbotti. Come guanti dei calzini: circa 3 kg a testa in due sacche antipioggia della Kappa Moto, con uno zainetto per i documenti, la macchina fotografica e la telecamera. In più la tenda, due sacchi a pelo, cavi per la vespa - le candele le ho comprate lì - una ruota di scorta, camere d’aria e toppe per le forature. E menomale, durante il viaggio avremo forato almeno 20 volte! Una cosa incredibile, e tutte da Las Vegas in poi”.
Inizia il viaggio, due mesi e una settimana dal 28 aprile al 04 luglio 2010 attraverso l’America. Decine e decine di cittadine, come Chloride, in Arizona, “sembrava abitata più da fantasmi che da persone, una vera scena da film”. Scenari naturali mozzafiato come il Painted Desert, il Mojave Desert, Monument Valley, Canyon de Chelly, il Grand Canyon e “il più emozionante”, la Death Valley”. E personaggi, unici, speciali e talvolta bizzarri: “Mi vengono in mente il barbone di Los Angeles, che incazzato volle darmi dei soldi per comprare delle scarpe nuove per Giuliana, il cowboy che ci mise in allerta tornado o quelli che ci fermavano per strada e ci offrivano soldi o un letto a casa loro. O i poliziotti: molto severi, ma per quanto ci riguarda, ci fermavano solo per scattarci le foto o chiedere l’amicizia su Facebook e, anche loro, quando gli dicevamo che eravamo partiti da Chicago ed eravamo diretti a Los Angeles ci riempivano di Good Bless you!”.


Arizona. Fonte terraeasfalto.it

Pensando alle Route 66, immagino Ghostrider e la sua moto che sfrecciano via lasciando una scia di fiamme. O gruppi di Hell’s Angels che si spostano rumorosi da una cittadina all’altra in sella ai loro chopper: “In realtà non abbiamo incontrato molte moto lungo la 66. È abbastanza deserta ed eravamo quasi sempre soli. La maggior parte della gente, locali, viaggiatori o turisti, usa la nuova freeway. Abbiamo incontrato un gruppo di francesi che avevano affittato delle Harley, quando hanno visto con cosa viaggiavamo hanno fatto una colletta di 60 dollari per contribuire alla benzina…”. Già l’Harley Davidson, la moto 100% yankee: “Sicuramente un marchio molto amato e diffuso laggiù, ma per quanto mi riguarda, ogni volta che è capitato di parlare di moto ho constatato con molto piacere che gli americani amano molto le moto ITALIANE,  Ducati, Guzzi e  Aprilia. È  un vero onore sentire questi nomi così lontano da casa, forse esagero, ma ogni volta che parlavano di queste moto, era come se fossero anche un po’ mie! Nel mezzo del Mojave Desert  c’è un muro con una grande scritta… DUCATI”.


Lungo la Route 66 in Arizona. Fonte terraeasfalto.it

In tanti la percorrono in auto - esperienza interessante anche quella, per carità - ma la Route 66 offre il massimo proprio su due ruote: “non potrei neanche immaginarla da dentro una macchina”. Soprattutto se pensiamo che l’uso del casco è obbligatorio solo in 2 dei 10 stati attraversati da Giorgio e Giuliana: “Missouri e California, per il resto è pura libertà. Però sono obbligatori gli occhiali”. Meglio avere con se anche una buona assicurazione: “è stata un’avventura, ma alla fine ce l’abbiamo fatta, stipulando sul posto una polizza temporanea a circa 70 dollari al mese”.
La mia curiosità verso un viaggio talmente impegnativo a bordo di un mezzo così semplice è senza confini, ma Giorgio e la sua semplicità mi confermano che nulla è insormontabile quando ci si crede fino in fondo: “Viaggiavamo tutti i giorni, tranne un paio di soste di 24 ore a causa dei tornado. In media 10 ore di strada al giorno: non si riesce a fermarsi è troppo bello andare e andare ogni giorno in un posto nuovo. Per il pernottamento, tenda e i tipici motel americani: per il primo mese, proprio a causa dei frequenti tornado, dei venti a 100 km/h e del freddo, non siamo mai riusciti ad accamparci, quindi motel sgangherati. Nel secondo mese invece, quasi sempre tenda e sacco a pelo. E come vitto, hamburger e patatine o pollo fritto ad oltranza: si ingrassa per forza”.
Da buon “viaggiautore” Giorgio appuntava le sue note di viaggio, quelle che poi gli avrebbero permesso di scrivere il suo libro, su di un semplice quaderno: “scrivevo più che altro i km, anzi le miglia percorse, e il posto dove dormivamo. Ma riuscivo anche ad aggiornare abbastanza spesso il mio sito internet terraeasfalto.it”. 

Hackberry, Arizona: alle porte del deserto. Fonte terraeasfalto.it

L’avventura di Giorgio ha colpito nel segno gli appassionati per semplicità ed efficacia: “Nel mio libro non parlo solo della Route 66 ma cerco di spiegare anche il perché di certe scelte, raccontando qualcosa anche di me e del mio passato. Non è solo un diario di viaggio, ho cercato di esprimere le emozioni e i sogni e spero tanto di esserci riuscito. Per fortuna, quasi ogni giorno ricevo inaspettatamente mail private dei lettori e ce ne sono alcune veramente belle che mi lasciano senza parole. I commenti più entusiasmanti e frequenti sono “Grazie di avermi fatto sognare”; oppure “Mentre leggevo mi sembrava di essere li con voi”; e ancora “L’ho letto tutto d’un fiato, non riuscivo a smettere” e così via”.
Dopotutto viene quasi da domandarsi se per la riuscita di un viaggio servano davvero grosse moto GT superaccessoriate, valiglioni, giacche e pantaloni supertecnici:” Penso che ognuno viaggi come meglio crede, in un certo senso il modo in cui si viaggia rispecchia molto noi stessi. Io viaggio così perché vivo anche così, non mi preoccupo di quello che potrà accadere e cerco di non pormi mai la domanda “ma se?”, sono più portato per “Dio vede e provvede”! Tanto per capire, sono partito dall’Italia verso Chicago senza luce posteriore, non sapevo se si potesse circolare in due e con un due tempi, se sarei riuscito a fare l’assicurazione o a sdoganare la Vespa nè tantomeno se avrebbe retto a tutti quei chilometri in due. Sapevo solo che volevo e dovevo percorrere quella strada con il mio Generale e alla fine questo viaggio mi ha lasciato nel cuore La libertà, l’ospitalità, il deserto, il vento, il caldo e il significato della parola SOGNO!”.


Mojave Desert - California. Fonte terraeasfalto.it

Dopo l’America e la Route 66, Giorgio, Giuliana e il Generale hanno vissuto un altro viaggio da sogno, percorrendo il nord della Thailandia, il Laos e la Cambogia: “Sono a buon punto con il secondo libro, magari mi pubblicheranno anche quello…”. L’ultima cosa che domando a questo marchigiano spensierato di 36 anni è quale sarà  la sua prossima avventura: “Se tutto va bene si riparte tra pochissimo per… Devo accertarmi di alcuni problemi burocratici prima di esserne sicuro, ma vi farò sapere”.
Se leggere questa chiacchierata sull’America, sul deserto, sui motel, sul coast to coast, sulla Vespa, ha suscitato anche in voi qualche brivido, sfogliare il libro vi emozionerà, in omaggio al mito di tutte le strade, almeno “66” volte tanto.

2012 © Alberto Di Stefano - Conlamoto.it

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2 commenti:

  1. Il mio sogno è farla in 500...ma anche con la vespa ha il suo valore...come avete fatto con la spedizione? è il mio più grande punto interrogativo...grazie. Denise

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    Risposte
    1. Ciao Denise, grazie del commento.
      A quanto so, spedire la Vespa per Giorgio è stato piuttosto impegnativo, ma non si è arreso, nulla è impossibile... Ti suggerisco di leggere il libro, dove tutto è raccontato nei dettagli oppure di inviare una mail all'autore tramite il sito www.terraeasfalto.it.
      In bocca al lupo per il tuo sogno!

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