domenica 11 settembre 2011

Giorgio Bettinelli: tributo all'eroe vespista


A scuola ci hanno raccontato le avventure di grandi esploratori italiani il cui nome e le cui gesta rimarranno per sempre impressi nella storia: Marco Polo, che tra mare e terra fu uno dei primi occidentali ad arrivare in Cina; o Cristoforo Colombo, che a bordo delle sue tre caravelle scoprì le Americhe.
In occasione del terzo anniversario della sua scomparsa, questa settimana desidero dedicare un tributo ad un altro grande viaggiatore italiano, impulsivo ma coraggioso, passionale ma determinato, meno popolare dei suoi illustri predecessori ma dallo stesso magnifico spirito avventuroso: Giorgio Bettinelli da Crema. Il suo nome non compare sui testi scolastici, però anche lui, come molti esploratori, ha avuto la capacità di realizzare per primo un’impresa fino ad allora considerata folle: girare il mondo in Vespa. Il mondo, signori. Cioè migliaia di chilometri su fondi stradali di ogni genere, con qualsiasi condizione meteo e aldilà di qualunque situazione geopolitica lo circondasse. Se solo penso a quando ho avuto la sfacciataggine di affermare: “Ho smesso di girare tutti i giorni in Vespa a Roma. Le buche, il traffico, i sanpietrini: troppo pericoloso”… Me ne vergogno come un bandito.

Le tre Vespa PX di Bettinelli: sullo fondo il modello con cui effettuò il primo viaggio, da Roma a Saigon (fonte: geccoeastorinvespa.files.wordpress.com)

Come me tanti altri, innamorati di questo splendido mezzo di trasporto a due ruote e sparsi in tutto il pianeta, non avevano mai seriamente preso in considerazione il fatto che l’intramontabile scooter Piaggio, nelle mani di un sognatore come il giornalista cremasco, potesse essere capace di realizzare una simile avventura. Ed è romantico, quasi commovente, scorrere le immagini della sua Vespa PX sponsorizzata Tuttomoto, tappezzata di adesivi con le sigle e le bandiere dei paesi visitati, con uno zaino in pelle sul portapacchi posteriore e una vecchia valigia a cinghie su quello anteriore.

La copertina del primo liro di successo di Bettinelli

Il 16 settembre 2008, a poco più di 50 anni, Bettinelli se n’è andato per sempre. Non in sella alla sua Vespa, come probabilmente avrebbe voluto, o  meglio, come sembrava logico nell’immaginario di noi lettori, ma a causa di un’infezione letale che lo ha colpito in Cina, nella sua casa sulle rive del fiume Mekong, dove viveva, finalmente sereno, con la moglie indigena.
Non nascondo che avrei tanto desiderato riuscire a conoscerlo e a porgli tante domande sulla sua passione per i viaggi e sulle gloriose Vespa protagoniste dei suoi raid. Mi rassegnerò. Però, complici le letture di due dei suoi libri, “In Vespa da Roma a Saigon” (l’opera prima, letta tutto d’un fiato nella bassa bergamasca durante l’estate 2006) e “La Cina in Vespa” (letto appena prima di iniziare a scrivere queste righe), nell’impossibilità di incontrarlo di persona, ho costruito nel tempo un profilo immaginario dei tratti principali della sua personalità. Innanzitutto ho la sensazione che per Bettinelli la Vespa sia stata il mezzo e non il fine. Un sottile dettaglio che lo eleva rispetto a molti di noi modesti viaggiatori di strade statali, forse superesperti di motori ma sensibili come una lastra di marmo. La Vespa è stata il mezzo per soddisfare quella sua voglia irrefrenabile di partire, di scoprire, di incontrare altri uomini e donne. E di arrivare a destinazione il più tardi possibile. Avrebbe viaggiato anche sul dorso di un elefante pur di soddisfare la sua voglia di esplorare. Provocatoriamente, penso inoltre che Bettinelli ci abbia preso un po’ tutti per il naso, ma nel senso sano dell’espressione: leggendo con attenzione i suoi libri sembra che la parte migliore dei suoi viaggi l’abbia tenuta per se. Quindi, se pensiamo a quali straordinarie vibrazioni ci abbia trasmesso attraverso i suoi racconti da tutti i continenti, figuriamoci quali paesaggi mozzafiato abbia visto con i suoi occhi che parevano spiritati, quali estasianti emozioni abbia conservato solo dentro di se e quante pelli d’oca abbiano ricoperto le sue braccia smilze.

Un murales dedicato a Bettinelli visibile ad Aosta (fonte: panoramio.com)

Di Giorgio Bettinelli restano i racconti e a lui è dedicato un sito pieno d’affetto (giorgiobettinellifansclub.it), dov’è possibile saperne di più sulla sua storia e dove, tra l’altro, sono riportate le acute testimonianze di due suoi celebri estimatori, Beppe Severgnini e Vinicio Capossela.
Nei giorni successivi alla sua scomparsa, su firmiamo.it/unastradapergiorgiobettinelli si è spontaneamente diffusa persino una petizione online volta a chiedere la titolazione di una strada della sua città natale, Crema, alla sua memoria. Petizione che è tutt'ora valida nell'attesa che trascorrano i 10 anni dalla scomparsa, così come prevede la legge.
In occasione di questo anniversario, non trovo opportuno redigere retorici epitaffi, né citerò estratti virgolettati da qualcuno dei suoi libri. Piuttosto credo sia giusto tenere alto il nome di un uomo che, come molti eroi moderni, inizialmente ha fatto ciò che ha fatto senza attribuirgli grande importanza, ma che grazie alla sua semplicità ha segnato un solco, fertile e profondo, nel cuore degli appassionati di viaggi su due ruote.

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5 commenti:

  1. Ho avuto il piacere di incotrarlo e di farmi autografare il libro...resterà un grande nella storia del motociclismo italiano !

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  2. Doveroso e centrato omaggio. Un vero esploratore.

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  3. Bettinelli é fondamentale.

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  4. Ho avuto il privilegio di incontrarlo in Italia.....una persona meravigliosa. E' statomio maeatro ed ispiratore di viaggi. Anche grazie al suo "stimolo" spirituale, a 65 ho finito il mondo. Non ti dimenticherò mai....ci rivedremo, Giorgio!

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  5. Una persona di cui l'Italia, ignara della sua presenza (anche se non c'è più), dovrebbe essere orgogliosa. Una ottima penna, una persona di rara obiettività e dotata di un enorme spirito critico. Orgoglioso di averlo conosciuto e di aver letto più volte tutti i suoi libri......RIP, caro Giogio....mi manchi tantissimo.

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